BALDINI

Cicli Baldini / Faenza


Fonti: Intervista ad Nino Baldini, archivi online


Ha collaborato con: Antonio Alpi

Nei primissimi anni '50 Nino Baldini, cugino del leggendario campione Ercole Baldini, aprì a Faenza un negozio di biciclette. Oltre alla rivendita di marchi blasonati del Nord Italia il negozio offriva ad amatori e corridori professionisti biciclette da corsa di alta gamma. Per la costruzione dei telai si affidò al talento di Antonio Alpi.

In quegli anni in Emilia-Romagna non mancavano di certo costruttori di altissimo livello come ad esempio Antonio Alpi e Vito Ortelli a Faenza, i Guerra di Lugo o Marastoni e Patelli in Emilia. La collaborazione fu instaurata con Alpi che costruì per Baldini telai dai primi anni ’50 fino alla sua prematura scomparsa nel 1959.
Baldini fornì biciclette da corsa a diverse squadre della zona e per qualche anno mise in piedi anche il proprio gruppo sportivo. Nel 1954 fu Nino a fornire la bicicletta al cugino Ercole per la conquista del record del mondo dell’ora dilettanti, dalla fattura dei dettagli potrebbe essere una Alpi anche se il seriale “89 80”, una coppia di due cifre divise da uno spazio  è diverso dalle altre (Baldini seguiva in genera una numerazione progressiva semplice), l’ipotesi si avvalora anche dal fatto che è stato rinvenuto un altro telaio Baldini sicuramente costruito da Alpi che riporta lo stesso tipo seriale “11 80”.
Alla fine degli anni ’50 il negozio sostituì la vendita cicli con altri prodotti, probabilmente anche a causa della scomparsa di Alpi.

1954, Ercole Baldini conquista il Record dell’Ora dillettanti con una bici Baldini.

Dettagli della bicicletta Baldini con cui Ercole conquistò il Record dell’Ora dilettanti nel 1954.

Baldini numero “11 80”, costruita da Alpi. Il tipo di numerazione seriale, differisce dalle altre (numerazione progressiva) ed è identico a quello che appare sulla bicicletta da pista con cui Ercole Baldini conquistò il Record dell’Ora dilettanti nel 1954. Cambio Campagnolo a due leve, probabilmente fini anni ’40, primi 50. Foto Legendary Bikes

Baldini numero “1”, costruita da Alpi con congiunzioni Cinelli fornitegli da Ortelli.

Baldini numero “096” del 1951, restaurata. Telaio Alpi con forcellini posteriori per il cambio Campagnolo Parigi Roubaix. Probabilmente una delle bici realizzate per una squadra o un corridore professionista della Regione. Foto Frameteller.

Baldini numero “192” del 1952, restaurata. Telaio Alpi con forcellini posteriori Campagnolo con vite da 4 mm. Gruppo cambio Campagnolo Gran Sport del 1952. Probabilmente una delle bici realizzate per una squadra o un corridore professionista della Regione. Foto Frameteller.

Baldini numero “287” primi anni ’50 costruita da Alpi.

Baldini numero “287” primi anni ’50 costruita da Alpi.


ALPI

Ciclomeccanica Antonio Alpi / Biciclette su misura 


Fonti: Intervista ad Armando Castiglioni, meccanico per Alpi dal 1946 al 1952 / Artigiani e Biciclette in Romagna nel ‘900, di Ivan Neri, W. Berti Editore


Ha collaborato con: Ortelli, Fratelli Cavina, Nino Baldini, Testi, Villa, Suzzi, Vicini, Servadei

La versione aggiornata è disponibile su Quaderni Eroici.
Get the complete version on Quaderni Eroici.

Antonio Alpi, soprannominato Tugnazì nacque nel 1896 a Faenza e scomparve prematuramente nel 1959. Fu uno dei migliori artigiani costruttori di biciclette italiani nell’epoca Eroica.

I telai che Alpi costruì a cavallo tra gli anni '40 e gli anni '50 sono sicuramente da considerare, sia dal punto di vista estetico che tecnico, tra i migliori del disponibili in Italia in quegli anni.

Se il livello era quello dei migliori maestri costruttori dell'epoca, l'unicità di Alpi fu quella di riuscire a mantenere una forte coerenza stilistica durante tutto l'arco della sua produzione e, allo stesso tempo, rendere ogni suo telaio un'opera unica lavorando con creatività sui disegno delle congiunzioni.

Il suo talento e le sue bici furono oggetto del desiderio per i corridori dell’epoca così come per diversi importanti marchi italiani del Nord, che provarono invano ad assumerlo come direttore di produzione. A fianco delle bici firmate a proprio nome collaborò con altri costruttori della Regione Emilia-Romagna come Vicini, Servadei, Ortelli, Fratelli Cavina, Nino Baldini e Suzzi. Nonostante la sua carriera di costruttore durò poco meno di trent’anni e fu ostacolata prima dalla seconda guerra mondiale e poi dalla crisi del mercato delle bici che seguì per tutti gli anni ‘50, Alpi riuscì nel costruire telai di altissimo livello ed a esprimere uno stile innovativo e originale per l'epoca. Molti giovani talenti hanno corso come professionisti con le sue biciclette, tra questi Ercole Baldini che conquistò il record dell'ora con una sua bici e Giuseppe Minardi.

La carriera di Alpi iniziò negli anni ’20 come assistente da Ortelli a Faenza. Fu in quella officina che Antonio poté imparare il mestiere lavorando direttamente con Lazzaro Ortelli, ex fabbro e abilissimo artigiano, famoso per una eccezionale abilità manuale e precisione assoluta. Dagli anni ’20 agli anni ’40 dalla “scuola” Ortelli uscirono anche altri importanti telaisti come Aride de Fanza che costruì i telai per la Chiorda Salvarani.

Nei primi anni ‘30 Alpi aprì la propria attività a Faenza. Così come anche altri suoi colleghi a quel tempo l’attrezzatura necessaria se la costruì da solo per realizzare i primi telai firmati a proprio nome, così come quelli destinati ad altri marchi dell’Emilia e della Romagna. Già dai suoi primi telai dimostrò un importante talento insieme a creatività e precisione acquisiti dall’esperienza con Ortelli.
Nel 1943 fu assunto come capo meccanico alla Cicli Astor, azienda faentina fondata nel 1929 che, con una ventina di dipendenti, aveva raggiunto una dimensione notevole rispetto ai concorrenti del territorio.

I telai Alpi colpivano allora come oggi, per la precisione e la qualità nella costruzione del telaio, oltre che per la raffinata e originale lavorazione delle congiunzioni, e per l’abilità nella limatura. Lavorò per tutti i più importanti marchi dell’Emilia-Romagna che spesso si affidavano alle sue capacità per offrire biciclette speciali ai propri clienti. Nell’immediato dopo guerra importanti marchi del Nord Italia cercarono di assumerlo ma, a dimostrazione del suo carattere intraprendente, rifiutò sempre ogni incarico preferendo rimanere indipendente e autonomo.
Dal 1945 al 1952 fu assistito nelle fasi di saldatura in officina da Armando Castiglioni di Faenza. In quegli anni dalla sua bottega uscì uno tra i primi prototipi di supporto a rulli per l’allenamento dei ciclisti nei mesi invernali.
A cavallo tra gli anni ‘40 e ‘50 Alpi, come molti colleghi a quel tempo, riuscì a creare la propria squadra nella categoria dilettanti, reclutando le giovani promesse della zona, alcuni dei quali, come il faentino Giuseppe Minardi, si confermarono poi poi dei veri e propri campioni.

Alpi affiancava alla passione per la bici quella per le motociclette, fu però quest’ultima ad essergli fatale quando, una notte del 1959 si scontrò in moto contro un trattore che avanzava sulla strada senza luci. A causa delle conseguenze dell’incidente morì a soli 63 anni quando era all’apice della sua carriera di artigiano, lasciando una preziosa eredità di bellissimi telai, molti dei quali furono poi utilizzati e rimarcati da altri marchi della Regione, a noi rimane la curiosità di cosa avrebbe potuto fare con le innovazioni tecnologiche che seguiranno negli anni successivi.

LA TECNICA DEL DISEGNO A RILIEVO SULL’ACCIAIO
Nell’officina di Ortelli Alpi imparò anche l’originale tecnica di realizzare scritte in rilievo colando dell’acido attraverso una maschera direttamente sul tubo d’acciaio prima di essere saldato al telaio, sistema che poi continò a studiare e approfondire fino a creare, nel 1936, un telaio interamente decorato con questa tecnica.
“Alpi abbelliva i telai utilizzando delel etichette, su cui, ancora prima della costruzione del triangolo portante della bici, colava un acido che face va risaltare la scritta con il suo nome. Qualche pezzo per amici lo fece addirittura con disegni in rilievo su tutto il telaio, penso ne abbiamo fatti 3 o 4 al massimo. Un altro abbellimento che apportava ad ogni sua opera, era la scanalatura delle forcelle a mano con uno particolare attrezzo costruito che si era costruito”. – Armando Castiglioni

Telaio sportivo anni ’30

Telai Alpi costruiti per Suzzi Bologna, anni ’40

Telaio corsa anni ’40

Alpi corsa fine anni ’40 marcata Fratelli Cavina Faenza, cambio bolognese PGR

Alpi 1947 per Campagnolo Parigi Roubaix

Telaio Alpi corsa 1948 con forcellini Simplex

Alpi corsa fine anni ’50 marcata Fratelli Cavina Faenza

Alpi corsa primi anni ’50 marcata Galloni Bologna

Alpi corsa 1953, conservata – foto Frameteller

Alpi corsa 1964, marcata Ortelli, conservata – foto Frameteller

IL DESIGN DEI TELAI ALPI

Oltre al fregio Alpi rendeva unici i propri telai con diversi particolari originali, spesso come una vera e propria firma, facilmente riconoscibile e a prova di imitazioni.

IL NODO SELLA

Immediatamente riconoscibili grazie al particolare alleggerimento con 5 o 7 fori passanti con diametro a scalare.

LE CONGIUNZIONI

Le congiunzioni, spesso Nervex, dei telai Alpi sono sempre molto curate e personalizzate con un disegno originale e distintivo.

FREGIO E PUNZONATURE

Il fregio Alpi non ha subito modifiche nell’arco dei trent’anni di produzione. Sul tubo sterzo erano punzonati numero seriale – gli ultimi 2 numeri per l’anno di costruzione del telaio – e la dicitura “Cicli Alpi Faenza”.


CICOGNANI

Fonti: Camera di Commercio Forlì / Classic Randezvous

Palmarès: 1924 Gran Coppa di Paisley (Inghilterra) / 1925 Campionato Romagnolo Allievi / 1931 Campionato Emiliano Dilettanti (…)

Della Cicognani Romeo di Forlì, attiva dal 1922 al 1962, purtroppo si hanno poche notizie, dal catalogo dei primi anni ’30 dove sono evidenziati i successi agonistici già a partire dal 1924 in Inghilterra e dall’unico esemplare di bici di cui abbiamo immagini è però possibile intuire che l’azienda fosse in possesso di un un alto livello tecnico.

La bicicletta presentata in questa pagina è un modello da pista, nelle decals compare la scritta “Tipo Montherly 1933” e sul tubo sterzo è pantografato il numero di serie 1310, facendo due conti la produzione dell’officina nella prima decina d’anni di attività non superava quindi le 250 biciclette all’anno.
Il telaio è quello di una bici professionale costruito con grande cura dei dettagli, saldato con tubi in acciaio Columbus completamente cromati e serie sterzo è integrata nel telaio. Il movimento centrale è marcato Bollea Saluzzo mentre il mozzo anteriore riporta il marchio dell’officina romagnola.

In Francia a Montherly nel 1933 si corsero i Mondiali su strada  e gli unici due titoli furono assegnati al francese George Speicher tra i professionisti e lo svizzero Paul Egli nei dilettanti, sfortunatamente il catalogo in nostro possesso con l’elenco dei piazzamenti ottenuti dal marchio si ferma all’anno precedente e non possiamo sapere se uno dei due atleti corse in sella ad una bici Cicognani.

Se avete notizie di questo interessante e misterioso marchio potete scrivermi a info@frameteller.it

Catalogo Cicognani, primi anni ’30

Subiamo (Arezzo) / Gran premio Mercato Saraceno / Criterium Dilettanti Camaldolesi / Circuito della Valle del Secchio (Lucca) / Giro della Cartagena (Gallicano) / Gran Premio Coreglia antelminelli / Coppa Togneri (Barga) / Coppa Equi Fornaci di Barga / Campionato Toscano Indipendenti / Coppa Verzam / Circuito del Comune di Bagni di Lucca 1925 Circuito dei tre fiumi (Forlì) / Omnium Dilettanti (Ravenna) / Targa Cicognani / Coppa Antella (Firenze) / Coppa Landucci (Lucca) Coppa Gabriella Zucca (Firenze) / Livono-Volterra e ritorno 1927 Coppa Fratelli Mussolini S, Marino in Strada / Coppa Faticar non Fietar (Bologna) / Coppa Comune di Savignano / Coppa Bernardi-Godo (Ravenna) / Coppa Città di Rocca San Casciano 1928 Coppa Babini (Fustigano) 1930 Bologna-Pianoro e ritorno / Bologna Bagni della Porretta / Campionato Vittorie: Romagnolo Allievi / Giro del Monte Trebbio (Dovadola) / Coppa Leardo Guerra (Borgo Buggiano) / Coppa Gavioli (Parma) Coppa Cerri (Pistoia) / Criterium Tricolore (Bologna) / Circuito Giardini Margherita (Bologna) 1931 Firenze-Figlino Valdarno / XX Giro dell’Emilia e Campionato Emiliano Dilettanti / Giro del Mugello / Coppa Città di Cesenatico / Eliminatoria Regionale (Coppa Italia) / Criterium d’apertura (Rimini( / Campionato Romagnolo Allievi / Criterium Tricolore (Bologna) 1932 Coppa Ettore Panini (Forlì) Selezione Emiliana per il Gran Premio dei giovani di velocità / Giro della Provincia di Ferrara.

Cicognani pista costruita per i Mondiali di Montlhery (Francia) del 1933. Foto Jon Williams

Cicognani da donna primi anni ’50, n. 44223

Fregi Cicognani


CIMATTI

Fonti: Archivi ciclismo / il Resto del Carlino / Wikipedia

Palmarès: Maco Cimatti medaglia d’Oro su Pista alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932 / 4 tappe al Giro d’Italia / Giro dell’Emilia 1934 / Milano-Sanremo 1937, 3° classificato

Agonismo: Squadra professionisti Cimatti: Casola, fratelli Zanazzi, Cecchi, Barozzi

Marco Cimatti nasce il 13 febbraio 1913 a Bologna. La sua forza come ciclista emerge già nella categoria dilettanti e, a soli 19 anni, viene selezionato per la decima Olimpiade dove, in sella ad una bici costruita dal concittadino Amleto Villa, vince l’oro nell’inseguimento a squadre alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932.
Atleta poliedrico, valido passista, veloce e ottimo pistard, si è distinto in diverse specialità, oltre all’Oro Olimpico nella sua carriera ha vinto anche quattro tappe nei Giri d’Italia del ’37 e ’38 e un Giro dell’Emilia nel ’34. Si è ritirato dalle corse nel 1940, a soli 27 anni, a causa dell’inizio della guerra.

Nel 1937, anno in cui giunge terzo nella Milano-Sanremo, Cimatti insieme alla moglie Gemma Parini apre l’officina per la riparazione e la costruzione di biciclette in via Lame a Bologna. Dal 1948 al 1950 ha dato vita anche alla omonima squadra di professionisti, tra le sue fila alcuni validi corridori come Casola, i fratelli Zanazzi, Cecchi e Barozzi. Alla vigilia della guerra l’impresa ha già superato la dimensione artigiana ed è in grado di rispondere a incarichi anche di notevole entità. Nel 1945, riparati i danni subiti dai bombardamenti, l’azienda ritorna operativa e viene ampliata con un altro negozio in via Ugo Bassi. L’anno seguente contando già 30 operai l’officina viene trasferita in uno spazio più grande in via Casarini, dove alla produzione di biciclette viene aggiunta quella di telai per micromotori.

La Cimatti partecipò alle grandi competizioni come Giro d’Italia e Tour de France dal 1947 al 1950. Nel 1948 riuscì nell’impresa di competere con le favorite Bianchi, Legnano e Wilier, rispettivamente guidate da Coppi, Bartali e Magni. Nel Giro del 1956 Ezio Cecchi della Cimatti perse la maglia rosa solo all’ultima tappa a causa di una foratura a causa della quale venne superato in classifica da Magni per soli 11 secondi, ancora oggi il minor distacco tra primo e secondo classificato nella storia del Giro d’Italia. Tra i corridori che hanno corso con la maglia Cimatti, Ezio Cecchi, Renzo Zanazzi, Danilo Barozzi, Pietro Giudici.

Negli anni ’50, quando i sintomi della crescita del benessere diventavano concreti e l’Italia si avviava verso il boom economico, Cimatti decide di affiancare all’officina anche una fabbrica per produrre ciclomotori e motociclette che in breve tempo si affermerà sul mercato nazionale e internazionale.
Marco Cimatti ci ha lasciati il 21 maggio 1982.

Il palcoscenico olimpico Rose Bowl di Los Angeles, 1932 cerimonia inaugurale.

La squadra italiana alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1932.
Medaglia d’oro nei 4000 inseguimento a squadre.
Cimatti al centro (sopra) il primo a destra (sotto).

Articoli dell’epoca sulle vittorie di Cimatti

I corridori Zanazzi e Barozzi in maglia Cimatti

Ezio Cecchi in maglia Cimatti, 1951.

Ezio Cecchi in maglia rosa al Giro d’Italia

1948, Campionato Italiano, Logli con la maglia Cimatti

Un particolare brevetto Cimatti del 1946.  Il pedale, presentato al Salone di Milano del 1946, aveva il vantaggio di eliminare il famoso “punto neutro”.
Illustrazione di Rebour per la rivista francese “Le Cycle” 1946.

Annuncio pubblicitario Cimatti

Fregi Cimatti

ca 1946/47 Cimatti strada Cambio Corsa n. C11206, restaurata

ca 1946/47 Cimatti strada Cambio Corsa n. C12569, conservata – Foto Giovanni Nencini

ca 1948 Cimatti strada Cambio Corsa n. C14205, conservata

ca 1949 Cimatti strada n. C14608, telaio per gruppo cambio Simplex, conservata. Foto Frameteller.

ca 1949 Cimatti strada Cambio Corsa n. C14824, restaurata

ca 1949/50 Cimatti strada Cambio Corsa n. C15318, conservata

1950 Cimatti strada Cambio Corsa n. C15737, restaurata. Foto Frameteller.

ca 1950 Cimatti C16638. Foto Moreno Bianchini

ca 1950 Cimatti C17839, cambio Campagnolo due lev, restaurata. Foto Frameteller.

ca 1950 Cimatti C16638. Foto Moreno Bianchini

ca 1950 Cimatti C16638. Foto Moreno Bianchini

ca 1950 Cimatti C16638. Foto Moreno Bianchini

ca 1950 Cimatti C16638. Foto Moreno Bianchini

ca 1950 Cimatti C16638. Foto Moreno Bianchini

ca 1951/52 Cimatti strada Cambio Corsa n. C18945, conservata

ca 1952 Cimatti strada Cambio Corsa n. C21548

ca 1952/53 Cimatti strada Cambio Corsa n. C25374


Boschetti Special '91

1991

BOSCHETTI SPECIAL MULTI SHAPE

Condition: PRESERVED
Framebuilder: UNKNOWN
Tubing: COLUMBUS MULTI SHAPE
Group: CAMPAGNOLO RECORD
Saddle: CINELLI
Handlebar & stem: CINELLI
Rims: CAMPAGNOLO SHAMAL TITANIUM

Photo: Frameteller

DOSI

Fonti: intervista a Walter Dosi

Meccanico e costruttore per: Fiorella / Fancucine / Magniflex / Giacobazzi

Hanno corso con bici Dosi: Marco Pantani

Ha collaborato conRauler Paletti / Martini / Chierico

Walter Dosi, classe 1954, corridore nella categoria dilettanti fino al 1975 per la Giacomazzi è stato meccanico e saldatore per diversi team tra i quali Giacobazzi, Fiorelli, Fancucine e Magniflex.

Nel 1979 apre l’officina a Imola nella quale ha costruito per un ventennio raffinatissimi telai come il Futura, realizzato da Dosi a metà anni ’80 con speciali tubi disegnati da Luciano Paletti di Modena e prodotti dalla ORIA con una particolare forma schiacciata, sono infatti questi gli anni delle prime sperimentazioni sul design delle tubazioni per irrigidire e rendere più reattivi i telai delle bici.
Gli stessi tubi furono usati anche da Luciano Paletti nel suo modello Meteor strada e pista, il quale si distingue dal Futura per la marca di forcellini e congiunzioni, Silva per Paletti, Cinelli per Dosi.

Nel biennio ’90 e ’91 Walter è stato meccanico e saldatore della Giacobazzi, nel team c’era anche il giovane Pantani, il quale corse il Giro d’Italia dilettanti del 1991 in sella ad una bici Dosi.

I primi campioni del modello Futura ebbero dei problemi crepandosi vicino alla scatola del movimento centrale, Walter intervenne quindi sul design della piegatura dei tubi migliorandone anche l’estetica. Il Futura è rimasto in produzione fino al 1993.

Frutto della collaborazione con il maestro verniciatore Mario Martini di Lugo, le livree Dosi sono tra le più belle e originali degli anni ’70 e ’80.
La grafica delle livree esce dalla tradizione del tempo con un linguaggio fatto di segni astratti e tinte sfumate, mescolando stilemi derivati dall’estetica urbana e della moda anni ’80. Visitare l’officina Dosi in quegli anni era come entrare in una galleria d’arte contemporanea.

A inizio anni ’90 Dosi ha affidato la costruzione dei suoi telai all’amico Reclus Gozzi (Rauler) di Reggio Emilia. Oggi lavora insieme al figlio, anche lui ex dilettante, nel proprio negozio-officina dove oltre alla vendita di bici e accessori offrono un servizio di consulenza e assistenza di altissimo livello, basato sulla grande esperienza di tecnica del padre e la padronanza del figlio nelle nuove tecnologie.

Walter Dosi con la sua “Futura”, foto Frameteller

Dosi Crono

Dosi Futura, verniciatura “crack” by Mario Martini. Foto Eroica Cicli

Dosi AIR, foto Frameteller

Dosi Pista


FANTINI

A Ferrara, Bruno Fantini stava alla bicicletta, come Pavarotti alla lirica, Rivera al Milan, Rita Levi Montalcini alla ricerca medica. Pochissime le tracce sulle quali ricostruire la sua carriera, le sue bellissime bici in acciaio sono comunque le migliori (e sincere) testimoni del suo talento. I pochi telai che sono riuscito a documentare mostrano, oltre ad una notevole maestria e precisione, diverse caratteristiche peculiari e innovative come l’attacco allungato per il cambio, il particolare attacco saldato al telaio per la pinza freno anteriore, l’esasperazione dell’alleggerimento dei foderi posteriori e anteriori, insieme ad altri concetti comuni ad altri telaisti coevi come la svasatura del tubo verticale o la forma ad arco del ponticello posteriore.
In certi casi Fantini è arrivato a creare delle vere e proprie opere d’arte, scolpendo l’acciaio della forcella e del carro posteriore per alleggerire il telaio. La sua officina non aveva insegna ma erano era sempre aperta agli ospiti, grandi e piccini, che volevano osservare Fantini al lavoro e nel 1984 fu realizzato all’interno dell’officina un preziosissimo filmato che riprende Fantini impegnato nell’intero processo di costruzione di una bici da corsa.
Bruno fantini è scomparso nel 2008.

“Un traguardo sicuro” di Raffaello Fontanelli ,1984. Versione digitale da film su pellicola. Bruno Fantini, noto artigiano Ferrarese, nel suo laboratorio costruisce “su misura” il telaio di una bicicletta da cicloturismo.  Tratto  da “Ferrara tra cinema e memoria” in onda su Telestense.

Fantini Superleggera, 1982, conservata. Foto Emanuele Biondi

Fantini Specialissima 1981. Foto Frameteller
Galleria completa immagini qui.

Fantini strada fine anni ’70 / Foto Loris Casolari
Profondo alleggerimento degli attacchi ai forcellini posteriori e anteriori.

Bici strada Bruno Fantini Superleggera

Fantini crono

Fantini AIR, verniciatura Martini. Foto Fabio Zecchi

Fantini strada


F.LLI GUERRA

Fonti: Artigiani e BiciClette in Romagna nel ‘900, di Ivan Neri, W. Berti Editore

I fratelli Guerra in tutto erano sei, Luigi nel 1916 fu l’unico a nascere a Lugo mentre gli altri fratelli nacquero a S. Potito, nelle campagne lughesi dove la famiglia abitava. La madre morì quando i figli erano ancora molto giovani, il padre lavorava in una cantina d’inverno e vendeva angurie d’estate, alla morte della moglie fu costretto a mandare i figli nel collegio statale Villa S. Martino nei pressi di Lugo, dove ebbero la possibilità di acquisire quella formazione tecnica di base, oltre al diploma statale di specializzazione che era negata alla maggior parte degli artigiani di quel tempo.

Durante gli studi Luigi Guerra, oltre alla saldatura, imparò anche a lavorare a mano il metallo, creando delle vere e proprie sculture in acciaio. Al termine degli studi in collegio ricevette l’offerta di lavorare presso la Cassa di Risparmio, un lavoro sicuro e molto ambito a quei tempi, al quale però egli preferì il lavoro manuale in officina. Fu così che negli anni ’30 comincio a lavorare presso l’officina Cantagalli con i tre fratelli.

La Cantagalli al tempo poteva contare su una ventina di dipendenti, oltre alla rivendita di pezzi di ricambio e biciclette da strada e sportive costruivano anche biciclette marchiate con il nome “Atlas”. I fratelli Guerra, grazie alla specializzazione, erano tra i pochi saper saldare e verniciare telai e vennero tutti incaricati della direzione dei reparti produttivi, Luigi e il suo futuro socio alla saldatura, gli altri due alla verniciatura. Tutti erano profondamente legati dalla passione della bicicletta e affiatati sul lavoro, dopo l’officina andavano a farsi un giro sulle biciclette che si erano costruiti da soli. Uno dei fratelli morì di infarto pochi anni dopo a soli 20 anni.

Nel 1938 Luigi Guerra partì per il servizio militare in Africa per tornare a casa solo nel 1944 dove ricominciò subito a lavorare presso la Cantagalli. Solo due anni dopo con il fratello aprirono la propria officina nel centro di Lugo, prsso la casa di famiglia della moglie di Luigi.

L’attrezzatura necessaria in gran parte se la costruirono da soli mentre per i componenti, che acquistavano da Cantagalli o da venditori di Faenza e Bologna, sceglievano solo il meglio, Campagnolo per il cambio, Cinelli per i manubri e i raggi in acciaio Inox per le ruote. Nei primi anni del dopoguerra, date le condizioni economiche e sociali, in pochi potevano permettersi di acquistare una bicicletta e spesso solo a rate di dieci anni. Famiglie molto numerose condividevano quindi solo una sola bicicletta che di solito era ad uso esclusivo del capofamiglia e a turno per gli altri.

Nei primi anni 50 nell’officina Guerra lavorano 4 giovani apprendisti: Angelo Banini, Mauro Savioli e Dalborgo, dieci anni dopo, con il boom economico e l’espansione del mercato della bicicletta sportiva, l’azienda si specializzò nella costruzione di bici da corsa per amatori e professionisti. Molte le collaborazioni e i telai costruiti per altri marchi della Regione, di particolare importanza la collaborazione con Antonio Alpi e l’officina Ortelli di Faenza.

L’officina F.lli Guerra di Lugo chiuse nel 1984. Luigi Guerra morì all’età di 82 anni, fino alla fine continuò ad usare la bicicletta.

Gruppo Sportivo Gurra, 1948 Lugo di Romagna

Dettagli di una bici Guerra della fine degli anni ’50. Restaurata.

Dettagli telaio Guerra anni ’60. Dalle congiunzioni e dal nodo sella con vite passante è evidente la collaborazione con Ortelli di Faenza.

Guerra anni ’70

Dettagli telaio Guerra anni ’70, congiunzioni Nervex e forcellini Zeus

Telaio guerra primi anni ’80.
Restaurato con decals Grandis, evidentemente il proprietario ha confuso il simbolo dei F.lli Guerra pantografato sulla testa forcella con quello del marchio veneto.


MALAGUTI

Cicli Malaguti / Biciclette su misura – poi azienda di motocicliSan Lazzaro di Savena (BO), Italia / 1930 – 2012

Ha collaborato con: Cinelli, Frejus, Legnano, altri marchi italiani e stranieri

Agonismo: squadra professionistica, campionato italiano dilettanti su pista e strada negli anni ’40-’50 / Petrucci, vincitore della Milano-Sanremo nel 1952 e ’53.

Fonti: Archivio storico Malaguti / Malaguti, una vita tra le moto e i rossoblù di Valerio Varesi Repubblica 27-4-2003 / Paramanubrio / Classic Randezvous / Velo-retro.com

 

Antonino Malaguti ha passato tutta la vita in equilibrio su due ruote, fin quando da bambino si impegnava sulle salite di San Giovanni in Persiceto dove nacque nel 1908. Correre in bicicletta è sempre stata la passione della sua vita, indole agonistica che a causa un incidente incanalò poi con grande successo nella sua officina per la costruzione di biciclette, nella quale ogni anno lo andavano a trovare personaggi come Bartali e Coppi.

Storica3
L’officina Malaguti a San Lazzaro di Savena (BO) / Archivio Malaguti

Storica1

L’officina meccanica Malaguti apre nell’inverno del 1930 a San Lazzaro di Savena in via Bondi, in un piccolo capannone, con dieci dipendenti e senza riscaldamento.
Subito dopo la pausa della guerra Malaguti riprende l’attività dell’officina dando vita anche ad una squadra professionistica che equipaggia e sponsorizza, il team annovera campioni come Loretto Petrucci, vincitore della Milano-Sanremo nel 1952 e ’53.

malaguti squadra
Squadra professionistica Malaguti / Archivio Malaguti

Dei telai Malaguti si sa poco o nulla, a giudicare però dalla qualità delle innovazioni tecnologiche uscite dall’azienda dovevano essere di ottimo livello. Nel 1949 Antonino Malaguti rivela intuito e profonda capacità tecnica, qualità che lo hanno accompagnato lungo tutta la carriera di meccanico e imprenditore, brevettando le prime congiuzioni senza saldatura per i telai delle biciclette, ottenute direttamente dai tubi tramite estrazione.

Illustration from 1949 Cycling magazine report of the Milan Cycle Show.
Illustrazione di congiunzioni Malaguti dal catalogo della Fiera del Ciclo di Milano del 1949. / Foto Classic Randezvous

 

Le congiunzioni Malaguti ebbero subito grande diffusione, scelte anche da molti costruttori tra i quali grandi marchi come Frejus, Legnano o Cinelli che le utilizzò su tutti i telai fino ai primi anni ’60.

“1947-51The Modello Speciale Corsa Lusso (Special Racing Luxury) frame has a semi-sloping fork crown (not full-sloping) with or without spear point on outside of the fork leg and a Malaguti “Frejus-style” seat lug with separate seat tube collar; frame production is approximately 250-300 frames per year. The frame features chrome Malaguti “wolf’s ears” head lugs, chrome fork, four chrome rings on the seat tube, lozenge-shaped “CINELLI” decal on the down tube, an open cable run beneath top tube for rear brake cable (sometimes internal rear-brake cable routing) and eyelets for fenders.” (dalla timeline Cinelli / via velo-retro).

 

cinelli 1959 congiunzioni malaguti
Cinelli Super Corsa del 1959 con congiunzioni Malaguti soprannominate ‘Wolf’s ears’ / Foto Cinelli Only

cinellicat19632_zpse6acad2d
Catalogo Cinelli del 1963 / Foto Classic light weights – Ron Kitching

 

Malaguti fine anni ’40

15989431191_52e77dc214_o
Malaguti Cambio Corsa road bike / Foto by Kevin, Flickr ktk17028

 

15990738692_48bd84f21e_o 15965644206_9f41f570da_o 15965638166_d31ac3ff80_o 15805682757_22c50b5605_o 15805680677_20fe27bc3d_o 15805679437_74850037fd_o 15805415059_551ae99443_o 15805411839_7af8cd5008_o 15804140950_878f4116e4_o 15804030878_563668e11c_o 15804027498_c6d3aeefe6_o 15804026668_1ebafca400_o 15371786793_0d93e677fc_o

 

Dalla bici agli scooter.

Negli anni del dopoguerra l’Italia si motorizza, in Emilia più che altrove la piccola industria meccanica avvia nuove soluzioni e sperimentazioni e Malaguti aggiunge alle sue biciclette l’appendice del motore ausiliario, creando così quell’ibrido tra moto e bicicletta che passerà alla storia con il nome di ‘mosquito‘.

Dalla fine degli anni ’50 la Malaguti ha continuato nella progettazione di mococicli economici a basssa cilindrata diventando negli anni 80 leader del settore. L’azienda ha chiuso nel 2012 mantenendo esclusivamente la produzione di biciclette a propulsione elettrica.

 

Malagutti Bologna.
Fregio Malaguti / Foto Paolo Rossetti


MARASTONI

La versione aggiornata è disponibile su Quaderni Eroici / Get the complete version on Quaderni Eroici.

Fonti: interviste a Licinio Marastoni, Classic Randezvous, Paramanubrio, Ferri vecchi, Bici classiche, Stefano Camellini, Alessandro Marconi

Ha collaborato con: Campagnolo / Cinelli / De Rosa / Moser / Rauler / Paletti / Gimondi, Coppi

Nato il 15 giugno 1922, per qualità, innovazione e creatività, fu uno dei migliori e longevi costruttori italiani di biciclette da corsa dell’epoca Eroica. Oggi tra gli appassionati di tutto il mondo il suo nome è una leggenda e dagli Stati Uniti al Giappone sono dedicati diversi fan club alla sua memoria. Buon corridore, meticoloso tealista a tal punto che la sua officina veniva chiamata dai concittadini “La Farmacia”, fu meccanico per 8 anni al giro d’Italia e lavorò per campioni come Coppi, Bartali, Magni, Baldini, Adorni, Bitossi e Moser. Le sue invenzioni hanno dato un significativo contributo all’evoluzione del design della bicicletta da competizione. La sua inesauribile creatività nasceva dal semplice ed inesauribile amore la bicicletta e, nonostante il successo e la fama del suo lavoro nell’arco di ottant’anni di carriera, fu l’unico tra i grandi maestri della sua epoca a scegliere di mantenere una dimensione artigianale. Curava ogni dettaglio con estrema precisione e la creazione di un telaio richiedeva fino a tre giorni di lavoro manuale, di fatto un approccio incompatibile con tempi e logiche commerciali della produzione industriale. Tullio Campagnolo stesso, che di innovazione ne sapeva qualcosa, ebbe una grande stima per Marastoni e usava spesso recarsi nella sua officna per scoprire le nuove idee del maestro, così come erano di casa anche altri grandi protagonisti come DeRosa, Masi, Cinelli e i fratelli Shimano. Continuò a lavorare in officina fino al 1991, all’età di 87 anni, di cui 80 di carriera. Come altri costruttori di questa generazione, ha lasciato un ricordo indelebile per genio creativo e grande umiltà, due qualità oggi molto difficili da ritrovare.

1920-1960

Licinio ereditò la passione dal padre ciclista e già da piccolissimo la bicicletta lo appassionava a tal punto da preferire smontare le biciclette dei grandi piuttosto che giocare con i coetanei. A 7 anni si esercitava nell’officina di un meccanico del paese e a 11 lasciò la scuola per lavorare come apprendista presso l’officina di Grasselli, il quale, vista la grande passione del ragazzo, non chiese nulla in cambio nonostante al tempo fosse comune pagare il periodo di apprendistato. Ad appena 17 anni scelse definitavamente la carriera di artigiano preferendola a quella più sicura di prete pianificata dai genitori, i quali impegnando la preziosa macchina da cucire, offrirono le 6.000 Lire necessarie per acquistare l’attrezzatura. Fu così che ancora minorenne anni Licinio aprì la sua officina con l’amico, appena dodicenne, Marco Mazzoni. I clienti vedendo Licinio cosi giovane gli chiedevano dove fosse il titolare e lui rispondeva che il titolare era fuori e sarebbe tornato presto, intanto si faceva lasciare la bici da riparare. A quella età Licinio non poteva firmare le bici a suo nome, fu così che nacque il marchio “Sprinter” con il disegno del Sole dell’Avvenire, simbolo che verrà poi ripreso due anni dopo nel primo fregio firmato Marastoni. Un anno dopo andò in guerra, fuggì dalla prigionia e tornò a piedi dall’Austria a Reggio Emilia, dove riprese a lavore. Nel 1946, tra rovine le rovine della seconda guerra mondiale, le ristrettezze economiche costrinsero Marastoni a cercare un nuovo socio con cui riaprire l’officina e lo trovò solo due anni dopo in Ferdinando Grasselli, proprio colui che per primo gli aveva dato fiducia. Nacque così La Cicli Grasselli – Marastoni che rimarrà attiva fino al ritiro di Grasselli nel 1960. Le bici di questo periodo sono riconoscibili per il famoso color verde Marastoni e tre strisce blu scuro delimitate da filetti bianchi sui tre tubi, la scritta “Marastoni” è in carattere corsivo di colore bianco. Nel 1967 Ercole Baldini gli commissionò le biciclette per la squadra Salamini Luxor, di cui era il direttore sportivo, tra i corridori il campione del mondo Adorni.

«Perchè venite da me quando a Bologna avete il maestro Marastoni?»

— Faliero Masi

1944 Reggio Emilia dopo i bombardamenti

1948, pubblicità Cicli Marastoni, foto Alessandro Marconi

Licinio Marastoni.

Licinio Marastoni al lavoro in officina. Foto Stefano Camellini

IL VERDE MARASTONI

Una delle caratteristiche che rendono riconoscibili i telai di Marastoni è il particolare colore verde. In realtà fu un’intuizione nata in modo completamente casuale, Negli anni ’40, all’inizio della sua carriera di costruttore, Licitino era alla ricerca di un colore che gli permettesse di distinguere a colpo d’occhio le sue biciclette dai diretti concorrenti di Reggio Emilia e delle città vicine. L’intuizione arrivò durante una passeggiata lungo il fiume dove trovò un ramarro che lo colpì per la particolare tonalità di colore verde brillante, lo mise in una scatola e lo portò direttamnte al verniciatore chiedendogli preparagli esattamente lo stesso punto di verde.

1938 bicicletta Marastoni marcata “Sprinter, una delle primissime bici di Licinio quando ancora non poteva marcarle a proprio nome.

Circa 1946, bicicletta strada Marastoni, sul tubo diagonale le prime decals Marastoni, il fregio non è ancora quello con il “sole dell’avvenire”, probabilmente un modello pre-impostato offerto dal fornitore.

1947, bicicletta da corsa Marastoni numero 38, probabilmente una delle prime con seriale e la prima versione del fregio originale Marastoni. Foto Frameteller.

1950 Marastoni strada N. 361 con forcellini per il cambio Parigi-Roubaix

1953 Marastoni strada Campagnolo Cambio Corsa

Metà anni ’50, Marastoni strada con nodo sella G. Fisher

1961-1991

Alla fine degli anni ‘60 dall’officina uscivano bici su misura per grandi campioni come Gimondi e Fausto Coppi, Licinio condivideva passione e lavoro con il suo unico figlio Marco di dieci anni. Nel ‘69 l’idea che cambiò tutto: in officina si presentò l’amico Renzo Landi, rivenditore di impianti a gas, Licinio notò su una bombola dell’ossigeno una particolare valvola realizzata in microfusione e, primo nella storia, ebbe l’idea di usare questa tecnologia per produrre congiunzioni e teste delle forcella per i suoi telai. I primi esperimenti ebbero esito più che soddisfacente ma, essendo una tecnologia industriale, per fare ulteriori test era necessario ordinarne un quantitativo di pezzi troppo elevato.
Nel 1971, su insistenza di Cino Cinelli, Marastoni decise quindi di rischiare tutti i risparmi investendo nella commissione, all’azienda “Microfusione Italiana”, di una intera serie da testare.
Oltre a Cinelli, l’esperimento attirò da subito l’attenzione anche quella di altri maestri come Masi, DeRosa e Colnago i quali a più riprese visitarono l’officina per osservare la nuova invenzione. In realtà Marastoni e Cinelli condividevano reciproca stima e scambio di idee (come la forma abbassata della testa della forcella o l’attacco “fastback” dei forcellini posteriori realizzato dalla Georg Fischer) già dalla prima metà degli anni ‘60. Fu sempre Cinelli, nel 1971, a convinvere Licinio ad accompagnarlo alla Fiera del Ciclo di milano per mostrare i prototipi in microfusione ad alcuni clienti selezionati, nell’ottica di brevettarle e produrle insieme in scala industriale. Nacque così un accordo tra Cino e Licinio con un utile per il secondo del 10% sui ricavi. La fama delle innovazioni di Marastoni si diffuse velocemente nell’ambiente e inevitabilmente i clienti aumentarono sia in italia che da paesei come Giappone, Germania e Svizzera, per avere un telaio Marastoni (solo 1,8 kg!) nonostante fosse necessaria un attesa anche dieci mesi. A quel tempo in officina oltre a Licinio e figlio, lavoravano a tempo pieno anche due artigiani per aiutare nelle accurate lavorazioni di taglio, saldatura e limatura dei telai, lavoro che richiedeva fino a 3 giorni, un tempo decisamente più lungo rispetto alla media dell’epoca.

«Non ho mai registrato brevetti, a me interessava solo costruire biciclette»

— Licinio Marastoni

Nel 1972 il figlio Marco, promettente ciclista dilettante, partì in auto verso Milano per scegliere con Cino Cinelli il capannone che avrebbe ospitato la produzione industriale delle nuove congiunzioni in microfusione. Durante il viaggio la tragedia, Marco fu coinvolto in un incidente stradale e perse la vita. Il lutto per Licinio fu evastante, lasciò il lavoro e chiuse l’officina.

Amici, colleghi e ammiratori si strinsero da subito intorno alla famiglia, sostenendola ogni giorno con una infinita dimostrazione di affetto, fino a che, a ormai un anno dall’incidente, Licinio riusci a trovare la forza di ricominciare. Da quel momento in poi Marastoni creò le sue bici specialissime, destinate esclusivamente a clienti di cui aveva totale rispetto, firmandole con decals con il nome del figlio scomparso, per il quale nel 1973 organizzò anche una speciale corsa, la  “Memorial Marastoni”, la cui ultima edizione si tenne nel 1996. Tra i sostenitori più vicini a Marastoni vi fu anche Francesco Moser con il quale poi Licinio instaurò un rapporto di grande stima e collaborazione destinato a durare per molti anni. A dieci anni di distanza dal ritorno di Licinoi  in officina, Moser gli chiese di costruire le sue biciclette da corsa. Licinio accettò l’incarico ma si dovette ritirare  appena emersero con forza le logiche commerciali della grande industria, non compatibili con il livello di qualità, cura e tempi necessari al suo metodo di lavoro. Il progetto quindi si fermò ma non l’amicizia e la collaborazione tra i due, nel 1984 Marastoni costruì a Moser la bici con la quale vinse il Giro d’Italia, il telaio era studiato sulle caratteristiche fisiche del campione e disegnato per permettergli una pedalata più arretrata in grado di esprimere tutta la sua potenza.

Licinio Marastoni ci ha lasciati nel dicembre 2015.

Marastoni strada fine anni ’50

1960, Marastoni strada N. 277

1961, Marastoni strada, foto Ignazio Sca

Primi anni ’60, Marastoni strada

Marastoni specialissima pista “Marco”, restaurata.

L'OFFERTA SHIMANO

«Nel 1966-67, vennero da me i dirigenti giapponesi della Shimano, e mi dissero che se montavo i loro prodotti me li davano con lo sconto al 50%. Chiamai Campagnolo dal quale acquistavo con il 16%, quasi come tutti, salvo Chierici che aveva il 20%. Campagnolo mi sconsigliò accettare l’offerta Shimano e tirando fuori le fatture di grossi marchi come Bianchi a cui vendevano con il 28%, lo offrirono anche a me e accettai. Poi ero io a rivendere al 18% agli altri che venivano da me invece che rivolgersi direttamente in azienda. Fu una soddisfazione».
Intervista a Licinio Marastoni, novembre 2010

Marastoni specialissima “Marco” primi anni ‘70

Marastoni specialissima “Marco” primi anni ‘70

Marastoni 1977 N. V198. Componenti FT Bologna in ergal e titanio. Deragliatore anteriore Brev. Luciano Paletti.

Marastoni fine anni ‘70

Marastoni specialissima “Marco” 1978. L’ultima bici costruita con il socio Mazzoni.

Marastoni Specialissima “Marco” anni ‘80

Marastoni Specialissima “Marco” anni ‘80

IL DESIGN DEI TELAI MARASTONI

Nell’arco della sua carriera Marastoni ha realizzato importanti innovazioni portando un fondamentale contributo all’evoluzione del design del telaio delle bici da corsa in acciaio.  Queste idee non sono mai state tradotte da Marastoni in veri e propri brevetti, in quegli anni e in particolare nell’area tra Modena e Reggio Emilia, vi erano altri costruttori impegnati sulle medesime soluzioni, tra i quali vanno ricordati Luciano Paletti e Orazio Grenzi, entrambi di Modena. È impossibile oggi poter accertare se Marastoni sia stato il primo in assoluto a realizzare le invenzioni che lui stesso si è attribuito, ci limitiamo qui ad elencare quelle confermate da più autorevoli fonti.


ANNI '40 Testa della forcella con la spalla inclinata verso il basso per irrigidire il telaio.

PRIMI ANNI '60 Serraggio cannotto sella con dado a brugola.

ANNI '60 Passacavi cavi cambio e freni, e inviti portaborraccia, saldati al telaio.

FINE ANNI '60 Perni delle pinze dei freni saldati direttamente al telaio.

FINE ANNI ‘70 Attacco per deragliatore anteriore saldato direttamente al telaio.

FINE ANNI '60 Perni delle pinze dei freni saldati direttamente al telaio.

FINE ANNI ‘70 Congiunzioni e testa forcella realizzate in microfusione.

FREGI MARASTONI

Il simbolo del Sole dell’Avvenire, molto caro a Marastoni, è presente come decal sul tubo sterzo già sulle prime “Sprinter” della fine degli anni ’30. Pochi anni dopo Marastoni inaugura decals a suo nome con un fregio in ottone senza il disegno del sole, probabilmente si trattava di un prodotto di serie già impostato e personalizzabile offerto dal fornitore. Il simbolo del sole ritorna comunque già nel fregio immediatamente successivo, insieme alla scritta Marastoni. Dalla fine degli anni ’40 viene data al fregio una forma più appuntita e originale, mentre dagli anni ‘60 presenta la “M” insieme allo stemma della città di Reggio Emilia.

NUMERAZIONE DEI TELAI

Marastoni annotava misure, colore, nome e misure del proprietario e numero di telaio di ogni sua bicicletta da lui costruita. Il numero seriale era inciso sotto alla scatola del movimento centrale, non in tutti i telai, ne sono privi infatti i telai di media gamma costruiti da terzisti. Purtroppo i suoi registri di Marastoni con tutte le informazioni sono andati dispersi dopo la sua scomparsa.

SCATOLE MOVIMENTO CENTRALE


MESSORI

Fonti: Luca Campanale, Paolo Chiossi, Stefano Orlandi nipote di Messori

Lino Messori, lontano parente di quel Carlo Messori vincitore di titoli mondiali negli anni ’30 e marito di Alfonsina Strada ciclista e pioniera della parificazione fra i sessi, è nato a Modena il 24 febbraio del 1926, personaggio eclettico, artigiano estremamente abile, curioso e creativo, come gli “artisti-artigiani” del Rinascimento riuscì nella difficile arte della fusione di bellezza e funzionalità. Fin da giovanissimo era appassionato di bici e ciclismo e si impegnò come corridore dilettante fino all’avvento della guerra. Per almeno un ventennio, a partire dagli anni ’50 e fino ai ’70, il suo lavoro principale fu la gestione di una importante azienda di stampaggi aperta con altri soci nei primi anni ’50. Nonostante non fosse il suo lavoro primario riuscì comunque ad intraprendere, con risultati di alto livello, anche la professione di artigiano costruttore di telai da corsa, a quei tempi (e anche oggi) un lavoro decisamente impegnativo sia dal punto di vista fisico che tecnico.

Lino Messori con Ernesto Colnago

Le prime nozioni di costruttore Lino le apprese dal padre che costruiva biciclette da passeggio nel proprio negozio a Modena in via Livizzani, competenze che ampliò ai telai da corsa presso la sede milanese della Cinelli, dove spesso si recava per acquistare il materiale necessario all’officina. Nei primi anni ’50 il suo lavoro era già noto e apprezzato anche da ciclisti professionisti come Liberati, il campione ferrarese Attilio Lambertini, gregario di Bartali negli anni ’50, il modenese Walter Generati, capitano della Gloria (1940-42). Il tavolo di riscontro dell’officina fu realizzato trasformando un tavolo in acciaio della Panini che serviva per mischiare e imbustare le famose figurine, Lino si unì in matrimonio con la figlia di Panini, per il quale costruì anche una bicicletta.
Grazie agli introiti della propria azienda potè gestire questo secondo lavoro senza i limiti di tempo imposti dai margini di profitto. Ad ogni fase di lavorazione di ogni singolo telaio, dall’ideazione, all’applicazione delle decals, potè dedicare molto tempo e lavoro, a volte anche 7 giorni, fino ad arrivare alla massima perfezione. Nell’arco della sua intera carriera di costruttore realizzò solo 120 telai, tutti pezzi unici e originali. Oltre alle estrema qualità e originalità delle sue bici, una delle caratteristiche estetiche e funzionali che distinguevano tutti i telai Messori era la cromatura sotto alla vernice impiegata per preservare il telaio dall’ossidazione. Costruì telai anche per altri marchi del modenese come Luciano Paletti.

Alla fine degli anni ’70 Messori vendette l’azienda e si tornò a concentrarsi di nuovo a tempo pieno sulle biciclette riaprendo un negozio in via Ventimiglia. Fu in quel periodo che, attraverso l’amico Corradi, agente e organizzatore di corse ciclistiche, entrò in contatto con Ernesto Colnago per il quale diventò poi rivenditore. Durante una visita di lavoro nella “Boutique”, così Messori battezza la propria officina di 160mq in centro a Modena, Colnago apprezzò la qualità dei suoi telai e decise di commissionargli alcune lavorazioni complesse come la piegatura dei piantoni per le bici da crono, operazione che all’epoca in pochi erano in grado di eseguire a mano con precisione e senza difetti. Sempre per Colnago realizzò due telai interamente in titanio, forcellini compresi. Nei primi anni ’80 sperimentò la saldatura a TIG e realizzò un carro posteriore con il fodero destro in posizione leggermente asimmetrica per poter mantenere la campanatura della ruota e renderla così più resistente alle forti sollecitazioni.
La collaborazione proseguì con reciproca soddisfazione per diversi anni, Messori fu anche l’ispiratore del concept per la forcella “Precisa” prodotta da Colnago, il quale non perse mai occasione per dimostrargli sincero rispetto e ammirazione per l’artigiano modenese.
Uno delle bici più originali Messori fu sicuramente il modello “Forata” che, su commissione di Ernesto, venne creata come “scultura” per attirare il pubblico negli stand Colnago alla fiera di Milano. Il problema fu che il telaio, così originale e affascinante “rubava” tutta l’attenzione a scapito dei modelli Colnago, ironia della sorte, a Messori fu quindi chiesto di rimuoverla per eccesso di ammirazione. La tenuta dei tubi nonostante i fori così ampi, fu possibile grazie al particolare filo di acciaio da 8mm saldato intorno alle aperture per irrigidire l’area.

A testimonianza della sua attitudine eclettica, oltre alla carriera di imprenditore e di costruttori di bici si è impegnato nella boxe e nel canto, accompagnando anche il maestro Luciano Pavarotti in diverse tournèe nel mondo, ha costruito chitarre in metallo di una in ottone e ha scritto diversi racconti e poesie pubblicati sia in dialetto modenese che in italiano.

Lino ci ha lasciati nel 2015, ma alcuni dei suoi attrezzi continuano a vivere nell’officina pugliese di Gabriele Ardito.

Messori Specialissima 1981. Foto Frameteller
Messori aggiungeva le iniziali del nome del corridore sul tubo orizzontale,
in questo caso “A.D.” solo per le biciclette speciali realizzate per gli amici.
Galleria completa immagini qui.

Messori strada anni ’80, modello “forata”

Messori anni ’80, modello “forata”

Galmozzi anni ’40, conservata.

Messori strada con carro posteriore asimmetrico brevettato.
Lo spostamento del pendente posteriore orizzontale permette il campamento del ruota in modo simmetrico.
Foto Stefano Orlandi

Messori strada anni ’80 con tubo piantone sagomato

1961, Bartali Squadra S. Pellegrino telaio Galmozzi, conservata.

1966, Galmozzi Super Competizione, conservata.

Prototipo Messori realizzato in collaborazione con Conago.
L’intero telaio è in Titanio compresi i forcellini forniti da Colnago.
Ne furono costruiti solo due esemplari, uno marcato messori e l’altro Colnago.
Foto Stefano Orlandi

Messori strada anni ’80, con forcella reversa / Foto Stefano Camellini

Messori strada anni ’80, con forcella reversa

Lino Messori - Alla velocità del cuore / At the speed of heart

Lino Messori said of himself “I am nobody, but I did a bit of everything”. Born in 1926, in Modena, Italy, Lino quickly became a local fixture both for his incomparable skills and his personality. A master frame builder who also followed a myriad of different passions, spanning from singing with opera legend Luciano Pavarotti to never losing a single boxing match.
Lino Messori made 150 bespoke bikes over the span of his career, many of which were very special for the time and still today.
Film by Luca Campanale. Inspired by Paolo Chiossi. In collaboration with Davide Fonda, Marco Brandoli, Pongo Films and Plus NYC. Music By: Possimiste, Assif Tsahar, Peter Kowald & Rashied Ali.

"Io non sono nessuno, ma ho fatto di tutto"

— Lino Messori


ORTELLI

Cicli Ortelli Faenza / Biciclette su misura / Faenza, Italia / 1921 – 1990

Fonti: intervista a Vito Ortelli / troppebici.wordpress.com / “sei chili e mezzo di biciletta” di Luigi Severi / “Vedrai che uno arriverà. Il ciclismo fra inferni e paradisi” / museodelciclismo / Ciclisti Resistenti / Il ciclismo degli inossidabili / Campioni del ciclismo di Romagna, di Ivan Neri, Bacchilega Editore. / Artigiani e Bicilette in Romagna nel ‘900, di Ivan Neri, W. Berti Editore

Collaborazioni:  Cino Cinelli / Umberto Patelli / Aride Rivoli / Antonio Alpi

Palmarès: Campione italiano allievi / 14 vittorie da dilettante / 2 volte campione italiano di inseguimento su pista / Campione italiano su strada / Tutti i risultati

Invenzioni: primi anni ’40 Lazzaro Ortelli inventa una tecnica per ottenere la marca in rilievo direttamente sull’acciaio del telaio / fine anni ’40 Lazzaro Ortelli crea il primo tubo in acciaio a sezione stellare /

LAZZARO ORTELLI

Lazzaro Ortelli nacque nel 1892 a Torre di Ceparano, nei pressi di Faenza, la sua storia come artigiano costruttore cominciò molto presto, a soli 6 anni la famiglia lo. mandò a fare l’apprendista alla Marabini di Reda, piccola officina specializzata in riparazioni meccaniche che, dopo la seconda guerra mondiale, crebbe fino a diventare azienda produttrice di telai, prima con il marchio Maga e poi Alma. Siamo nel 1898, in questi anni ragazzini analfabeti lavorano in cambio di vitto e alloggio e la bici è ancora considerata un mezzo di lusso per i pochi che se la potevano permettere.
Dalla Marabini oltre a Ortelli  uscirono eccellenti maestri costruttori come Cicognani, Tassinari e Viroli, quest’ultimo fu il meccanico di Moser ai tempi del record dell’ora a Città del Messico. Lazzaro venne assegnato alla riparazione delle ruote.

A quattordici anni Lazzaro aveva quindi già imparato a costruire le ruote e le nozioni base di meccanica e lavorazione dei metalli. Durante la guerra in ragione della sua esperienza venne quindi assegnato all’officina militare come operaio specializzato per la riparazione delle armi. In questo periodo non approfondì l’arte dell’assemblaggio dei metalli, in cui aveva già esperienza, ma imparò a leggere e a scrivere insieme alla basi della matematica, nozioni fondamentali per la gestione della bottega che aprirà negli anni Venti a San Giovannino e nel 1936 a Ponte delle Grazie a Faenza.

Tra i primi clienti di Ortelli vi fu il grossista Zanazzi di Bologna il quale rimase impressionato a tal punto dall’abilità e dalla passione di Lazzaro da commissionargli una bici per la Fiera del Ciclo di Milano. A quel tempo la Fiera riservava un premio per il miglior telaio in esposizione e così Lazzaro costruì il telaio ma non lo firmò, convinto di non poter competere a soli 22 anni con gli altri ben più famosi ed esperti costruttori italiani. Eppure la sua creazione vinse il primo premio e la giuria non sapendo il nome dell’autore lo battezzò Telaio Romagna.

Nei primi anni ’40 Lazzaro riuscì a piegare verso l’interno la sezione di alcuni tubi in acciaio, fino a dargli una forma a stella molto simile a quella dei tubi lanciati da Colnago quarant’anni dopo e prodotti poi da tanti marchi. L’idea di irrigidire il tubo con le pieghe per scaricare meglio lo snervamento del ciclista sui pedali era un’idea rivoluzionaria ma purtroppo non praticabile al tempo, il tubo così rigido infatti tendeva a crepare a causa delle sollecitazioni causate delle strade dissestate di allora.

Lazzaro fu un abilissimo artigiano costruttore di biciclette, il suo amore per le bici comprendeva tanto la meccanica quanto le competizioni e nel 1926 riuscì nell’organizzare a Faenza una corsa, la mitica Coppa Ortelli, nella quale esordì a 13 anni Glauco Servadei.

Vito Ortelli: “Nonostante il suo modesto negozio di meccanico, Lazzaro fu fin dagli anni venti un maestro tra gli artigiani delle due ruote, un uomo semplice, serio e orgoglioso che, oltre all’obiettivo di sfamare la seppur poco numerosa famiglia, dato che sono figlio unico, metteva nel lavoro la passione e l’arte per un mezzo, la bicicletta, che avrebbe in seguito regalato grandi soddisfazioni alla nostra famiglia.Era uno di quei fabbri talmente abili con le mani da riuscire a creare foglie in ferro che sembravano vere fin nei dettagli delle venature. Quando sperimentavo nuove soluzioni in officina era poi sempre lui quello in grado di realizzarle”.

VITO ORTELLI

Nasce a Faenza nel 1921 in un incubatoio dell’azienda Marabini dove lavorava il padre. A soli 6 anni Vito è stato probabilmente il più giovane ciclista dei suoi tempi, nel 1927 infatti le bici per i bambini non erano ancora state nemmeno immaginate ma il padre, riducendo i cerchi e adattando gomme e camere d’aria, riuscì a costruirgli una piccola bici, lasciandola però volutamente senza freni per costringerlo a non andare troppo forte, a giudicare da come andarono poi le cose, uno stratagemma decisamente poco riuscito. Dalle prime scorribande con quella piccola bici Vito tagliò nell’arco della sua carriera molti traguardi diventando uno dei più importanti campioni nella storia del ciclismo, l’unico nell’immediato dopo guerra in grado di competere allo stesso livello con Coppi e Bartali.

 

ortelli-casa

 

Nel 1938 Vito lasciò l’officina dove lavorava con il padre e dove già a 15 anni saldava i telai, per intraprende una carriera di corridore che lo portò ad essere ben quattro volte campione italiano: due su strada, da allievo e professionista e due su pista, battendo entrambe le volte Fausto Coppi. Al Giro d’Italia ottenne un terzo e un quarto posto, vestendo la maglia rosa per un totale di 11 giornate. Durante la guerra, come anche Bartali e altri ciclisti, collaborò con la Resistenza, mentre nel 1948 recitò se stesso nel film “Totò al Giro d’Italia” insieme ai campioni dell’epoca. Nel 1952 si ritirò dalle competizioni a causa di gravi problemi fisici alla gamba rimanendo però vicino al mondo del ciclismo e impegnandosi, insieme agli amici Magni e Cinelli nella difesa dei diritti sindacali dei corridori fondando l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, della quale Ortelli fu vice-direttore per oltre vent’anni.

Il ritorno in officina.

Intorno alla metà degli anni ’50, con un recente passato da grande campione alle spalle, Vito tornò a Faenza per lavorare di nuovo con il padre nell’officina ricostruita dalla distruzione dei bombardamenti grazie ai soldi guadagnati grazie alle sue vittorie sportive.
Furono molti i corridori famosi che fondarono un marchio di biciclette a proprio nome, molto più rari i campioni come Ortelli che le bici le costruirono veramente e con le proprie mani. Gli artigiani più abili si costruivano da soli anche gli attrezzi dell’officina, come il piano di riscontro per l’assemblaggio del telaio che Vito ricavò dallo sportello di un autoblindo tedesco della seconda guerra mondiale abbandonato vicino a casa.

Vito Ortelli:L’officina si trovava lungo le mura di Faenza mentre il negozio all’angolo del Ponte alle Grazie fino a quando fu bombardato e lo dovemmo trasferire poco più avanti. Le bicicletta venivano assemblate utilizzando una fucina a carbone per scaldare i tubi d’acciaio e poi effettuare la saldatura. Allora tra artigiani c’era stima e rispetto, mio padre e Guerra di Lugo erano i più abili e si fabbricavano da sé i pezzi mentre gli altri erano ancora arretrati e compravano tutto già montato. Come tubi usavamo gli italiani Columbus e in parte minore anche i Reynolds, che arrivavano da Coventry in Inghilterra tramite la Legnano, e i Falk.”

 

officina-ortelli
Officina Ortelli / Foto Frameteller

officina-ortelli2

 

V.O: Le pipe più particolari le facevamo fare ad un bravissimo artigiano di Bologna che riusciva a costruire stampi personalizzati su nostro disegno, così potevamo creare le congiunzioni come volevamo, altre congiunzioni e le pipe le compravamo dall’amico Cino Cinelli, correvamo insieme alla Bianchi da Ragazzi ed eravamo molto amici, a me e a pochi altri (Marastoni) permetteva di usare i componenti speciali in ghisa malleabile che erano più resistenti, bisognava saperle lavorare in quanto la ghisa a differenza della lamiera quando viene scaldata troppo rischia di spezzarsi facilmente durante la lavorazione ma era un ottimo materiale, questi pezzi venivano prodotti in Svizzera (Georg Fischer).

 

officina-ortelli4
Officina Ortelli / Foto Frameteller

 

V.O: Le Congiunzioni che oggi non vengono più utilizzate erano a mio parere anche un bell’ornamento del mezzo, anche se non lasciavano vedere se effettivamente la saldatura era fatta a regola d’arte oppure no, i bravi artigiani prima di saldare i tubi dentro le pipe ne smussavano le estremità in modo che che appoggiassero tra loro dentro la congiunzione per far si che il triangolo principale da cui era costruito il telaio fosse effettivamente un tutt’uno, altri per impiegare meno tempo smussavano la tubatura con un taglio netto e la incastonavano senza far coincidere i tubi ottenendo all’insaputa del cliente un prodotto di qualità inferiore.

Per la cromatura si immergeva prima il telaio nel rame per una maggiore protezione, il rame è infatti il materiale che entra meglio nei pori del metallo e veniva utilizzato per primo, poi lo si immergeva nel Nichel per un ulteriore protezione al deterioramento fino a che non prendeva un colore bianco intenso e infine il bagno nel cromo che dava un bel colore alla bicicletta. Dopo la guerra molti hanno cominciato a fare un unico bagno al cromo lucido, procedimento sicuramente inferiore al vecchio ma meno costoso. La verniciatura si svolgeva in tre fasi: prima si apportava del Minio che è Ossido di Piombo per preparre il telaio al primo strato di vernice al quale, con una tela fine, si applicava il secondo strato, in genere un colore nero perché più resistente alle alte temperature.

All’inizio facevo verniciare e cromare da Cicognani e Cimatti di Faenza, poi quando loro si dedicarono ad altri settori andai da Leoni. Era un grande artista, faceva filettature e disegni a mano libera direttamente sui telai dopo averli verniciati, erano delle opere d’arte. Un altro grande artista era Gino Cornazzani di Castelbolognese, faceva delle incisioni splendide e spesso mi servivo di lui per abbellire i telai, sempre per ragioni estetiche sono stato il primo in Italia ad imprimere sul tubo il mio nome in rilievo.

 

marca-ortelli-rilievo

ortelli-officina-bici-8

 

V.O: Ho imparato a saldare all’età di quindici anni ma mi sono dedicato alle corse e nel frattempo ho curato la parte commerciale dell’azienda, a fare l’artigiano ho cominciato solo quando ho appeso la bici al chiodo. Quando ero professionista oltre alle nostre biciclette vendevamo anche quelle delel grandi case per cui correvo in quanto mi facevo pagare in biciclette.

Ho imparato moltissimo osservando mio padre mentre lavorava, ma mi creai ugualmente da solo un piano di riscontro che in seguito tutti mi invidiarono, lo realizzai utilizzando un pezzo di un’autoblinda tedesca che durante la guerra era rimasta incidentata presso casa mia. Portai a casa la lamiera e con un goniometro prestatomi da mio cucino Germano che frequentava studi scientifici iniziai a tracciare un modello di telaio. Apportai così una importante novità rispetto al metodo di mio padre, il mio merito fu infatti quello di progettare il telaio in base all’inclinazione de quindi all’ampiezza delle angolature, che pur lasciando inalterate le misure di lunghezza consentono di plasmare a piacimento la posizione in sella del corridore. Con questo stratagemma riuscivo a valorizzare al meglio le attitudini di ognuno: portando il velocista a sfruttare ancor di più il proprio spunto veloce e lo scalatore a trarre il massimo da una posizione che gli consentisse la massima redditività nello scatto.

Ho avuto ordinazioni da tutto il mondo, da Stati Uniti, Giappone e tanti altri paesi, sapevo di essere valido nel mio lavoro ma ugualmente non ebbi il coraggio di provare ad ingrandirmi. Oltretutto, negli anni ’50 il mercato della bicicletta registro una vera e propria involuzione per l’avvento del motorino.” (1).

 

tavolo-riscontro-ortelli
Officina Ortelli, tavolo di riscontro che Ortelli costruì usando un pezzo di autoblindo abbandonato vicino a casa / Foto Frameteller

disegno-ortelli-telaio

congiunzioni-ortelli2
Congiunzioni fuse su disegno originale lavorate a mano da Ortelli. / Foto Frameteller

congiunzioni-ortelli5

IL SALOTTO

DELLE DUE RUOTE

Vito Ortelli: Grazie alla mie imprese agonistiche la bottega Ortelli, già frequentata da parecchi appassionati del mondo delle corse, divenne più non solo un ritrovo per gli amanti della bicicletta ma una sorta di salotto per sportivi, addetti ai lavori e appassionati

Nell’arco di sessant’anni nell’officina Ortelli sono usciti più di 5.000 telai e oltre agli amici di sempre come Servadei, Cinelli, Magni e Roncni passarono anche giovanissimi garzoni i quali una usciti da scuola Ortelli fecero poi cose importanti come Aride Rivoli che passo come meccanico alla Salvarani o Antonio Alpi che diventò un abilissimo artigiano.
Vito fu per lungo tempo amico anche di Giuseppe Ambrosini, giornalista e direttore della Gazzetta dello Sport nonché autore nel 1950 del famoso libro Prendi la bicicletta e vai, nel quale molti sono i suggerimenti di Ortelli per le pagine su geometrie e misure dei telaio.

 

officina-ortelli3
Officina Ortelli / Foto Frameteller

Tante le tante amicizie nate negli anni eroici delle corse e continuate nei decenni successivi, quella con Cino Cinelli è stata forse la più intensa, si conobbero quando correvano insieme alla Bianchi e continuarono a frequentarsi e a collaborare fino alla scomparsa di quest’ultimo nel 2001.
Entrambi entrarono nel mercato delle biciclette al ritiro dalle competizioni sportive, con la stessa passione e visione innovativa ma con approcci molto diversi. Cino mosso da un autentico spirito imprenditoriale, supportato dai fratelli e in particolare dall’esperienza nel commercio a livello internazionale della moglie era destinato a costruire una grande azienda.
Cino prendeva molto sul serio i consigli tecnici di Vito e lo consultava spesso sui temi più importanti che riguardavano la costruzione del telaio. Le congiunzioni in ghisa malleabile prodotte dalla Fisher spesso le ordinavano insieme, anche perchè il quantitativo minimo era di 400 pezzi e Ortelli non produceva più di 100 telai all’anno. Oggi non è raro trovare nelle bici di Ortelli le stesse congiunzioni e componenti che usava in esclusiva la Cinelli, come i famosi forcellini posteriori con la vite passante usati per il modello Super Corsa.

Anche Tullio Campagnolo ebbe con Ortelli una lunga collaborazione, cominciata quando nel 1939 Lazzaro montò sulla bici di Vito il primo cambio Campagnolo, anche se non era allora molto diffuso. Quell’anno Vito vinse 7 gare e il titolo di Campione Italiano Allievi consentendo a Tullio Campagnolo di ricevere il suo primo riconoscimento agonistico. Da allora Ortelli ha sempre montato componenti Campagnolo, fiducia che Tullio ricambiò sempre come quando gli reglò 100 gruppi per il titolo di Campione Italiano su strada del 1948 o con forti sconti sugli ordini dell’officina negli anni a seguire.

Ortelli ha sempre dedicato grande attenzione anche ai dettagli estetici, come il disegno dei suoi bellissimi fregi, l’invenzione del marchio in rilievo sul tubo diagonale (ripresa poi dal giovane garzone Antonio Alpi) e le elaborate pantografie su telai e componenti, vere e proprie sculture in acciaio che affidava ad artisti come il verniciatore Leoni e il maestro incisore Gino Cornazzani.

Negli anni ’80, data l’età ormai avanzata, si fece aiutare nell’assemblaggio dei telai da Umberto Patelli di Bologna.
Vito smise di saldare quando terminò la scorta dei tubi. 

 

ortelli-officina
Vito Ortelli al lavoro nella sua officina, fine anni ’80.

 

fregio-ortelli
Fregio Ortelli anni ’40

Fregio Ortelli dagli anni ’50 agli anni ’70


Articolo interamente dedicato a Vito Orelli su una rivista Giapponese.

LA BICICLETTA

CHE PESAVA 6.5 Kg

Nel 1946 Ortelli da vincitore del Gran Premio di Nizza può recarsi a fine gara in visita nelle officine del costruttore Urago, italiano emigrato in Francia. Qui la sua attenzione cade su un paio pedivelle in alluminio a quel tempo non prodotte in Italia e una campionatura di tubi Vitus del 1939 con uno spessore di appena 3/10, mai visti prima e ancora oggi mai più costruiti.
Ortelli riesce a convincere Urago a dargli le tubazioni che porta con se a Faneza per costruirsi una bici da crono che, una volta finita e montata, pesa solo 6,5kg mentre il telaio nudo 1,450 kg. L’intenzione è quella di usarla per battere il record dell’ora di Coppi ma purtroppo il tentativo non verrà mai effettuato.
Pochi anni più tardi il danese Ritter gli chiede il telaio per tentare lui di battere il record e Ortelli acconsente a condizione che sul telaio rimanga visibile il proprio nome ma, essendo Ritter nella squadra Coppi Fiorelli, l’accordo sfuma.

L’abilità di Ortelli come costruttore diventò sempre più nota nel settore e a lui si rivolse anche Proietti, D.S. del corridore Baldini, per alleggerire il peso della bici da usare nella crono del Gran Premio di Forlì in programma per il giorno seguente. Ortelli da esperto costruttore sapeva bene che è molto più importante alleggerire le parti rotanti piuttosto che il telaio e gli montò una coppia di cerchi a 36 raggi Scheeren, almeno 280 gr più leggeri di quelli a 40 già montati sulla bici. Il giorno dopo Baldini vinse la gara.

 

ortelli-pista-1939
Lazzaro Ortelli pista del 1939 / Foto Troppebici

ortelli-pista-1939 3

 

Ortelli n. 13 del 1954

 

fastback
Ortelli strada n. 16 del 1959 / Foto Frameteller

tealaio7
Dettaglio dei foderi posteriori verticali Cinelli/Georg Fisher con la vite passante

tealaio19 tealaio15 tealaio12 lugs3

 

Ortelli n. 71 del 1960

 

Ortelli n. 9 del 1963

 

telaioOK
Ortelli n. 21 del 1964, telaio costruito con congiunzoni ereditate da Antonio Alpi / Foto Frameteller

deragliatore congiunzioni mafac-top-63-ortelli2 nodo sella4 nodo sella5

ortelli-shell-bottom numero di serie pedale5 rilievo ortelli manubrio scatola2 telaio2 telaio7

 

Ortelli n. 32 del 1965

Dettaglio del particolare attacco saldato appositamente per i freni Mafac Top 63. Bici da strada Ortelli del 1966.
1966, dettaglio dell’attacco creato appositamente per i freni Mafac Top 63

ortelli-coda-rondine
Anni ’60 mozzi Cinelli e dell’attacco dei forcellini “a coda di rondine”

Ortelli 1970 / Foto Frameteller

Ortelli n. 83 del 1970, telaio Cinelli Supercorsa / Foto Frameteller

 

1970, forcellini “a coda di rodine”

 

Ortelli n. 27 del 1972 costruito con congiunzioni Pelà

 

Ortelli n. 28 del 1974, costruito con congiunzioni Pelà


 

ortelli road bike 1979
Ortelli Special n. 24 del 1979. Probabilmente costruita da Oriello. Foto Frameteller

ortelli road bike 1979  ortelli road bike 1979 ortelli road bike 1979 ortelli road bike 1979  ortelli road bike 1979 ortelli road bike 1979

ortelli-1984-road-bike-frame 2
Ortelli del 1984, telaio impreziosito con pantografie di Gino Cornazzani, verniciatura Leoni. Gruppo Campagnolo Super Record Titanio. Foto Troppebici

ortelli-1984-road-bike-frame

ortelli-1984-road-bike-frame 3

ortelli-1984-road-bike-frame 4ortelli-1984-road-bike-frame 6

ortelli-1984-road-bike-frame 8ortelli-1984-road-bike-frame 10

 

ortelli velocromata
Ortelli n. 24 del 1985, telaio cromovelato / Foto Troppebici

img_6132img_6120

 

IL BINDA

DEI DILETTANTI

ortelli-benotto
Vito Ortelli con la maglia Benotto, Campione italiano inseguimento su pista.

 

Ortelli, atleta possente e completo, tanto nelle salite quanto negli sprint, solo problemi di salute e oscure forze contrarie poterono impedirgli di divenire un Campionissimo. A 10 anni, con una bici costruita dal padre ma senza freni e cambio Vito andava seguiva i coetanei corridori, riuscendo a staccarli in salita.
La carriera di campione cominciò nel 1938 quando, superata la diffidenza del padre,  si schiera nelle file della Faenza Sportiva con la quale subito 
mostrò tutta la sua forza con due vittorie e undici piazzamenti. L’anno successivo intensificò la preparazione fisica e il padre gli montò sulla bici il primo cambio Campagnolo nonostante fosse ancora poco diffuso, vinse 7 gare e titolo di campione italiano.  Tullio Campagnolo riscosse quindi il suo primo riconoscimento agonistico insieme a Ortelli.

Nel 1940, passato ai dilettanti sempre con la Faenza Sportiva, vince 14 corse su 17, sgretolando la resistenza degli avversari arrivando undici volte solo al traguardo. Grazie a questi successi il commissario tecnico Alfredo Binda gli assegna il soprannome Binda dei dilettanti. A Chiasso si corre per selezionare gli azzurri per le Olimpiadi di Tokyo e Ortelli si impone con un distacco di 6 minuti sul secondo, ma le Olimpiadi saltano a causa della guerra. Nello stesso anno un’impresa ancora ineguagliata: Ortelli e Magni vengono convocati, alla gara a coppie di apertura del Giro della Provincia di Milano, è una gara per soli professionisti e Magni e Ortelli sono gli unici dilettanti ammessi e vincono sia le due gare su pista che la cronometro classificandosi primi assoluti, in gara c’erano campioni come Coppi e Bartali, il quale non prende bene la sconfitta.
La notorietà di Ortelli cresce e, nonostante ancora corra per la Faenza Sportiva, la Bianchi gli concede in uso una loro bicicletta. 

 

1940 Magni e Ortelli come dilettanti

Vito Ortelli da dilettante

Vito Ortelli con Tullio Campagnolo

1945 Ortelli vince la Milano Torino

1942 Ortelli vince il Giro della Toscana

Vito Ortelli in maglia Bianchi e Tullio Campagnolo

1942 Ortelli al Giro d’Italia

1946 Vito Ortelli con la madre Angela e il padre Lazzaro

vito-ortelli-foto foto-vito-ortelli3

 

1946 Milano-Torino, Ronconi, Lelli, Conte e Ortelli in maglia Benotto

1946 Ortelli vince al Vigorelli il secondo titolo Campione Italiano nell’inseguimento

foto-vito-ortelli

ortelli-sombrero

Benotto si congratula con Vito Ortelli dopo la vittoria

1947 le copertine dei periodici sportivi sono per Ortelli

Nel 1941, a guerra ormai alle porte, Ortelli pass alla A.S. Forlì, dove nonostante il servizio militare, vince 12 gare tra cui le Coppa Stupazzini, Malatesta, Paolucci, Girolomi, Coppa Figli del Duce, Pasini e Arcangeli ed il prestigiosissimo Astico Brenta.
Nel 1942 la Bianchi gli offre la maglia da
 Indipendente per il Giro d’Italia, ai dilettanti però è vietato dal regolamento ricevere denaro e la cosa viene scoperta dalla Federazione (a detta di Ortelli in realtà era già tutto pianificato dalla Bianchi per farlo diventare professionista) che lo costringe di conseguenza a passare di categoria.
Esordisce quindi a vent’anni come professionista indipendente per la Bianchi, nel 1942 al Giro d’Italia le maglie maglie in palio sono due: Maglia Rosa per i professionisti e Maglia Bianca per gli indipendenti fra i quali Ortelli.
La prima tappa la vince Leoni, Ortelli essendo indipendente non può partecipare ma vince la terza tappa del Giro di Toscana con 2.33″su Bartali. Dopo la terribile corsa gli amici Vicini e Servadei, come era loro abitudine fare di solito, costringono Ortelli a tornare con loro a casa in bicicletta.
Dopo questa vittoria la commissione tecnica passa Ortelli a professionista togliendogli la Maglia Bianca senza però dargli la Maglia Rosa a scapito del più rinomato Leoni, le proteste di Ortelli cadono nel vuoto e finirà il Giro ottavo in classifica.

 

Ortelli-Bartali
Vito Ortelli e Fiorenzo Magni con la maglia Bianchi, dal ’40 a 43.

ortelli-inazione
Vito Ortelli in azione al Giro d’Italia.

Ortelli e Biagio Cvanna, il massaggiatore cieco di Coppi

figurine-ortelli2
Figure Vito Ortelli, Nazionale italiana.

 

Nel 1943 il giro d’Italia venne interrotto dopo solo quattro gare e la Maglia Rosa venne assegnata a Servadei, Ortelli vince, in coppia con Cino Cinelli il GP Enrico Villa davanti al pubblico del Vigorelli. Dal 20 settembre arriva lo stop da Roma a tutte le competizioni e molti corridori vengono inviati al fronte, Ortelli viene spedito in Croazia a Kocevja, Coppi in Africa. Dopo la resa di Badoglio Ortelli fugge dall’esercito e dai rastrellamenti, una volta tornato a casa collabora con la Resistenza sistemando le armi del gruppo di Silivo Corbari.

Finita la guerra, Coppi sceglie di correre con la Bianchi, Bartali con la Legnano mentre Ortelli lascia la Bianchi per la Benotto, ed è subito sfida con i due rivali: Ortelli vince in Toscana battendo Bartali nel circuito di Galluzzo e alla Milano-Torino dove arriva prima staccando anche Coppi.
Alla semifinale del campionato italiano di inseguimento su pista del 1945 all’Autovelodromo di Torino, nonostante il lungo viaggio seduto su un camion per il trasporto di maiali, Ortelli vince staccando Coppi di oltre 60 metri, al tempo di record: 6’23” e alla media di 46,600 km/h, in finale batte facilmente Leoni laureandosi campione italiano su pista.
Al velodromo Pacciarelli di Fiorenzuola vince anche la sfida successiva con Coppi, sempre nell’inseguimento su pista.
Con i soldi guadagnati nelle corse Ortelli aiuta il padre a ricostruire l’officina distrutta dai bombardamenti, il quale nel frattempo continua a lavorare in una bottega di fortuna.

Nel 1946, quando già i problemi fisici cominciano ad emergere, bissa il successo della Milano Torino, vince il Trofeo XX Settembre e una tappa del suo primo Giro d’Italia, nel quale arriva terzo dietro a Bartali e Coppi, vestendo per 5 volte la Maglia Rosa, Giro che probabilmente avrebbe vinto se non fosse stato per una lista infinita di avversità tra cui: sassi e fucilate da parte degli attivisti anti-italiani sloveni, una forte pertosse che lo tormentò per due terzi del Giro e una combina organizzata contro di lui dal suo direttore sportivo Graglia.

 

1947 Ortelli vince al Giro del Piemonte

1948 Coppi e Ortelli al Giro

1948 Ortelli è Campione Italiano al Giro dell’Emilia

1948 Ortelli è uno dei protagonisti del famoso film con Totò

ortelli-coppi-strada2

ortelli-rosa-stadio

 

Un anno dopo, davanti ad un Vigorelli tutto esaurito con 15.000 tifosi in tribuna e 2.000 sul prato, è ancora sfida diretta con il Campionissimo Coppi nella finale di inseguimento su pista e ancora una vittoria di Ortelli, che bissa così il titolo di campione italiano su pista.
Dal 1947, passa alla Atala, con la quale nonostante i problemi fisici e un intervento alla gamba si fossero aggravati, ottenne il 2° posto al campionato italiano su strada, dietro a Coppi, e vince sia il Giro del Piemonte davanti a Ronconi e Vicini, costituendo un podio tutto romagnolo, che il GP Città di Milano.
Nel 1948 vince sia al GP di Romagna che il GP di Milano mentre al Giro d’Italia manca il podio di pochissimo classificandosi al 3°posto nonostante 7 forature in una solo tappa e una grave caduta causata da un tifoso che lo colpisce con un secchio d’acqua facendolo rovinare a terra, finisce il Giro con lo stesso tempo di Cottur che però avendo indossato la maglia rosa per 3 giornate in più si prende il podio.

 

ortelli-coppi-pista
Ortelli (sinistra), Coppi e Bartali. Campionato italiano inseguimento su pista, 1948.

 

ortelli-vito-cartolina2

ritratto ortelli

casco-vito-ortelli
Il casco di Vito Ortelli. Foto Framteller

Sempre nel 1948 l’ultimo acuto ma il più prestigioso, Ortelli dopo l’ennesimo duello con il rivale Coppi conquista il titolo di campione italiano su strada. Il titolo vale la possibilità di partecipare al Mondiale ma è l’anno del ritiro di Coppi e Bartali che finisce per danneggiare Ortelli il quale nonostante abbia la forma fisica sufficiente per stare alla ruota del belga Schotte, che poi vinse il titolo, rimane indietro perdendo tempo nell’attesa delle disposizioni dei due “capitani”, finendo purtroppo solo 8°.
Quell’anno Tullio Campagnolo, dopo la vittoria del tricolore, gli regala 100 gruppi del suo cambio per premiare quella fedeltà che Ortelli gli ha sempre dimostrato fin da ragazzo.
Dal ’49 in poi il declino agonistico a causa dell’aggravarsi dei problemi fisici al ginocchio destro, fino al ritiro nel 1952 con tanti rimpianti per il campione che poteva essere e che non fu ma con tante storie di successi, coraggio e amicizia da raccontare una volta tornato a casa.

 

ortelli tricolore
Ortelli festeggia la maglia tricolore di campione italiano su strada. Bologna, 1948

 

Con i suoi suoi allievi giovanissimi della S.C. Faentina Ortelli ha sempre insistito sull’importanza dell’allenamento in pista. insegnandogli prima di tutto a stare in equilibrio con i piedi sui pedali al semaforo.
Fu infatti uno dei pochi a capire il valore dei velodromi la formazione degli atleti, visione isolata dato che in Italia sono stati chiusi e lasciati alla rovina mentre paesi come Inghilterra, Francia e Australia sono emersi nelle grandi competizioni con campioni che vengono proprio dalla pista. A quasi 90 anni ancora seguiva i giovanissimi della S.C. Faentina offrendo tanti preziosi consigli ai futuri campioni.

 

ortelli-vito-faenza


PATELLI

CICLI PATELLIBiciclette di classe
Umberto Patelli / Vendita bici su misura / Bologna, Italia / 1949 – 1998
Sergio Patelli / Corridore / Vendita bici su misura / Bologna, Italia / 1965 – 1998
Luigi Patelli / Maestro artigiano costruttore / Bologna, Italia / 1940 – 1988

Fonti: Camera di commercio di Bologna / intervista a Sergio Patelli e il figlio Fausto / intervista a Dario Venturi e Roberto Morelli (dal 1998 titolari della Cicli Patelli snc)

Agonismo: 1953 Sergio Patelli, Campione Italiano Dilettanti  / 1957 G.S. Patelli, Campione Italiano Dilettanti

Hanno collaborato con: Rauler, Ortelli, Testi, Veneziano

 


> Catalogo 1984   > Catalogo 1985  > Catalogo 1986


 

Per tutta la vita i fratelli Umberto, Luigi e Sergio Patelli si sono sostenuti a vicenda, insieme hanno attraversato un secolo di guerre e miseria. Ma nella loro storia c’è un quarto elemento che la rende speciale, una particolare energia che ha rafforzato il loro legame oltre il sentimento fraterno, l’inesauribile passione per la bicicletta.

 

Durante la guerra.

Nei primi anni ’40 prima Umberto e poi Luigi vengono assunti alla Cicli Testi di Bologna, piccola azienda artigiana specializzata nella costruzione di biciclette che una ventina d’anni più tardi diventerà una importante azienda motociclista.

Sergio, nato nel giugno del 1928, è il più piccolo e sicuramente il più ossessionato dei tre dalle biciclette, cosa ci può essere di meglio nella vita che lavorare sulle bici insieme ai fratelli maggiori? Niente, però erano proprio loro a inibirlo “siamo già in due a far questo mestiere Sergio! Bisogna che tu fai qualcos’altro.” e lo mandano a fare il calzolaio dove non resiste a lungo “mi facevano legare lo spago tutto il giorno” dopo un anno di sofferenze infatti riesce a farsi assumere dalla Testi, dove il fratello Luigi nel frattempo è già un saldatore provetto, mentre lui viene assegnato all’assemblaggio con Umberto, ma solo dopo aver passato un periodo di “gavetta” durante il quale ha costruito qualche migliaio di ruote.

S.P.: Luigi era un incosciente totale. Un giorno, durante la guerra, gli alleati stavano bombardando il piccolo ponte a pochi metri da casa nostra e lui stava lì, alla finestra mentre a voce alta gli dava degli imbecilli perché non riuscivano a centrarlo. Quando gli ho fatto notare che era il caso di scappare giù nel rifugio e che potevamo anche morire da un momento all’altro lui mi ha detto – Sergio vacci te nel rifugio e subito! Però stai attento e copriti che è umido e ti vengono le artriti – Beh, in effetti poi le artriti mi son venute davvero.

La tragedia della guerra non ha risparmiato nessuno, tantomeno la famiglia Patelli che ha perso la mamma a soli due mesi dalla resa.

 

Dopo la guerra.

Nel 1948 tutti e tre i fratelli si licenziano dalla Testi, pochi mesi dopo Umbeto apre il negozio in via San Vitale dove assume i due fratelli. La bottega, che vende biciclette da passeggio e telai speciali da corsa saldati da Luigi, rimane in attività fino al 1964 quando Umberto ne trasferisce la sede in via Matteotti e Luigi apre una sua officina in via Massarenti che attrezza a dover per la costruzione dei telai. Nel frattempo, sei anni prima, Sergio aveva aperto un negozio a suo nome nel quartiere Corticella, dove era andato ad abitare e dove era molto popolare grazie ai suoi successi da corridore, come il Umberto vende bici da corsa saldate da Luigi oltre ad accessori vari e abbigliamento sportivo.
Entrambi i negozi ebbero da subito un grande successo e tutti e tre si trovarono a lavorare anche 12 ore al giorno per tenere dietro alle tante commissioni.

 

Gli atti di apertura delle rispettive attività dei tre fratelli Patelli.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Bici da strada Umberto Patelli, fine anni ’50, telaio costruito da Luigi Patelli / Foto: Marco Borri

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

Umberto, Sergio, Luigi, il triangolo d’acciaio.

Ricapitolando, Luigi salda i telai grezzi sia per Sergio che per Umberto, i quali entrambi le firmano a proprio nome ma nel frattempo si aiutano a vicenda alternandosi nel lavoro di finitura e assemblaggio.

S.P.:Io e Umberto ci davamo spesso il cambio nel processo di finitura che consisteva nell’andare fino a Funo (provincia di Bologna) dove c’era un artigiano che faceva la sabbiatura fine, i telai sai sono delicati e le altre sabbiature non andavano bene.
Poi bisognava passare da Lanciotto Righi, il “Mago della Lima”, il migliore in assoluto nella finitura a mano, di giorno faceva il limatore alla Testi e noi gli portavamo i telai direttamente a casa la sera. Poi c’era la fresatura e la cromatura durante la quale ai nostri telai  facevamo fare il bagno integrale, così venivano ricoperti interamente da uno strato di Nichel che li avrebbe protetti a vita dalla ruggine.
Io poi ero particolarmente pignolo, un giorno mi è capitata in mano una scatola del movimento centrale di Cinelli fatta un po’ male, da quella volta sono sempre andato direttamente da loro con il campione in mano e le sceglievo una ad una. Ero diventato famoso alla Cinelli per questa mia pignoleria e Cino lasciava detto agli impiegati di chiamarlo quando arrivava Sergio Patelli perché ci teneva sempre a scambiare due chiacchere con me, solo che mia moglie mi faceva sempre una gran fretta perché il giro da fare era lungo, dovevo passare anche da quello delle pompe artigianali e poi il maglificio per le divise, le scarpe…”

 

Dodici anni dopo.

Nel 1976, Umberto acquista un capannone in via Paganino Bonafede dove apre una grande officina per la costruzione di telai su misura, oltre alla produzione di dime, accessori e attrezzi da vendere nei due negozi. Il maestro saldatore e pantografo è ovviamente sempre Luigi, il quale nel frattempo è diventato un abilissimo artigiano, in officina anche alcuni operai addetti all’assemblaggio e alle rifiniture. I telai Patelli diventano ben presto ambiti per leggerezza, qualità e finitura dei dettagli sia tra i corridori che tra i meccanici della regione e poi in tutta Italia.
L’officina è rimasta in attività fino al 1990, da quel momento in poi la saldatura dei telai viene affidata a terzi di cui i fratelli avevano stima, come l’artigiano “Silvestro” di Pianoro. Nel ’97 Umberto, arrivato alla pensione, ha lasciato il negozio di via Matteotti ai suoi collaboratori Roberto e Dario, grazie ai quali oggi la Cicli Patelli è ancora un prezioso punto di riferimento per i ciclisti bolognesi. Nello stesso anni anche Sergio chiude il negozio dopo 40 anni di attività.

 

patelliok7
Umberto nello stand Patelli alla Fiera del ciclo di Milano.

patelliok6

 

Sergio Patelli.

Diversamente dai fratelli Sergio correva in bici e correva anche veloce. Da dilettante ha vinto ben 49 gare, un Giro del Sestriere e il titolo di Campione Italiano nella cronomotro a squadre del 1953, alla media di 42,2 kmh su 120 km delle strade di allora.

S.P.: “Ci fu una volta nel ’47, quando correvo per la Velo, che sono partito da solo per partecipare come indipendente alla gara internazionale Gran Premio del Rosso di Montecatini. A un certo punto abbiamo affrontato il monte Oppio, una salita durissima che non si vedeva mai la fine, mai, a un certo punto mi è scappata la pazienza e mi sono fermato sul fianco della strada e da una delle mie cinque tasche ho tirato fuori una  ciambella. Niente roba strana eh?! Solo una ciambella.
Non ho fatto in tempo a finirla che vedo uno della giuria corrermi incontro e urlare “Ma te! Cosa fai? Sei pazzo? Eri terzo e ti fermi a mangiare??! Dai che ti son passati davanti in tanti ma forse arrivi ancora tra i quindi premiati!”.
A quel punto son tornato in sella e sono andato dietro al gruppo, arrivato alla prima curva mi sono accorto che in realtà ero già arrivato in cima e son cominciate le discese, giù fino a Montecatini. Una volta arrivato sulle strade del paese una macchina mi si è messa davanti facendomi cadere, accumulo ancora ritardo ma riesco ad alzarmi e a ripartire Quando arrivo allo stadio c’è quel signore di prima “Ma dove sei sparito un’altra volta??? Dai allora corri che forse ce la fai! Vaiiii!!!”. Entro nello stadio e scopro di essere arrivato quindicesimo! Mi diedero come premio ben 1.500 lire e poi altre 6.500 perché ero il più giovane tra i premiati, avevo 19 anni
.”

Sergio si ritira dall’agonismo nel 1954 a 26 anni. “Mi ero fidanzato e poi volevo lavorare con i miei fratelli“. Peccato perché era davvero un talento promettente ma la categoria Dilettanti in quegli anni non era cosa facile. Oggi ha 88 anni e un giovanissimo senso dell’umorismo

S.P.: “Tra fratelli ci siamo sempre aiutati, sempre insieme. Luigi, il più grande di noi quattro,  fece la bici anche a mia sorella, che ovviamente era anche la sua. Dopo le corse mi chiamava sempre per sapere com’era andata e se avevo preso la pioggia veniva a casa mia, svitava la sella e la massaggiava con il grasso, così che non facesse le grinze. Quando ho aperto il negozio mi ha costruito una pompa enorme e indistruttibile ma anche bella dura da spingere. È ancora qua, la pompa, pronta per quelli che vengono a trovarmi con le ruote sgonfie, adesso però gli dico che se la devono usare da soli.”

 

Bici da strada Sergio Patelli - Modello Super Record Titanium
Bici strada Sergio Patelli “Super Record Titanium”, 1976 Telaio costruito da Luigi Patelli Tubazioni Columbus SL, gruppo Campagnolo Super Record titanio. Foto: Gianni Mazzotta per Frameteller

Bici da strada Sergio Patelli - Modello Super Record Titanium

Fregio Sergio Patelli

 

fregi-patelli-1
A sinistra fregio Sergio Patelli, a destra fregio Umberto Patelli con indicato il titolo di Campione Italiano Dilettanti vinto dal fratello Sergio.

fregi-patelli-2
Fregi Umberto Patelli, a sinistra l’indicazione dei titoli di Campione Italiano Dilettanti vinti dal fratello Sergio (1953) e dalla squadra Patelli (1957)

 

patelliok5Paolo Giordani, collaboratore di Umberto Patelli.

Attestato di miglior artigiano della Regione Emilia-Romagna per i lettori della rivista BiciSportiva, 1987.

 

La sede umberto patelli in via massarenti - dal catalogo del 1985
L’officina di Umberto Patelli in via Paganino Bonafede – Copertina cataloghi anni ’80

 

Umberto Patelli strada, modello “special course” fine anni ’50 / Foto Giacomo Grava.

 

Umberto Patelli Special Course 1960 / Foto Frameteller

Umberto Patelli Special Course anni ’60

 

Bici da strada Umberto Patelli del 1963
Umberto Patelli strada, modello Special Course del 1963.

 

patelli lugs
Patelli strada, anni ’70. Congiunzioni finemente lavorate a mano. Foto Cicli Berlinetta.

 

Patelli per Villa 1967, foto Frameteller

 

Umberto Patelli strada 1974. Foto Frameteller

 

telaio
Bici strada Umberto Patelli “Titanium”, 1975 – Foto: Frameteller Telaio costruito da Luigi Patelli, tubazioni Columbus SL, congiunzioni Nervex e Georg Fisher. Gruppo Campagnolo Record, viteria in titanio. Foto Frameteller

passacavo4 pendino superiore2 ponticille scatola movimento telaio 8 telaio 12 manubrio3

forcella7

decals2

 

Bici strada Umberto Patelli “Titanium”, 1976 – Foto: Frameteller Telaio costruito da Luigi Patelli, tubazioni Columbus SL, congiunzioni Nervex e Georg Fisher. Gruppo Campagnolo Super Record. Foto Frameteller

 

Patelli team Giacobazzi, livrea Mario Martini, foto Frameteller

 

Patelli strada con tubazion AIR ovalizzate

PATELLI-SUPER-CORSA_fronte
Bici da strada Umberto Patelli – Modello Super Corsa del 1983. Realizzato per il gruppo Campagnolo Cinquantenario. Foto Frameteller

MANUBRIO

 

s-l1600-1
Bici da strada Umberto Patelli anni’80. Foto Cicli Berlinetta Berlino 

s-l1600-3 s-l1600-4 s-l1600-6 s-l1600-8 s-l1600-9

 

sergio patelli road bike
Bici da strada Sergio Patelli anni’80.

s-l1600-4 s-l1600-5 s-l1600-6 s-l1600-8 s-l1600

 

Strumenti per il lavoro in officina prodotti e venduti da Umberto Patelli.
Strumenti per il lavoro in officina e accessori per il ciclista prodotti e venduti da Umberto Patelli. Foto catalogo Patelli anni ’80.

Strumenti per il lavoro in officina prodotti e venduti da Umberto Patelli.

Umberto Patelli: piano di riscontro elettronico per l'allineamento del telaio.

Dima per la costruzione dei telai costruite e vendute da Umberto Patelli.

Dime per la costruzione dei telai prodotte e vendute da Umberto Patelli.

Atterezzature per la costruzione dei telai prodotte da Umberto Patelli.

Rulli per bicicletta prodotti e venduti da Umberto Patelli.

 

Dario e Roberto al lavoro oggi nell'officina di via Giacomo Matteotti.
Officina Cicli Patelli, nell foto Dario e Roberto, attuali titolari dell’attività.


RIVOLA

Cicli Rivola / Biciclette su misura / Massa Lombarda, Italia / 1963 – 2005

Ha corso con bici Rivola: José Manuel Fuente

Palmares: Campione Italiano Allievi 1984 con società ciclistica Cotiglionese

Fonti: Intervista a Fausto Rivola, “sabato sera” del 30/9/2006 a cura di Lou Del bello. / Artigiani e Biciclette in Romagna nel ‘900, Ivan Neri 

Ha collaborato con: Campagnolo / Umberto Chiesa

 

Come tante altre piccole imprese per la costruzione di cicli dell’epoca, quella della famiglia Rivola non si riduce alla semplice dimensione di lavoro finalizzato al guadagno, dietro ci sono soprattutto relazioni umane, come quella tra padre e figli e tra costruttore e corridore.
La storia del marchio inizia con Giovanni, nato nel 1925 e chiamato “il Maestro” dai concittadini massesi,  grande appassionato di bici e tifoso di Coppi tanto da chiamare il primo figlio Fausto, nella speranza che potesse un giorno diventare corridore. Faceva il muratore ma la passione per il ciclismo finì per diventare la sua vita. La carriera di Giovanni nel mondo del ciclismo inizia alla fine degli anni ’50 nello scantinato di casa intorno, lì modella su misura a mano le selle in pelle di bufalo “Brooks”, su commissione di campioni come Gimondi, Adorni, Ferretti e Reggi.
Giovanni ebbe due figli, Fausto e Gianni, quest’ultimo già a nove anni passava le vacanze chiuso nella nuova officina aperta dal padre ad imparare e, finita la scuola, cominciò a lavorare con padre e fratello in officina.

 

Gianni Rivola (2005)
Allora andavano di moda un tipo di sella chiamato Brooks, in cuoio di bufalo, la usavano tutti i campioni. Mio padre le lavorava prima che venissero usate dai corridori, in modo che prendessero già la forma della seduta, poi veniva smontata, ed infine rimontata e tirata, creando così una sella su misura. In quel periodo venivano a casa mia ogni anno, a prender due o tre selle per ciascuno, i tre campioni Gimondi, Adorni e Ferretti”. Col tempo ha iniziato a fare anche piccole riparazioni e ha continuato fino ai primi anni ’60
Credo che la prima bicicletta marchiata a suo nome sia uscita nel 1963 e costava settantamila lire. Era una bella cifra per quegli anni, ma si tratta di una bici artigianale.
Mio padre particolarmente bravo a fare le ruote, completamente a mano. Anche mio fratello Fausto in negozio si specializzò in questo lavoro, imparò da mio padre e continua a farlo ancora oggi (ndr 2022)”.

 

È nei primi anni ’60 che Giovanni decide di fondare il proprio marchio di biciclette da corsa. I primi telai li ordinava alla Rossin di Milano ma la svolta avvenne quando nel 1963 riuscì a coinvolgere nella costruzione dei suo telai il maestro telaista bolognese Umberto Chiesa, di cui Rivola già conosceva e apprezzava il lavoro. Iniziò così una lunga collaborazione, Chiesa prendeva le misure ai clienti e costruiva i telai mentre del lavoro di assemblaggio e rifinitura si occupava Rivola, sempre nello scantinato di casa ma. Dato il veloce successo che ottennero le sue bici, già l’anno successivo Giovanni si  decise a lasciare il lavoro da muratore per dedicarsi interamente alla nuova attività, così fu registrata alla camera di commercio la Cicli Rivola, con sede in via Amendola.
Per caratterizzare i telai Rivola, Chiesa fu il primo a ideare e perfezionare gli attacchi dei forcellini a “coda di rondine“, in breve tempo poi imitati da altri telaisti della zona e del nord Italia, nel modello Rivola Superleggera gli attacchi sono ulteriormente alleggeriti con un foro.

Nel settembre del 1971 si presentò davanti al negozio un ragazzo piccolo e dall’aspetto fragile, si trattava di Josè Manuel Fuente Lavanderia detto anche “el Tarangu”, corridore professionista della famosa squadra spagnola KAS, considerato uno dei migliori scalatori al mondo di quegli anni. In quel periodo si trovava in Romagna per disputare le ultime gare della stagione. Quel giorno, mentre si allenava sulle nostre strade, ebbe un guasto meccanico e capitò così per caso nel negozio di Rivola che, con grande tempismo, risolse il problema. Durante quell’incontro il piccolo scalatore spagnolo rimase colpito dalla professionalità dell’artigiano e di lì a poco gli ordinò una bicicletta speciale con caratteristiche particolari per affrontare le lunghe salite del giro d’Italia. La bici gli fu consegnata l’anno successivo direttamente nell’albergo dove alloggiava la squadra da Giovanni all’arrivo della settima tappa Iseo – Lido delle Nazioni, completa con il colore ufficiale della KAS ma senza marche. A quel tempo Giovanni non aveva un automobile e si fece quindi prestare un passaggio da un cliente che faceva il tassista per arrivare in tempo alla consegna. In quel Giro Fuente, in sella alla bici Rivola, vinse la 19ò tappa Andalo – Auronzo di Cadore, staccando corridori del calibro di Eddy Merckx e Gimondi.

Giovanni amava il suo lavoro e in particolare farlo senza troppa confusione o stress, le ruote ad esempio le finiva di assemblare di domenica chiuso nella propria officina, così da non essere disturbato da nessuno. A prova della sua padronanza tecnica come meccanico si possono ricordare diverse proposte, da parte di importanti marchia del ciclismo, di abbandonare l’azienda per approdare nel professionismo, come ad esempio l’offerta di incarico alla quadra Salvarani. Tutte le proposte, a prescindere dal prestigio dell’offerente, furono sempre rifiutate da Giovanni perché era consapevole che lavorare per i professionisti richiedeva tempi stretti e ritmi stressanti, cosa che andava in conflitto con il suo metodo fatto di grande attenzione anche ai più piccoli dettagli, con pazienza e senza pressione.

Nel 1978 Chiesa aveva ormai raggiunto l’età per la pensione e desiderava lasciare il lavoro. Fu così che Giovanni chiese al figlio Gianni di imparare a costruire i telai e sostituirlo in officina. Ovviamente non si trattava di una operazione semplice, per un mestiere così complesso serve una vera e approfondita formazione oltre ad un maestro di lunga esperienza.
Chiesa accetto quindi volentieri l’invito di Giovanni di passare il testimone al giovane Gianni e gli cedette tutte le attrezzature, maschere e piani di riscontro compresi. Per due anni si recò in corriere dai Rivola tre volte a settimana per insegnare al giovane Gianni tutto quello che sapeva. Dal 1978 e per circa quindici anni le biciclette firmate Rivola furono quindi completamente prodotte in famiglia.
Gianni mantenne in vita l’attività fino al 2005, adeguando l’offerta in base alla forte innovazione tecnologica di quei tempi, fino a  quando chiuse l’officina per lavorare in un altro negozio. Con la chiusura dell’officina del “Maestro Rivola”, oltre alla perdita di un servizio importante per la comunità, venne a mancare anche quello che era divenuto il tradizionale punto di incontro per tanti appassionati di ciclismo, un luogo dove poter condividere animate discussioni sull’ultima uscita in bici o di quella che sarebbe venuta.
Come nella migliore tradizione dell’artigianato italiano, Giovanni Rivola ha saputo trasmettere la sua abilità ai figli Fausto e Gianni, il primo ancora oggi continua a costruire ruote perfette.

 

Gianni Rivola (2005):
Quel periodo (1964) mi è servito per apprendere i primi rudimenti, che poi mi sarebbero serviti in futuro. Nel 1978 mio padre infatti mi chiese di lavorare con lui e imparare a fare i telai. Chiesa, che ormai era anziano e in pensione, mi avrebbe insegnato tutto quello che sapeva, accettai e presi un’altra officina. Ricordo ancora che Chiesa, in quel periodo, veniva da noi in corriera tre volte a settimana per insegnarmi il mestiere.
Il metodo che Che chiesa mi insegnò era ovviamente quello artigianale dell’epoca, ereditai da lui anche tutta l’attrezzatura tra cui un piano di riscontro realizzato da
Patelli di Bologna.
La tecnica era quella della saldo brasatura con fucina a carbone di legno dolce per le saldature dello sterzo, del movimento centrale e del tubo sella, operazione che richiedeva circa un’ora e mezzo. Il carro e i forcellini venivano invece saldati a parte con fiamma ossidrica e Castolin perché la saldatura avesse maggiore resistenza.
Per un telaio finito impiegavo circa 20 ore, quasi tre giorni di lavoro. La curva della forcella la creavo con un uno stampo, scaldandola prima a mano e dopo aver già saldato i forcellini nel tubo del fodero, la piegatura doveva essere di 6-7cm e avveniva in 3 parti, si teneva conto nel farla della distanza tra il centro del movimento e quello dei mozzi che doveva essere di 4,3-4,5 cm nei telai più grandi e di 4 cm in quelli più piccoli, per dare maggiore stabilità al telaio e prima di tutto per non rischiare che il piede andasse a toccare la ruota; questa distanza viene tecnicamente definita REC e cambia leggermente a seconda delle idee del telaista. Sempre per lo stesso motivo per i telai grandi il tubo piantone lo saldavo con un’angolatura di 72,5°-73°, mentre per quelli più piccoli non era minore di 74°, le congiunzioni che utilizzavo erano della Cinelli mentre i componenti della Campagnolo.

Producevo 80/90 telai all’anno, il record di produzione l’ho avuto nel 1981 con 120 biciclette e la mia produzione totale è all’incirca di 1.000 telai, il costo di un prodotto completo negli anni ’80 era di 2.000.000 di Lire.”

I nostri telai seppur in incognito hanno partecipato anche a competizioni internazionali. Il Giro d’Italia passava in Romagna proprio nei pressi del nostro paese. Quale non fu la sorpresa di mio padre nel trovarsi davanti il corridore José Manuel Fuente che ci chiese una riparazione per un guasto riportato durante la gara. Mio padre lo aiutò e Fuente rimase colpito dalla sua competenza di meccanico e costruttore. Dopo qualche tempo, quando già ci eviravamo scordati dell’episodio, ecco Fuente in persona presentarsi dalla Spagna per ordinare due telai: naturalmente poi non vennero marchiati con il nostro nome, perché il corridore era legato ad uno sponsor, ma per noi è stato motivo di grande soddisfazione sapere che tante gare sono state vinte in sella ad una nostra creazione.
Tra il 1991 e il 1992 mio padre cominciò a non stare più bene, e poiché aveva già una settantina d’anni decise di lasciare l’attività. Presi io il suo posto, ma nel 1995 ho dovuto lasciare perdere il lavoro di telaista, che ho affidato ad un collaboratore esterno e dedicandomi alle riparazioni in un altro negozio, poi nel 2005 accettai un impiego presso la SOMEC di Lugo”.

“Nei primi mesi certamente è stato un po’ un trauma essere assunto per la concorrenza. Ho lavorato trent’anni in proprio e un  cambiamento del genere non è uno scherzo. Però so di aver portato con me il valore della mia esperienza e professionalità, e questo mi rende comunque fiero.
Oggi (2005 ndr) con me lavora anche Oscar Veneziano, il meccanico che ha seguito Pantani. Dover abbandonare l’attività che si è creata con le proprie forze dal nulla è doloroso ma si tratta di una circostanza determinata dal modificarsi del mercato, divenuto troppo concorrenziale per il piccolo artigiano. Ancora una volta la bilancia pende a favore dell’industria e della produzione in serie. Quello che si perde è il valore umano. Dietro ad una produzione artigianale c’è sempre innanzitutto una persona che segue il cliente non solo al momento della vendita, ma anche dopo. La dimensione dell’officina era bella perché si creava un rapporto a misura d’uomo, una conoscenza reciproca basata su momenti condivisi, su una comunione di interesse.
Ad esempio, io ero anche un ciclista oltre che un meccanico, quindi il mio parere era ascoltato più volentieri. Ai giovani che vogliono intraprendere questo mestiere posso dire che è un lavoro duro, ci sono poche possibilità di inserimento. Ma se un consiglio lo si può dare, è l’insegnamento di mio padre: la fretta non paga mai. L’approccio giusto ad un mestiere come questo è quello di una volta, che richiede dedizione e tempo prima di vedere i risultati. Io ho sempre seguito questi principi, e sono stato ripagato con grandi soddisfazioni
”.

 

Anni ’70, Giovanni Rivola di fronte alla sua officina – foto archivio di famiglia Rivola

 

Fine anni 70, Gianni Rivola impegnato nel lavoro di costruzione di un telaio – foto archivio di famiglia Rivola

Sella Brooks riadattata manualmente per uso professionale da Giovanni Rivola – foto archivio di famiglia Rivola

Anni 80, Giovanni Rivola con una bici costruita dal figlio Gianni – foto archivio di famiglia Rivola

1992, Gianni mostra l’ultimo telaio uscito dall’officina.

1963, una delle prime biciclette marcata Rivola costruite da Chiesa, sulla testa forcella l’iniziale del suo cognome. Forcellini Campagnolo “C aperta” – Foto archivio di famiglia Rivola

rivola-bici-1965 2
Bicicletta da strada Chiesa-Rivola del 1965 / Foto Troppebici

rivola-bici-1965 4 rivola-bici-1965 5 rivola-bici-1965 6 rivola-bici-1965 7 rivola-bici-1965 8 rivola-bici-1965

rivola-bici-1972
Bicicletta da strada Chiesa-Rivola del 1972 / Foto Troppebici

rivola-bici-1972 2 

Fine anni ’70 Gianni Rivola Superleggera

img_5638
Metà anni ’80,  Gianni Rivola strada / Foto troppebici

img_5642 img_5649

1981, Gianni Rivola crono

IMG_5071 low
1981 Telaio strada Gianni Rivola, / Foto Matteo Signori

IMG_5072 lowIMG_5065 IMG_5076 low IMG_5077low

rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record
1985 Gianni Rivola strada, verniciatura Mario Martini di Lugo / Foto Frameteller

rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-recordrivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record rivola-strada-road-bike-spx-columbus-campagnolo-c-record

2005, Gianni Rivola e Riccardo Vivarelli impegnati nella 200km dell’Eroica con bici Rivola


RAULER

RAULER / Biciclette su misura  / Reggio Emilia, Italia1970 – In attività

Fonti: intervista a Reclus Gozzi / Brochure “50° anniversario Rauler, 2020

Ha lavorato con: Colnago, Colner, Marastoni, Dosi, , Somec, Chesini, Olmo, Bianchi, Cinelli, Raimondi, Neri

Squadre: Giacobazzi / Autotrasportatorì Napoli / Maltinti Lampadari / Top and Esmeraldo / SMEG di Artoni / Velo Club Reggio / CREI Gualtieri / VIBOR con Panizza che correva con bici Colner-Rauler.

Palmarès: Argento 100 km a squadre Olimpiadi in Venezuela con De Pellegrini / Oro 100 km a squadre alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 / Campione italiano dilettanti 1980 e 1984 con De Pellegrini / 1980 Giro di Campania dilettanti di prima categoria con Borgini / 1984 Campionato italiano per dilettanti di seconda categoria su strada

 

> Catalogo Rauler anni ’70   > Catalogo Rauler anni ’80

 

L’avventura Rauler inizia nel 1970 a Reggio Emilia. Il nome è la combinazione del nome di 2 fratelli, Raoul e Reclus Gozzi. Il maggiore Raoul, nato due anni prima di Reclus nel 1946, da ragazzo correva con il Gruppo Sportivo Bismantova di Reggio Emilia, con il quale ha ottenuto buoni risultati grazie a passione e sacrificio. Raul intraprese il lavoro di pantografista specializzato alle dipendenze di un artigiano della zona e nel 1970 decise di mettersi in proprio.
Il lavoro gli garantiva buoni profitti e dato che si era sempre dovuto accontentare di bici usate più o meno adatte alla sua misura e costruite con materiali di media qualità, decise di concedersi la soddisfazione di farsi costruire una bicicletta da corsa su misura. Della sua decisione parlò con Nello Olivetti, suo meccanico di fiducia che negli anni sessanta fu un discreto corridore tanto che aveva gareggiato insieme a Ernesto Colnago.

Ernesto Colnago in quegli anni era già un rinomato costruttore di bici speciali per i campioni dell’epoca. Una domenica mattina (perché alla Colnago si lavorava anche di domenica), partirono quindi con destinazione Cambiago per farsi costruire la sognata bici personalizzata.
Prima di congedarsi Raoul chiese ad Ernesto Colnago la possibilità di portare con sé il gruppo Campagnolo spiegando che così avrebbe potuto nel frattempo alleggerito e decorarlo. Trascorsi i due mesi Ernesto avvertì che il telaio era pronto. Il mattino seguente di buon’ora, Raoul si presentò portandosi appresso il gruppo modificato pronto per il montaggio della bici. Alla vista di quei componenti lavorati Ernesto rimase stupefatto e gli chiese di preparare dieci gruppi Campagnolo modificati.

 

 

Guarnitura Campagnolo alleggerita da Rauler.

 

Fù cosi che nel giugno 1970 iniziò un rapporto di collaborazione con la Colnago che durò poi oltre 15 anni. Un lavoro sempre più impegnativo, fino al punto che Raoul fu costretto a chiedere al fratello, che nel frattempo lavorava nel campo della carpenteria pesante, di affiancarlo in officina.
Nel marzo del 1973 Reclus Gozzi cominciò quindi il suo apprendistato al pantografo guidato dall’esperienza del fratello. Ogni mese i Gozzi pantografavano e coloravano circa 70/80 gruppi con consegne settimanali. Ogni gruppo era composto da guarnitura, canotto sella, leve freno, leve cambi, attacchi manubrio e, a volte anche, anche mozzi e cerchi. Il lavoro procedette senza intoppi e con Colnago si instaurò un rapporto familiare, quando quest’ultimo si trovava nella zona di Reggio o Parma, (al tempo la Colnago era sponsor della SCIC), faceva visita all’officina seguita dall’immancabile piatto di tortelli.

Fu in una di quelle occasioni che Ernesto propose ai due fratelli di aiutarlo nella costruzione di telai da corsa neutri, senza stemmi. La Colnago, nel lancio in produzione di 200 telai da corsa, ne avrebbe costruiti direttamente 150 col suo marchio e decentrato ai Gozzi la produzione dei rimanenti 50 da firmare con il marchio del cliente.
Il giorno seguente Raul e Reclus condivisero la proposta con il padre Otello, anche lui fabbro ed esperto nella saldatura a cannello ossiacetilenico e pochi giorni dopo Reclus e il padre partirono alla volta di Cambiago per il corso di formazione armati di metro, calibro, blocchi da disegno per rilevare misure ed eventuali maschere e prendere appunti vari su sistemi di lavorazione che gli operai di Ernesto utilizzavano nella costruzione dei telai.  Gli venne spiegato che era necessario  iniziare sempre a costruire i telai di misura più grande perché, in caso di errore, un tubo tagliato si sarebbe potuto utilizzare per telaio più piccolo. Presero nota dello schema della maschera per assemblare i telai riportando le dimensioni che avrebbero utilizzato per costruirne una nella loro officina.
Una volta puntato il telaio sarebbe stato tolto dalla maschera per l’operazione di squadratura sul piano di riscontro e poi spinato con chiodi appositi nelle varie giunzioni. Tale operazione era necessaria per evitare che al momento della saldatura del telaio i vari punti potessero muoversi variando così le misure impostate, le saldature portavano la temperatura localizzata sugli 800 °c dilatando i pezzi.

Otello Gozzi, sotto la guida dì Aldo, il capo telaista della Colnago, saldò telai e forcelle imparando i segreti del mestiere, mentre Reclus prendeva nota dei vari passaggi di lavorazione facendo schizzi di particolari che lo avrebbero aiutato nelle varie fasi di costruzione.
Con l’apprendimento ed il trascorrere del tempo presero confidenza con il nuovo lavoro e la sera in albergo ripassavano i vari compiti e già pensavano a come risolvere le diverse difficoltà come il non avere a disposizione delle maschere di saldatura come quelle di Ernesto né della grande “giostra” su cui potevano operare contemporaneamente tre operai che saldavano in successione il movimento centrale, il gruppo sterzo e il gruppo sella. Nella giostra erano disponibili tre cannelli per il preriscaldo ed altri tre per la saldatura. quando il telaio passava davanti al saldatore questo doveva solo mettere l’ottone per la saldo-brasatura perché il pezzo era già alla temperatura di circa 800″C, mentre i Gozzi avrebbero dovuto riscaldare a quella temperatura con un solo cannello.

Arrivò il giorno di congedarsi e ripartire per Reggio per costruire le maschere, mettere in funzione le macchine già acquistate in precedenza e preparare l’impianto di saldatura. Una volta preparata l’attrezzatura Ernesto e Aldo li avrebbero raggiunti a Reggio Emilia per costruire i primi dieci telai, uno per misura dal 50 al 60, utili per piazzare la maschera di puntatura e tagliare i tubi.
Correva l’anno 1975 e nel frattempo venne depositato, presso la Camera di Commercio di Reggio Emilia, il nuovo nome dell’officina “Rauler”.

 

I fratelli Rauler in officina negli anni ’70

 

Una volta finiti di saldare i primi 10 telai campione, comprese le forcelle, cominciò il difficile lavoro di finitura. Per saldo-brasare oltre l’ottone si utilizzava il borace, una polvere indispensabile per potei far scorrere la lega a base di ottone, il borace una volta raffreddato, vetrificava, per poter limare la saldatura era necessario prima sabbiarla. Questo era un problema per i Gozzi perché non possedevano una sabbiatrice.
Raoul si rivolse quindi alla fonderia del quartiere “Lobrighisa” che accettò di affittare l’utilizzo della sabbiatrice. Quando Reclus portava i telai alla fonderia non mancava di studiare la sabbiatrice cercando di carpirne il principio di funzionamento e in, poco tempo, si sentì in grado di poterne costruire una da solo. Si recò quindi da un demolitore deve recuperare un serbatoio GPL; lo riempii d’acqua per evitare che potesse scoppiare durante la lavorazione e lo modificò a modello di quello della sabbiatrice della fonderia; il serbatoio era più piccolo ma se avesse funzionato sarebbe andato ugualmente bene.
Reclus acquistò un grosso compressore di seconda mano e costruì una cabina di lamiera che potesse contenere un telaio, dotata di uno sportello con il vetro per potei osservare le varie parti durante la lavorazione e due fori per inserire le braccia protette da maniche di gomma in modo da potevi manovrare il telaio e direzionare il getto di sabbia. Così con poche migliaia ma molto know how ottennero la loro sabbiatrice.

Rimaneva da risolvere il problema del lavoro di limatura delle saldature che si presentava impegnativo ma con pazienza riuscirono a superare anche questa difficoltà; i primi pezzi non uscivano rifiniti alla massima perfezione ma in poco tempo, con l’aiuto di Raoul che proseguiva nel suo lavoro di pantografista ed eccelleva nelle le finiture, riuscirono nel fabbricare un prodotto perfetto.
A questo punto cominciarono ad evadere gli ordini che passava la Colnago, il quale quando doveva produrre un lotto da 100 telai, 80 se li costruiva mentre 20 li ordinava alla Rauler, sempre personalizzati come richiesto dal cliente.
Una volta realizzati e rifiniti i telai venivano consegnati a Milano dove venivano cromati, verniciati e consegnati al cliente finale.

L’idea del simbolo Rauler nacque quando i fratelli Gozzi decisero di provare a diventare costruttori di bici da competizione. A quel tempo acquistavano tubi e congiunzioni dalla Colnago in quanto questa riusciva ad ottenere i prodotti a prezzi molto bassi.
Il problema era quindi che sulla testa della forcella in microfusione era già presente l’asso dì fiori, perciò per poterla utilizzare Raoul ebbe l’idea di modificarla al pantografo allungandone i petali fino a farlo diventare una foglia di edera, così è nato l’originale simbolo Rauler, dall’abilità di problem solving tipica degli artigiani dell’Emilia-Romagna.

 

rauler colnago
Rauler 1978, scatola del movimento centrale pantografata con il simbolo dell’edera.

 

 

Congiunzioni arabescate Rauler

Le prime congiunzioni arabescate create a mano da Raul Gozzi (sinistra) a confronto con quelle industirali prodotte da Colnago (destra)

 

In breve tempo i telai su misura prodotti dalla Rauler ebbero successo nella piazza locale, dove il ciclismo era molto praticato. Persino Reclus, appassionato motociclista, entrò nel gruppo Citroen del del quale Raoul già faceva parte.

Fra i clienti comparivano molti ex corridori professionisti che ritiratisi dalle gare aprirono dei propri marchi, tra i quali Guido Neri, Enrico Paolini, Vincenzo Bellini, La Pier-Belgio, Dancelli, Saronni, Poggiali oltre a svariati altri piccoli meccanici di bici in tutta Italia. Cominciarono ad equipaggiare una piccola squadra di esordienti, Ia “Unione Sportiva Montecchio” dove un bravo presidente, il Signor Fontana, appassionato di ciclismo, cercava di educare i ragazzini alla bici e chissà, forse sarebbero emersi, magari anche dei buoni corridori.

Reclus:

“Se non fosse uscito un campione sarebbe stato sufficiente che fosse una brava persona un buon padre un buon operaio. Effettivamente, uno è diventato un buon sindaco per ben due legislature è Sandro Venturelli, un altro, Guidetti, è tuttora direttore sportivo di una squadra giovanile, sono passati per la squadra anche Pattacini, funzionario di banca, Graziano Beltrami col fratello, commerciante di materiale speciale per bici da corsa, il meglio del mercato mondiale, la Beltrami T.S.A.”

Alcuni dei giovani corridori vennero assunti in officina, con il giovedì pomeriggio libero per potersi allenare.

Nel novembre 1976 i Gozzi decisero di partecipare alla Fiera di Milano “Ciclo Motociclo” EICMA, grazie a Colnago gli venne assegnata un’area importante del padiglione, proprio a fianco del famoso costruttore. Per loro fu uno sforzo notevole sia in termini economici che di tempo e si costruirono da soli lo stand per contenere le spese affitto. Per l’allestimento delle bici esposte furono aiutati da Rino Parmigiani, il meccanico della squadra della SCIC, un nome autorevole del settore, e vecchio conoscente di Otello Gozzi, con il quale aveva condiviso il lavoro in officina negli anni 60. Rino diventò poi collaboratore Rauler e gestì il negozio situato fuori dall’officina a pochi passi di distanza dalla sede.
La fiera fu un successo, molto apprezzate le bici esposte anche per la verniciatura eseguita da Gianni Schivazappa, artigiano di Parma e artista nel settore. Grazie a Colnago acquisirono molti clienti che rimasero fedeli negli anni a venire.

 

I fratelli Gozzi con il padre alla fiera di Milano

 

Durante la fiera fecero conoscenza con l’ex ex corridore della Nazionale Danese di nome Gunnar Asmussen che aveva già già partecipato alle Olimpiadi di Roma nel 1960 e vinse poi una medaglia d’oro alle Olimpiadi in Messico nel 1968.
Asmussen, cessata l’attività di corridore, aprì un negozio di bici da competizione nel suo paese, in Fiera era alla ricerca di un telaista in grado di produrre telai a suo marchio e rimase colpito dalle bici esposte allo stand Rauler. In breve stabilirono un accordo commerciale e quantitativo della campionatura. Asmussen fornì la squadra nazionale danese per la 4×100 Km cn telai costruiti da Rauler con ruota anteriore di 26 pollici.

Nel 1975 la Colnago equipaggiò la Giacobazzi, squadra di dilettanti di prima categoria di Nonantola, nella quale vi correva anche Mauro De Pellegrino, atleta di Reggio Emilia che si appoggiava alla Rauler per l’assistenza tecnica.
Sempre in quell’anno la Colnago riscontrò un problema nella costruzione del carro posteriore che, essendo troppo corto, per sostituire la ruota posteriore era necessario sgonfiare la gomma, durante la corsa operazione non accettabile. I direttori sportivi della Giacobazzi allarmati chiesero spiegazioni a Colnago, il quale Ii indirizzò alla Rauler per risolvere un problema che non era di facile soluzione dato che le bici erano già montate e verniciate. I Gozzi risolsero la questione con la mola a nastro accorciarono la punta dei forcellini affinché la ruota potesse essere montata in modo corretto e veloce.
Grazie a quell’operazione la Giacobazzi già nel 1976 equipaggiò la squadra con bici Rauler con le quali tagliarono molti traguardi. Nello stesso anno alle Olimpiadi in Venezuela De Pellegrini vinse la medaglia d’argento nella 100 km a squadre.

Nel 1980 sempre Mauro De Pellegrino vinse il campionato italiano a cronometro nella città di Pescara. Poi il Giro di Campania dilettanti di prima categoria fu vinto dal romagnolo Borgini; nel 1984 Vandelli Claudio vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Los Angeles, sempre nella 100 km a squadre, mentre il fratello Maurizio vinse il campionato italiano per dilettanti di seconda categoria su strada.
Nel 1976 una bici Rauler portò alla vittoria Dino Torelli, anche lui reggiano, vincitore in un campionato mondiale svoltosi in Austria e ancora Mauro De Pellegrino alla Milano – Reggio Emila vinta per distacco. Nel periodo del 1977 la Rauler organizzò un gran premio per la categoria Allievi con arrivo al Parco di Roncolo nelle Terre Matildiche di Quattro Castella, nel secondo anno lo vinse Cassani.

Gunnar Asmussen

 

 

 

Con l’arrivo nella squadra, di Marco Pantani e di Paletti Michele Giacobazzi decise di adottare le bici di Luciano Paletti che era costruttore di bici.

Tra le tante squadre equipaggiate con le bici Rauler: Giacobazzi, Autotrasportatorì Napoli, Maltinti Lampadari, Top and Esmeraldo, SMEG di Artoni, Velo Club Reggio, CREI Gualtieri, VIBOR con Panizza che correva con bici Colner-Rauler. Numerosi anche i clienti, da tutta I’ Europa oltre che da Argentina, Stati Uniti e Australia.

Reclus:

“Una volta arrivò in officina il massaggiatore della pallacanestro Reggiana, per richiederci una bici per un giocatore della squadra. Il giorno dopo si presentò un gigante americano di 2,17 metri di nome Roosevelt Bouie, una volta prese le misure il telaio mostro risultava di 72 cm di altezza, per costruirlo la Columbus ci preparò dei tubi speciali rinforzati fuori misura.”

Ogni anno la Rauler portava delle novità alla fiera di Milano, nel 1985 proposero un telaio innovativo per quel tempo, con tubi del trapezio romboidali per rendere il telaio più rigido, era il modello “Sistem Profil“. Nel primo esemplare furono utilizzati tubi Columbus PL e passato il collaudo fu brevettato e applicato a tutti i telai dell’azienda reggiana.

 

Officina Rauler anni ’80

 

Alla fine del 1985 Raoul uscì dalla Rauler per aprire insieme al figlio Massimo un’azienda specializzata in stampi speciali per elementi meccanici commissionati da aziende automobilistiche della zona come la Ferrari.
L’uscita di Raoul coincise con l’entrata nella società di Mauro Govi, operaio esperto cresciuto in azienda. In quegli anni all’officina Rauler la il team era composto da sette persone e si costruivano fino a 200 telai al mese.

Il 1987 fu un anno di calma nel settore bici da corsa, una crisi che non risparmiò la Rauler. Colnago per aiutare gli amici Gozzi gli commissionò la costruzione di venti tandem ordinati da Russia e Cecoslovacchia.
Trovato il modello, un tandem anni ’50 prestato per alcuni mesi dalla Federazione Ciclistica Italiana di Forlì, iniziò lo studio e la preparazione di una apposita maschera e dei vari componenti necessari per assemblare i tandem; nel breve tempo di un paio di mesi, riuscirono ad evadere l’ordine dei tandem ordinati da Ernesto.
Il giorno che Reclus si recò a Milano a ritirare il materiale per costruire i tandem, alla Colnago vide che i telai pronti per la limatura, avevano un bel colore vivo con una lieve polvere bianca. Aldo gli spiegò che stavano provando una soluzione di acido solforico diluito in acqua calda con la particolare proprietà di togliere tutto il borace, i telai venivano poi risciacquati in una soluzione d’acqua e soda caustica che togliendo completamente le tracce di acido evitava l’ossidazione del telaio. Un sistema per accorciare i tempi di sabbiatura che fu adottato anche in Rauler.

Nel frattempo si era diffusa la voce che alla Rauler si era in grado di costruire tandem e cominciarono ad arrivare ordini da privati e anche persone non vedenti che avrebbero così potuto muoversi con l’aiuto di una guida. Tra i clienti vi fu anche Vittorio Adorni che ne volle uno per lui e la moglie. Grazie alla costruzione di tandem riuscirono a superare quel momento di difficoltà di mercato in attesa che si rimettesse in moto il lavoro nel settore bici da corsa.

 

RAULER TANDEM2
Tandem Rauler / Foto Kevin Kruger.

Vittorio Adorni nello stand Rauler alla fiera di Milano

 

Un importante incarico arrivò grazie a Claudio Toselli, ex corridore della Giacobazzi che nel frattempo era diventato rappresentante nel settore della Viner di Pistoia che in quel momento era alla ricerca di un nuovo costruttore per i propri telai. Fu trovato un accordo tra le parti per la fornitura di 50 telai grezzi al mese. Sempre nel 1987 la Rauler costruì anche 15 telai su misura per la squadra professionistica Viner “Scrigno”, in soli 4 giorni.

Nel 1988/1999 alla Rauler si cominciò a saldare a TIG, per acciaio e alluminio e a costruire telai in carbonio.
Tra i clienti in quegli anni nomi noti del settore bici corsa come Colnago, Viner, Corner, Somec, Chesini, Olmo, Bianchi, Cinelli, Raimondi, Neri, molti di questi si sposteranno in breve tempo verso il mercato cinese.

Alla fine del 1999 Reclus andò in pensione rimanendo come consulente vicino alla Rauler. L’azienda, rilevata dalla Beltrami, è ancora in attività nella costruzione di telai non standard e riparazioni di telai d’epoca, con clienti in Belgio, Francia, Germania, Danimarca, Inghilterra, America e Australia, ma questa è già un’altra storia.

Reclus:

“Tuttora sto istruendo due giovani che sembrano molto interessati ad apprendere il lavoro del telaista con la speranza che l’esperienza acquisita negli anni non vada dispersa.
Ci vorrà ancora molta pazienza perché così come è stato per me, è per loro un percorso duro ma se metteranno tutta la loro buona volontà non potranno che riuscire. Coraggio, “nessuno è nato professore” Ancora dopo 50 anni, vado tutte le mattine nella sede Rauler a lavorare. Se non ci vado ne sento la mancanza, non riesco a farne a meno.
Chissà per quanto ancora lo farò, ancora non è sera.”

Le congiuzioni Arabesque
A metà anni ’80 Raoul ha ulteriormente perfezionato la sua già ragguardevole abilità al pantografo, per i propri telai disegna e realizza le famose congiunzioni arabescate, ancora oggi tra le più belle mai realizzate.
 Colnago dopo averle viste di persona alla Fiera del Ciclo di Milano le commissiona per il suo nuovo modello, passato alla storia con il  nome di Colnago Arabesque, pensato per celebrare il trentesimo anniversario della fondazione Colnago.
Le prime 100 Colnago arabescate  erano quindi tutte realizzate a mano da Raoul Gozzi e richiedevano molte ore di paziente lavoro al pantografo, dato il successo sul mercato, qualche anno dopo però Colnago deciderà di semplificarne il disegno per poterle produrre in larga scala e a minor costo con la tecnica della microfusione.

Marastoni
Tra i fratelli Gozzi e l’altro grande maestro telaista di Reggio Emilia Licinio Marastoni è sempre esistito un rapporto di reciproca stima e collaborazione, per le sue pantografie Licinio si è sempre affidato a Raul e negli anni ’90, data l’età ormai avanzata Licinio chiese aiuto a Reclus per la costruzione dei telai, ovviamente usando la sua maschera.

 

Rauler Profile Sistem con congiunzioni arabescate

Rauler pista anni ’70 con congiunzioni arabescate

Colnago Arabesque 1984/85

 

Rauler PLUS
Presentato alla Fiera di Milano del 1984, l’anno che Campagnolo presentò il gruppo con i freni Delta. Il telaio presenta una modifica ai porcellini posteriori del telaio che altri hanno successivamente adottato solo molto più tardi con l’avvento del carbonio.

Rauler Plus

 

Rauler SISTEM PROFILE
Tra i modelli Rauler più importanti la “Speciale SL” e la “Profile” per il quale Reclus creò tubi con disegno originale a sezione romboidale per migliorare la rigidità complessiva della bici, la prima versione venne testata e brevettata nel 1985 con la squadra Giacobazzi e fu prodotto fino al 1995.

Collaudo della prima Rauler Profile

Profil Sistem con tubi ovalizzati brevetto Rauler. Nella foto un modello costruita per Neri&Renzo / Foto Frameteller

 

Reclus Gozzi nell’officina Rauler / Maggio 2020, Foto WoW Bike

Rauler pista. Foto 3fix
Rauler anni ’70 pista / Foto velospace.org

raulerpistaIMG_2766_2 raulerpistaIMG_2766

Catalogo Rauler. Foto bulgier.net
Catalogo Rauler anni ’70 / Foto bulgier.net

 

Catalogo Rauler. Foto bulgier.net

Catalogo Rauler. Foto bulgier.net

Rauler pista anni ’70 arabescata / Foto Rory Masini via Fabio V.

rauler-blu2

    rauler-blu3

decorazione-lug-rauler 2  rauler-blu10

rauler-blu12

forcellini

rauler-blu11  serie sterzo rauler-blu9

Rauler strada. Foto classicrandezvous.com
Rauler pista arabescata / Foto classicrandezvous.com

Rauler Special strada, 1978 / Foto Kevin Kruger.

rauler strada road bike 70s columbus

rauler strada road bike 70s columbus rauler strada road bike 70s columbus

Rauler Special pista / Foto: Pista Mercato

RAULER TANDEM2
Rauler tandem 1980 / Foto Kevin Kruger.

RAULER TANDEM RAULER TANDEM3 RAULER TANDEM7 RAULER TANDEM8

RAULER TANDEM6

rauler decorata6
Dettaglio congiunzioni Rauler anni ’80.

rauler fork

Rauler strada tubazioni ovalizzate

Rauler “Profil Sistem” 1988. Tubazioni Columbus ovalizzate disegnate e registrate da Rauler. Verniciatura bifacciale applicata a mano da Mario Martini / Foto Frameteller

     

ajaxmail-1
Rauler Strada anni 80 / Foto David La Valle – Slip Stream

ajaxmail-3 ajaxmail-4 rauler bridge frame

Rauler Crono. Foto biciretro.it
Rauler Crono / Foto biciretro.it

Rauler crono fine anni ’80 / Foto: Aldo Pavia

Catalogo Rauler 1978. Foto velociao.com
Catalogo Rauler 1978 / Foto velociao.com

catalogo-rauler1978 3 catalogo-rauler1978

rauler gagliardetto

raulerpista

fir rims


SOMEC

SOMEC Società Meccanica / Biciclette su misura / Lugo di Romagna, (RA)

Via S. Martino, 1/A – S. Agata sul Santerno (RA) Italia / 1973 – In attività


Fonte: Classic randezvous / Somec

Ha collaborato con: Mario Martini

Palmarès: Monica Bandini campione del Mondo 50 km a cronometro a squadre a Renaix, 1988 / Elisio Torresi campione italiano Juniores 1991

> Catalogo 1986 > Catalogo Somec

 

SOMEC (Società Meccanica) nasce nel 1973 a Consolice in provincia di Ravenna dai soci Oliviero Gallegati, Pierino Scarponi e Giuliano Montanari.
Montanari e Gallegati si conobbero nell’ambiente delle corse giovanili quando dirigevano le squadre ciclistiche dei ragazzi della Baracca Lugo, entrambi lavoravano nel settore meccanico. Aprirono la SOMEC puntando dapprima sul settore della carpenteria meccanica e, solo come seconda attività, la produzione di biciclette, che però divenne già dal 1985 quella di maggior successo con 1300 biciclette sportive.
Le “biciclette speciali SOMEC” nei primi anni erano costruite esclusivamente su misura per i ciclisti della zona, in seguito grazie alla lavorazione artigianale di alto livello offerta dall’azienda e alla partecipazione a fiere internazionali, vennero apprezzate ed acquistate anche all’estero . Il metodo per la costruzione negli anni ’70 era la saldo brasatura con castolin di tubi Columbus.
Nel 1976 l’azienda si è trasferì a 30 km, da Conselice a S. Agata sul Santerno, i telai prodotti dagli anni ’80 ai ’90 erano all’incirca 1.900 annui, per un totale  ad oggi di circa 25.000.  Un telaio SOMEC costava all’incirca dalle 80.000 Lire negli anni ’70 fino a 1.000.000 di Lire nel 1990. La verniciatura fino al 2001 era affidata al grande maestro Martini di Lugo.

Per marchiare le sue bici Gallegati sceglie il disegno del Tulipano, simbolo di colore ed eleganza, spesso affiancato dalla silhouette del Cavallino Rampante usato del famoso aviatore lughese Francesco Baracca, vissuto tra ‘800 e ‘900, donato dalla famiglia Baracca alla scuderia Ferrari che lo usò, modificandone la forma della coda, come stemma da apporre sulle prestigiose autovetture.

Oltre che per innovazione, qualità e design, Somec si è distinta dalla forte concorrenza anche per l’originalità dei disegni di livrea e pantografie, tutti i telai dell’azienda sono stati infatti decorati a mano dal maestro Mario Martini di Lugo, tra i più creativi e ricercati verniciatori di telai tra gli anni ’70 e ’90.

 

somec gallegati
Oliviero Gallegati, Amministratore Delegato SOMEC

 

Sede Somec – Lugo di Romagna, Emilia-Romagna, Italia

 

somec_fiera_milano_fine70 LOW
Stand Somec alla Fiera del Ciclo di Milano, fine anni ’70. Nella foto Erik Pettersson (secondo da sinistra) e Gösta “Fåglum” Pettersson (terzo da sinistra), vincitore del Giro d’Italia del 1971), al loro ritiro dalla carriera agonistica furono distributori Somec in Svezia, presso il loro negozio Racerdepån a Vårgårda. / Foto archivio storico Somec

 

Officina Somec / foto dal catalogo del 1986

 

Il famoso pilota Francesco Baracca davanti al suo aereo con il simbolo del Cavallo Rampante
Il pilota Francesco Baracca davanti al suo aereo con il simbolo del Cavallino Rampante

 

somec mark manson

foto via flickr/watson3
Livrea Somec anni ’80. Foto via flickr/watson3

 

somec tulipano logo bottom bracket
Alleggerimento scatola movimento centrale con il simbolo del tulipano Somec / Foto The Bike Place

 

 

cover3-somec-bike
Livree Somec create da Mario Martini di Lugo – Catalogo Somec 1986

tube-somec-lugo-columbus

somec-paint-tube
Livrea Somec creata a mano dal maestro Martini di Lugo. Foto via flickr/ John Watson

Livrea Somec by Martini Lugo. foto via flickr/ john watson
Livrea Somec creata a mano dal maestro Martini di Lugo. Foto via flickr/ John Watson

 

Elegante innovazione.

Grazie all’abilità di telaisti come Lacchini e Pasquali insieme alle idee e alle capacità tecniche di Gallegati, Somec si distingue già dai primi modelli per le diverse modifiche migliorative apportate ai propri telai, innovazioni mai brevettate ed in seguito adottate anche da altri costruttori.
Alla fine degli anni ’70 Somec è la prima a saldare i foderi posteriori verticali direttamente negli attacchi della vite reggisella, fino ad allora infatti venivano saldati nel tubo verticale ma più in basso. L’eleganza di questa innovazione, che mantiene inalterata la rigidità del telaio, rimarrà a lungo uno degli elementi distintivi dei telai SOMEC.
Altra invenzione dello stesso periodo è il ponticello per l’attacco freno posteriore con la particolare forma arcuata che segue la linea della pinza, mentre nel 1986/897 Somec è la prima al mondo a creare il passaggio dei cavi all’interno del tubo sterzo.

 

I forcellini posteriori verticali saldati direttamente agli attacchi della vite stringisella. Design by Somec. Foto flickr/adam
I forcellini posteriori verticali saldati direttamente agli attacchi della vite stringisella. Design by Somec. Foto flickr/adam

Il ponticello per l’attacco del freno posteriore a forma incurvata. Design by Somec / Foto via flickr/jeff rumbold.

Telaio Somec saldato a TIG con il passaggio dei cavi per i freni interni allo sterzo. Foto flickr/manic eden.

 

Non solo telai.

La creatività di Gallegati si estende anche alla produzioni di attrezzature per la costruzione delle bici – altra attitudine in comune con gli artigiani della regione. Sostenitore fin dagli albori del telaio su misura e occorrendogli uno strumento che lo aiutasse ad ottimizzare questa necessità, negli anni ’70 inventa il Ciclomaster, attrezzo utile a prendere in modo preciso le misure del ciclista, attrezzo poi imitato da altri.

 

Il Ciclomaster inventato da Oliviero Gallegati. Foto dal catalogo del 1986.

 

Alluminio e TIG.

Alla fine degli anni ’80 SOMEC continua ad esprimere la propria vocazione innovativa anche su telai in alluminio, per primi limano a mano le saldature, e nei telai in acciaio saldati a TIG dove per la prima volta fili dei freni sono nascosti all’interno delllo sterzo. Oggi la SOMEC, guidata sempre da Oliviero Gallegati insieme alla figlia Lara, esporta telai speciali su misura in tutto il mondo.

Telaio Somec a TIG con saldature limate a mano.
Telaio Somec saldato a TIG. Foto flickr/cicli vintage italia.

 


 

Galleria immagini biciclette

OLYMPUS DIGITAL CAMERA
Uno dei primi telai Somec, realizzato nella prima sede a Conselice, N. 24, circa 1973.

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

 

Somec Special strada n. 204, 1975 – Foto Frameteller

 

somec track2
Somec pista fine anni ’70 / Foto The Bike Place

somec track

 

Somec super record
Somec Super Record strada 1979

s-l1600-3 s-l1600-4 somec2 somec3 s-l1600-7 somec4

 

Somec per Villa (Bologna) 1980, conservata. Gruppo Campagnolo Super Record titanio anodizzato nero (originale dalla fabbrica). Foto Frameteller.

a
Copertina catalogo Somec fine anni ’80

 

Somec Pista Art. 1101 – catalogo Somec 1983

 

Somec Crono pista Art. 1100 – catalogo Somec 1983

 

Somec crono strada / Foto Loris Casolari

 

Somec Air 2001 strada – Art. 1022 – catalogo 1983

 

Somec Air 2001 del 1983 – Foto Frameteller

 

Somec modello Air Super Record.
Somec Air Super Record – catalogo Somec 1986

Somec super air
Telaio Somec Air 2001 – 1986

s-l1600-5 s-l1600-3 s-l1600-1

 

Somec modello Super Air Crono.
Somec Super Air Crono C Record – catalogo Somec 1986

air-c-record-somec

 

Somec Air 2001 C Record – catalogo Somec 1986

Somec Air 2001 C Record 1986 / Foto Vintage Bike Art

Somec Air Super Record 1986 / Foto Vintage Bike Art

somec john watson 2
Livrea Somec creata a mano dal maestro Martini di Lugo. Foto via flickr/ John Watson

Livrea Somec by Martini Lugo. foto via flickr/ john watson
Livrea Somec creata a mano dal maestro Martini di Lugo. Foto via flickr/ John Watson

somec-delta-brakes

 

Livrea Somec by Martini Lugo. foto via flickr/ john watson
Livrea Somec creata a mano dal maestro Martini di Lugo. Foto via flickr/ John Watson

somec flickr phil g
Livrea Somec creata a mano dal maestro Martini di Lugo. Foto via flickr/ John Watson

Abbigliamento Somec – catalogo 1983

gurppo-c-record-somec
Gruppo Gruppo Campagnolo C Record pantografato Somec – Catalogo 1986

Gruppo Campagnolo Super Record placcato oro e pantografato Somec, Pat. 82. Foto GB Legendary Bikes.

 

Gruppo C Record pantografato Somec / Foto Vintage Bike Art

 

 

Guarnitura pantografata Somec. foto via flickr/jeff rumbold
Componenti pantografati Somec. Foto Flickr/ jeff rumbold

somec jeff rumbold 3

 

Telaio Somec a TIG con saldature limate a mano.
Telaio Somec ProMax saldato a TIG. Foto flickr/cicli vintage italia.

 

Telaio Somec a TIG con saldature limate a mano.
Telaio Somec saldato a TIG. Foto flickr/anders


SUZZI

Cicli Suzzi / Biciclette a mano su misura / Imola, via del Fossato 21  / primi anni ’20 – anni ’80

Collaborazioni: Alpi / Peloso / Marnati / Pelà / Colnago / Patelli / Picchio

I Suzzi, padre e figlio, hanno venduto biciclette a ciclisti amatori e professionisti per oltre ’60 anni. Poche le informazioni che è stato possibile recuperare su questo noto marchio bolognese nonostante oggi sia molto apprezzato e ricercato dai collezionisti di bici da corsa d’epoca.
Diversamente dal figlio Alfredo che si limitò all’assemblaggio di telai costruiti da terzisti, Suzzi era conosciuto nel territorio per l’abilità nel saldare telai in acciaio, in particolare per la raffinata eleganza dei telai da passeggio. L’officina per l’assemblaggio si trovava a Imola, mentre il negozio era a Bologna in via del Fossato 21. Nella bottega di Bologna Alfredo offriva splendide bici assemblate con telai marchiati a proprio nome e costruiti da blasonati artigiani italiani, tra i quali Marnati, Alpi, Peloso, Colnago, Chiesa, Picchio, Patelli e Pelà. Abile meccanico, Alfredo segui per diversi anni anche il corridore Diego Ronchini.
I telai erano firmati con decals adesive o direttamente verniciate sul telaio, raramente veniva impresso anche l’acronimo AS sulla scatola del movimento centrale, lo stemma stemma araldico nei toni dell’azzurro ben si accostava al particolare viola dei suoi telai che li rendeva immediatamente riconoscibili.

Enrico Brizzi, proprietario insieme al fratello di una bici Suzzi, racconta:

Mi si è aperto il cuore nel trovare la scheda sul vostro sito sulla ditta Suzzi, un pezzo di storia cittadina.
Dopo lungo apprendistato ciclistico, mio fratello e io fummo ammessi, ormai adolescenti, a comprare due bici da lui, gioielli che conservo con gelosia e mi ripropongo di restaurare.
Il tratto distintivo del vecchio Suzzi, omone dalle mani a tenaglia e fervido bestemmiatore come da tradizione anarchica imolese, stava nel fatto che prima di cederti una delle sue bici ti faceva fare il giuramento: dovevi guardarlo negli occhi e stringergli la mano, promettendo che l’avresti trattata bene. “Perché a me mi puoi anche prendere per il culo che non m’importa, ma sulle bici c’è il nome del mio babbo, e con lui non si scherza!.

Alfredo Suzzi è scomparso nel 1998 all’età di 96 anni.

Suzzi corsa fine anni '40. Telaio per cambio Campagnolo a 2 leve costruito da Antonio Alpi. Foto Frameteller.

Bici marcata Suzzi del 1950/51 con il cambio Parigi Roubaix. Il telaio sembra essere un Testi.

 

 

Suzzi anni ’60, conservato. Telaio “Freccia” costruito alla Colnago. Foto Frameteller.

Dettagli di un telaio marcato Suzzi e costruito da Antonio Alpi.

 


 

Suzzi del 1968, conservato. Telaio costruito da Pelà.

 

Suzzi anni ’70, conservato. Telaio costruito da Peloso. Foto Frameteller

Suzzi primi anni ’70, conservato. Telaio costruito da Picchio.

 

 

Suzzi anni ’80. Telaio costruito da Marnati. Foto Troppebici

 

 


Suzzi anni ’70, conservato. Telaio costruito da Marnati. Foto Legendary Bike.

     

 

 


Suzzi anni 70, conservato. Telaio costruito da Peloso. Foto Katsarasj.

Suzzi, anni ’70, conservato. Telaio Peloso.

   

 


Suzzi,  fine anni ’70, conservato. Costruttore non identificato.


VICINI

Cicli Vicini / Biciclette a mano su misura / Milano Via Procaccini poi Piazza Gramsci / 1942 – ancora in attività

Fonti: Vicini / Corriere Cesenate, art. di Valentina Aliberti

Palmares: Giro d’Italia 1937 – 3° / 1940 – 4° / 1947 – 7° / 1950 – 18° / Tour de France 1937 – 2° / 1938 – 6 ° / Milano Sanremo 1939 – 5° / Giro della Toscana / Campione Italiano su strada nel 1939 / Giro di Toscana 1938 – 2°

 

Il 21 febbraio 1913 nacque a Martorano di Cesena Mario Vicini, un grande campione del ciclismo. Sulla bicicletta ha vissuto una vita e dalla bicicletta ha ritrovato la vita. Infatti da ragazzino, all’età di 15 anni era sempre malaticcio, soffriva di affezioni alle vie respiratorie e polmoniti. Le ricadute lo costrinsero a trascorrere i mesi invernali a letto costantemente assistito. Dopo una ricaduta particolarmente pesante il medico disse ai genitori che non sarebbe sopravvissuto ad una ulteriore crisi e si raccomandò che non facesse sforzi fisici di nessun tipo. Mario però appena messo uscito dal letto scassinò il lucchetto della bicicletta di suo padre e si lanciò per le strade bianche di Cesena, chilometri e chilometri tra nebbia e freddo spingendo sui pedali. In seguito a questo episodi non gli venne più nemmeno un raffreddore.

Dal 1932 Vicini cominciò a iscriversi alle prime gare ciclistiche e in seguito gareggiò per squadre blasonate come la Bianchi insieme a Cinelli, Ortelli e Olmo e partecipò come indipendente al Tour de France del 1937, arrivando secondo. Vinse molte altre gare e fu grande amico di Coppi. Come anche il suo amico e conterraneo Vito Ortelli e tanti altri ciclisti, qualche anno prima di ritirarsi dalle competizioni cominciò a progettare il proprio marchio di biciclette . Sponsorizzò alcune società sportive della città e aiutò il ciclismo femminile dando vita alla squadra rosa Alfa Lum.

Le prime biciclette Vicini le costruì per se stesso, negli spazi del suo negozio a Cesena, già a partire dal 1942. La prima bicicletta marcata con il suo nome fa la sua pubblica comparsa al Giro del Piemonte nel 1947. A quel tempo in molti cercarono di dissuaderlo dall’idea di costruire biciclette anche perché era appena cominciata l’era del motore con la Lambretta, ma Vicini tenne duro e nel 1948 aprì l’officina dove lavoravano con lui due giovani meccanici. Per tante biciclette vendute acquistava altro materiale per farne altre, così da non esporsi a debiti. Le bici per i da corsa erano costruite artigianalmente una ad una con telai Columbus e montate con gruppi Campagnolo. La concorrenza di Bianchi, Dei e Legnano era molto agguerrita ma nel giro di un decennio le bici Vicini dalla piccola città romagnola arrivarono ad essere vendute in tutto il centro Italia.

L’attività crebbe di anno in anno fino a diventare una grande azienda, negli anni ’90 in officina lavoravano 30 artigiani e dall’azienda uscivano circa 30.000 bici ogni anno, tra modelli da corsa per professionisti, mountain bike e bici da turismo.
Nonostante le grandi dimensioni Vicini cercò sempre di mantenere un approccio artigianale a condizione famigliare insieme con i figli Ottavio e Carla.

Mario Vicini si è spento nel dicembre del 1995, ancora oggi, foto dell’epoca, trofei, coppe e le magliette nel negozio di Vicini riportano il visitatore ai tempi eroici. Il reparto corse è seguito dai figli di Mario e dai nipoti Raffaele e Paola Vicini.

In occasione del centenario dalla nascita di Mario Vicini (21-02-1913), è stato creato un sito web dedicato che, con immagini e articoli, ripercorre gli avvenimenti della sua vita.

 

Vicini Tour de France 1977 – Foto ©speedbicycles.ch

 

Vicini Tour de France 1978

 

La bicicletta Vicini usata da Marco Pantani nel 1982 esposta al Museo Pantani di Cesenatico. Foto Rory Mason

Pubblicità Vicini C Record – Immagine Rory Mason

 

Vicini strada 1979 – Foto Troppebici

 

Vicini pista – Foto Andrea Bonfanti

 

Vicini strada anni ’80 – Foto Retrobike

 

Vicini C Record strada – Verniciatura di Mari Martini – Foto Specialecorsa

 

Vicini strada Columbus SLX congiunzioni Cinelli – Verniciatura di Mari Martini

 

La carriera agonistica.

 

Nel 1933 dilettante di quarta categoria con la Renato Serra, richiama l’attenzione del commissario della F.C.I. per l’Emilia Ferruccio Berti in virtù di coraggiose imprese e di un ottimo rendimento. Vicini ottiene 14 vittorie arrivando al traguardo in solitudine dopo aver piantato tutti in salita, in pianura, in discesa.

Il primo successo lo consegue a Roncofreddo nella Coppa del Rubicone, seguono le vittorie a Forlì, Ravenna, Savignano, Montescudo, Pesaro, Longiano, Bubano. Sul finire di stagione conquista la vittoria più bella nella Coppa Città di Cesena che vede in lizza i migliori dilettanti della regione. Queste gesta gli valgono larga popolarità e un notissimo meccanico di biciclette della sua città gliene costruisce una su misura offrendogli tutto il corredo necessario e la propria assistenza in corsa, addirittura su di lui vengono scritte poesie e cantate canzoni.

 

 

Nel 1934 presta servizio militare a Rimini riuscendo tuttavia a partecipare ad alcune corse, due delle quali lo vedono vittorioso per distacco. Nel 1932 ottiene 8 vittorie, tra le quali la Coppa Tamburini a Pesaro, il Circuito delle Camminate e il Giro delle Due Provincie Romagnole.

La carriera da professionista, che lo vede impegnato fino agli anni cinquanta, inizia nel 1936. Dopo una sfortunata Milano-Sanremo, partecipa al Giro d’Italia in cui è spesso in evidenza risultando 17° in classifica e 2° degli isolati. Nel 1937 è ingaggiato dalla Ganna e ancora una volta è sfortunato sia alla Milano-Sanremo sia al Giro d’Italia.

Nel Tour de France corre da isolato e si rivela uno dei più forti scalatori. Magnifico combattente, dominatore in salita, spericolato in discesa, brioso sul passo porta a termine la corsa classificandosi 1° degli isolati e 2° nella classifica generale. È l’anno del ritiro per caduta di Bartali maglia gialla, che gli diede la popolarità che ha accompagnato per il resto della sua carriera. Rimase infatti, soltanto lui a contrastare la vittoria al francese Roger Lapebie: si battè con forza, soprattutto per mantenere il posto d’onore finale che gli dette il primato nella categoria e lo fece tornare in Italia con l’aureola di un eroe che aveva parzialmente compensato la sfortunata prova di Bartali.

Nel 1938 passato alla Lygie ottiene uno strepitoso successo al Giro di Toscanaì relegando a più di undici minuti i più immediati inseguitori. In seguito risulta in bella evidenza fin dalle prime battute al Giro d’Italia dove vince la seconda tappa conquistando la maglia rosa. Ma questa corsa sembra stregata per lui: pochi giorni dopo cade in discesa ed è costretto al ritiro. Ritorna al Tour e si classifica 6° un piazzamento ottimo ma al di sotto delle sue possibilità: con maggior fortuna avrebbe potuto concludere alle spalle del vincitore Bartali. Selezionato per i mondiali di Valkenburg deve ritirarsi per la rottura di un forcellino.

 

 

Nel 1939, sempre con la Lygie, dopo essere stato battuto in volata da Bartali al Giro di Toscana, è finalmente tra i protagonisti del Giro d’Italia classificandosi 3°. Durante l’estate veste la maglia tricolore risultando primo nella classifica del campionato italiano disputato in tre prove di cui una, il Giro del Lazio, lo vede vittorioso: è il primo corridore romagnolo a laurearsi campione italiano dei professionisti.
Nel 1940 corre con la Bianchi: entusiasma alla Settimana ciclistica di Tripoli, si aggiudica l’impegnativa Coppa Marin a Padova, il circuito di Prato e due tappe consecutive al Giro d’Italia che porta a termine con un 4° posto in classifica. Dal 1940 al 1946, anche a causa della guerra, svolge un’attività discontinua che lo vede brillante protagonista della Gran Fondo delle Provincie Lombarde di 522 km (1941) primo nel G.P. Città di Rovigo (1942), secondo a Roma nel campionato italiano battuto in volata da Mario Ricci (1943). Non in forma partecipa con la Viscontea al primo Giro d’Italia del dopoguerra nel 1946 ritirandosi.

 

 

Lo smalto dei giorni migliori si sta offuscando, ma Gaibèra, facendo appello al temperamento, riesce ancora a proporre sprazzi di buon livello nel corso del 1947 al Giro del Piemonte (3° dopo una lunga fuga) e al Giro d’Italia che conclude al 7° posto dopo essersi prodigato per la vittoria di Coppi suo capitano nella Bianchi. Appesantito dall’età, non più uomo di punta nelle squadre in cui corre, il cesenate raccoglie pochi risultati di rilievo negli ultimi anni della sua lunga carriera. Tra questi meritano una citazione il 6° posto nella Sanremo del 1950 e, sempre nello stesso anno, il 18° nella classifica del Giro d’Italia in cui, pur condizionato come gregario, riesce ad esprimersi ancora con una condotta di corsa generosa e garibaldina che gli vale diversi piazzamenti.

Non abbandona tuttavia l’amata bici, continuando a pedalare per passione e laureandosi anche Campione del Mondo per veterani in Austria nel 1973.

 

1938, Vicini capitano della squadra Lygie. Anche Cimatti nella squadra.

Corse per la Gloria, la Lygie, la Bianchi, la Viscontea e la Vicini.
Fu Campione italiano su strada nel 1939.
Partecipò nove volte al Giro d’Italia vincendo tre tappe: Sanremo nel 1938 indossando anche la maglia rosa per un giorno, Trieste e Pieve di Cadore nel 1940. Si classificò terzo nel 1939, quarto nel 1940 e settimo nel 1947. Al Tour de France fu secondo nel 1937 dietro Roger Lapébie, e sesto nel 1938.
Vinse il Giro di Toscana nel 1938 ed il Giro del Lazio nel 1939. Fu anche settimo al Giro di Lombardia nel 1938 e quinto alla Milano-Sanremo nel 1939.

Palmares completo:
1935 1° nella Giro delle Province Romagnole (ITA)
1935 1° nella GP Città di Camaiore (ITA)
1936 3° nella Giro del Lazio (ITA)
1936 1° nella Giro delle Quattro Province (ITA)
1937 2° nella 3a tappa Giro d’Italia, Genova (ITA)
1937 3° nella 8a tappa Tour de France, Briançon (FRA)
1937 3° nella 14a tappa parte a Tour de France, Bourg-Madame (FRA)
1937 2° nella Classifica Generale Tour de France, Paris (FRA)
1937 2° nella Classifica GPM Tour de France, Paris (FRA)
1938 3° nella Giro del Veneto (ITA)
1938 1° nella Giro di Toscana (ITA)
1938 1° nella 2a tappa Giro d’Italia, San Remo (ITA)
1938 2° nella 10a tappa parte b Tour de France, Béziers (FRA)
1938 2° nella 14a tappa Tour de France, Briançon (FRA)
1939 1° nella Giro del Lazio (ITA)
1939 2° nella Giro di Toscana (ITA)
1939 1° nella Campionato Nazionale, Strada, Elite, Italia (ITA)
1939 3° nella 2a tappa Giro d’Italia, Genova (ITA)
1939 3° nella 3a tappa Giro d’Italia, Pisa (ITA)
1939 3° nella 14a tappa Giro d’Italia, Cortina d’Ampezzo (ITA)
1939 2° nella 15a tappa Giro d’Italia, Trento (ITA)
1939 3° nella Classifica Generale Giro d’Italia, Milano (ITA)
1940 1° nella Coppa Marin (ITA)
1940 2° nella Giro di Toscana (ITA)
1940 2° nella GP Leptis Magna (LIB)
1940 2° nella 3a tappa Giro d’Italia, Pisa (ITA)
1940 1° nella 15a tappa Giro d’Italia, Trieste (ITA)
1940 1° nella 16a tappa Giro d’Italia, Pieve di Cadore (ITA)
1940 4° nella Classifica Generale Giro d’Italia, Milano (ITA)
1947 3° nella Giro del Piemonte (ITA)
1947 3° nella 1a tappa Giro d’Italia, Torino (ITA)
1947 3° nella 3a tappa Giro d’Italia, Reggio Emilia (ITA)
1947 7° nella Classifica Generale Giro d’Italia, Milano (ITA)
1953 1° nella Coppa Signorini (ITA)


VILLA

Cicli Amleto Villa / Bici su misura / 1928 – primi anni 80 / Bologna

Fonti: “Amleto Villa: da 80 anni sotto le Due Torri (“Carlino Bologna”, 3.10.2008) / Troppebici blog

Ha collaborato con: Cimatti, Brambilla, F.llii Chiesa, Galmozzi

Palmarès: 1932, Olimpiadi di Los Angeles, medaglia d’Oro inseguimento su pista.

 

Il negozio e officina di biciclette Amleto Villa “Il paradiso delle biciclette” apre a Bologna nel 1928 e rimane punto il punto di riferimento per i ciclisti bolognesi per oltre settant’anni. Elegante, scorrevole, perfetta, stabile, buona”, erano gli aggettivi che Villa scelse per definire le sue biciclette.

 

cartolina-negozio-villa

cicli-villa-ads

 

Era il periodo in cui si organizzavano molte corse su strada ed il ciclismo italiano produceva campioni. Amleto Villa capì che le bici da corsa gli avrebbero dato notorietà ed insistette su questa produzione. I fatti gli diedero ragione. Non bisogna trascurare il contesto petroniano di quegli anni: il gerarca Leandro Arpinati voleva una “Bologna sportiva”: perciò, oltre alla costruzione dello Stadio Comunale (il “Littoriale”), inaugurato da Mussolini il 31 ottobre 1926, furono incentivate le società sportive (Virtus, SempreAvanti…). Come dimenticare il grande successo della bolognese Ondina Valla che vinse l’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 (l’altra bolognese, Claudia Testoni, giunse quarta). Anche il ciclismo fu sostenuto ed emersero ottimi giovani atleti.

Nel 1932, cioè quattro anni dopo l’apertura del suo negozio, si svolsero le Olimpiadi di Los Angeles e, nella squadra italiana di inseguimento su pista, fu selezionato il giovane bolognese Marco Cimatti (1912- 1982), il quale correva su una bicicletta da corsa “Villa”. La squadra italiana vinse la medaglia d’oro e i cinque cerchi olimpici fecero sfoggio nella vetrina del negozio e nel marchio Villa. Cimatti, nel dopoguerra, aprì una fabbrica di biciclette. La produzione di cicli Villa proseguì e si intensificò.

 

Marco_Cimatti
Marco Cimatti – Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932 nell’inseguimento su pista con una bici Villa.

 

fogo-losangeles-1932

retro-foto

corridore-villa dettaglio

foto ciclisti

Bici da pista Villa, costruita da Francesco Brambilla nei primi anni ’30. Foto Frameteller
Bici “Stayer” Villa, metà anni ’30. Foto Frameteller
Bici Villa 1952 costruita da Umberto Chiesa con congiunzioni arabescate. Cambio Campagnolo Parigi Roubaix. Foto Frameteller
Bici Villa 1959, costruita da Chiesa, conservata. Foto Frameteller
Bici Villa 1965, costruita da Galmozzi, conservata. Foto Frameteller
Bici Villa 1967 costruita da Chiesa, conservata. Foto Frameteller
Bici Villa cosstruita da Galmozzi, fine anni ’60, conservata. Foto Troppebici
Bici personale di Villa, costruttore ignoto, primi anni '70, conservata. Foto Frameteller
Bici Villa costruita da Galmozzi, 1973. Foto Frameteller

VIRGINIA

Cicli Virgina di Orazio Grenzi / Biciclette su misura / Modena, Italia / 1962 – In attività

Fonti: intervista a Palmieri Marco, nipote di Orazio Grenzi e attuale titolare della Cicli Virginia

Invenzioni: sistema di fissaggio al tubo per il cavo del freno posteriore / bloccaggio pinze freni interno al telaio / fissaggio del deragliatore anteriore direttamente al telaio

Ha collaborato con: Paletti, Giuseppe Pelà

 

La storia di Orazio Grenzi, talentuoso e creativo costruttore artigiano di biciclette, purtroppo scomparso qualche anno fa, ce la racconta il nipote Marco che a 9 anni era già in officina con lo zio, poi corridore dilettante fino al 1985 quando ne ha rilevato l’attività.

In fuga dal 1962

Orazio Grenzi inizia da giovanissimo a lavorare presso alcune botteghe artigiane di biciclette modenesi. Nel 1962, raggiunta la necessaria esperienza, apre la sua officina, nella quale per tutta la carriera ha costruito biciclette esclusivamente su misura.

Il marchio “Virginia”, che in realtà è il nome della madre, appare sulle bici qualche anno più tardi. Come altri artigiani della zona come Luciano Paletti e Licino Marastoni, con cui ha anche collaborato, si è distinto dalla media sia per la qualità dei telai che per il livello di sperimentazione. Uno di quei costruttori che in officina erano sempre alla ricerca di una nuova soluzione per migliorare le prestazioni del telaio in acciaio.
Tra le invenzioni originali che oggi possiamo ancora ammirare sulle sue biciclette c’è il particolarissimo sistema di fissaggio al tubo orizzontale del cavo freno posteriore, realizzato con speciali asole in acciaio saldate al tubo che fermano una molla in alluminio per bloccare la guaina. Fù probabilmente il primo a saldare il deragliatore anteriore direttamente al telaio oltre a creare il bloccaggio delle pinze freno all’interno del telaio senza bullone, prototipi ripresi nello stesso periodo e in modo leggermente diverso, anche da Marastoni e successivamente presenti nei primi modelli costruiti per Luciano Paletti. La maggior parte dei telai sono costruiti con la scatola del movimento centrale realizzata da Giusppe Pelà.

Orazio Grenzi e Luciano Paletti

La vita di Grenzi si intreccia più volte con quella di un altro grande artigiano modenese, Luciano Paletti, il quale ha imparato prima da lui e poi da De Rosa i segreti del mestiere.
È sempre Grenzi a costruire telai per Paletti dal 1972 al 1975 quando, chiamato dall’imprenditore Eugenio Rampinelli (vedi Cobra&REG by Roto) a dirigere la 2T Tecnotelai di Bologna, vende l’officina di Vaciglio (Modena) proprio a Luciano che per qualche anno marcherà i telai con la doppia firma Grenzi/Paletti.
La contaminazione creativa tra i due artigiani continua anche dopo, anzi è proprio grazie al passaggio dell’attività che Paletti entra in contatto con il sig. Ognibene, l’ingegnere modenese che aveva collaborato con Grenzi nella realizzazione delle sue invenzioni e che sarà poi l’artefice della complessa ingegnerizzazione dei brevetti dei freni interni e dei cavi interni al telaio di creati da Paletti.

La 2T Tecnotelai, che è stata la prima azienda al mondo a costruire biciclette da competizione in serie, chiude qualche anno dopo per problemi economici. Grenzi torna quindi a Modena per riaprire la sua officina dove continuerà a costruire telai fino al suo ritiro nel 1987, lasciando al nipote Marco l’attività.

fregi grenzi fregi grenzi2


Fregi Grenzi/Virginia in ordine cronologico da sinistra a destra.

Paletti strada 1971 con la doppia firma Virginia/Paletti.
Congiunzioni Nervex.

Dettaglio congiunzioni primi anni 70 

 

Virginia fine anni ’60

 

VIRGINIA GRENZI SUPER SPECIALISSIMA ROAD BIKE

dsc_0212

Virginia Specialissima 1973, conservata. Foto Frameteller

virginia-super-bici-road-bike-grenzi-2

dsc_0087 dsc_0130 virginia-super-bici-road-bike-grenzi

Grenzi fù uno dei primi a trovare una soluzione per fissare la guaina direttamente al telaio, il sistema originale, ma non brevetettato, prevedeva molle ottenute per fusione che alloggiano all’interno di due asole saldate al tubo del telaio. Soluzione poi adottata anche sui telai costruiti per Paletti.

grenzi-virginia-bici-telaio-columbus-eroica6

grenzi-virginia-bici-telaio-columbus-eroica3

grenzi-virginia-bici-telaio-columbus-eroica5

Il primo (o uno dei primi) tentativo di deragliatore anteriore saldato direttamente al telaio.
Una soluzione simile fu realizzata anche da Marastoni.
Nel 1978 Luciano Paletti brevettò un sistema che permetteva la regolazione dell’altezza del deragliatore,

idea ripresa e brevettata da Tullio Campagnolo.

Evoluzione del deragliatore anteriore saldato al telaio. Da sinistra a destra: brevetto Campagnolo a fascetta,  prototipo Grenzi, brevetto Paletti, brevetto Campagnolo a saldare.

grenzi-virginia-bici-telaio-columbus-eroica

dsc_0044grenzi-virginia-bici-eroica-campagnolo2grenzi-virginia-bici-eroica-campagnolo3

grenzi-freni-campagnolo-virginia

Il sistema di bloccaggio delle pinze  freni  interno al telaio, sistema applicato da Orazio Grenzi e poi ripreso anche da Marastoni
ma già esistente fino dagli anni ’30. 

grenzi-campagnolo-reggisella-virginia grenzi-campagnolo-reggisella-virginia2

grenzi-virginia-coda-rondine-forcelliniLa sagoma particolare e immediatamente riconoscibile dei forcelllini Virginia

virginia-campagnolo-titanio-super-record

virginia-campagnolo-titanio-super-record2 virginia-campagnolo-titanio-super-record3

dsc_0073dsc_0107 dsc_0230

dsc_0097 dsc_0124  

 

Virginia Specialissima 1973, conservata. Foto Frameteller

Virginia Specialissima 1973, conservata.

 

 

Virginia strada 1969 marcata Paletti. Scatola movimento Giuseppe Pelà. / Foto RD

 

Virginia strada costruito con congiunzioni Pelà

 

Virginia pista, congiunzioni 2T Tecnotelai Bologna

 

Virginia strada 1969. Scatola movimento Giuseppe Pelà.

 

 

virginia-grenzi

virginia-grenzi2

virginia-grenzi5

Telaio Virginia Course, primi anni ’70 / Foto bg.legendary.bikes

 

Virginia strada anni ’70, telaio con testa forcella e scatola Pelà / Foto da RD

 

virginia-bike-1

orazio-grenzi3

virginia-bike-2

orazio-grenzi4

virginia-bike-4

virginia-bike-9

orazio-grenzi2 

orazio-grenzi1

Virginia Competition  primi ’80 / Foto Emanuele Biondi

 

bici intera2

cambio1 forcella1 forcella2 forcellini1 guarnitura6 mozzi2 pipa telaio11   cerchi2

Virginia Competition strada fine anni ’70 / Foto Frameteller.
La testa dei forcellini posteriori in queste anni prende una forma lunga e arrotondata
che diventa un ulteriore elemento di riconoscibilità dei telai costuiti da Grenzi.

 

 

intera5

telaio2telaio

forcella7Particolare decoro in rilievo sui foderi della forcella

tubo sterzo2Congiunzioni arabescate lavorate a mano

tubo sterzo

forcella3

focellino2

forcellini posteriori2Tipica testa dei foderi posteriori superiori nei telai di Grenzi negli anni ’80.

forcellini posteriori

scatola7

Virginia Specialissima 1985, conservata. Tubazioni Columbus SLX / Foto Frameteller
Uniche le decorazioni a rilievo sui foderi della forcella e le congiunzioni arabescate.


VITALI

Diego Vitali / Biciclette su misura / Russi (Ravenna), Italia / 1974 – fine anni ’90

Ha collaborato con: Colnago, Chiorda, G.S. Salvarani, Martini Lugo

Fonti: Federico Vitali, intervista / “Bici come prima” Il foglio, 2008 di Piero Vietti / “Viaggio di studio”, 2009 Lucaconti.blogspot.it

Lungo la via Emilia, da Piacenza a Rimini, sono tanti i nomi famosi che hanno fatto shopping di idee e talenti nelle piccole officine dei maghi dell’acciaio, Cino Cinelli, Francesco Moser, De Rosa, Tullio Campagnolo, Shimano, Ernesto Colnago, solo per nominarne alcuni.
Colnago, geniale imprenditore, in particolare fu capace di recepire, e interpretare in scala industriale, le migliori intuizioni e scovare i più talentuosi  artigiani per dare forma a quelle innovazioni tecniche che hanno reso il suo marchio famoso nel mondo, tra le sue “scoperte” i fratelli Gozzi (Rauler) di Reggio Emilia per l’ideazione delle congiunzioni dell’Arabesque, Lino Messori di Modena per i primi tubi piegati (a mano), Martini di Lugo per nuove tecniche di verniciatura, la Ferrari per i nuovi materiali sintetici, fino ad inaugurare a Bologna un marchio parallelo: Colner.

All’occhio infallibile di Ernesto non potevano quindi sfuggire le capacità di Diego Vitali,anche se nascoste in una piccola bottega di Russi, piccolo paese della Romagna tra Ravenna e Lugo.
Il costruttore romagnolo riassumeva infatti tutte le qualità e le capacità dei migliori costruttori artigiani nell’era delle bici in acciaio, passione, competenza, pensiero laterale, ricerca continua della perfezione e dell’innovazione in ogni dettaglio, compresa l’inossidabile volontà di rimanere l’unico autore delle proprie creazioni, rifiutando così di delegare a terzi ogni tipo di produzione, e di fatto, anche ogni possibilità di allargamento dalla dimensione artigiana a quella industriale.

 

vitali ritratto
Diego Vitali. Foto: archivio di famiglia.

Diego Vitali – Foto archivio di famiglia

 

Come anche Marastoni a Reggio Emilia, era capace di stare con la schiena piegata sul telaio con la lima per giorni, fino alla perfezione di congiunzione, ogni dettaglio, forse proprio per questo nella seconda metà degli anni ’80, Colnago gli affidò il delicato compito di costruire due prototipi in acciaio di un modello sperimentale, la Carbitubo, paradossalmente proprio il tipo di innovazione che portò da lì a poco al precipitoso declino delle bici in acciaio.

Oggi come ieri, ma ancora di più a quei tempi, per un piccolo artigiano in un piccolo paese di provincia, ogni nuova commissione era vitale per mantenere lavoro e famiglia, ma per artigiani come Vitali era a volte anche l’agognata possibilità di iniziare una nuova sfida. Nella costruzione di ogni telaio, quando il cliente era consenziente, immaginava e metteva in pratica sempre qualcosa di nuovo, per andare oltre al già fatto, per la bici più reattiva, leggera, veloce, moderna. Un approccio incompatibile con la produzione in serie, anche se di altissimo livello, di marchi ben più famosi.

Vitali: “Per fare le angolazioni di un telaio bisogna tenere presente che i corridori stanno sui pedali non sulla sella, questa al massimo la si accarezza, se ti metti a sedere… è finita.”

 

disegno telaio
Vitali disegno tecnico per bici da corsa, fine anni ’70 / Foto: The Bike Place

 

Diego Vitali, nasce a Russi nel 1924, già da piccolissimo è animato dalla passione per velocità e bicicletta, ma oltre a usarle vuole anche costruirle, appena finite le elementari comincia quindi a lavorare come garzone presso un officina meccanica del paese, dove in pochi anni riesce a costruire il suo primo telaio.
Compiuti i diciotto anni viene arruolato nell’esercito e mandato al fronte dove è fatto prigioniero per due anni dall’esercito tedesco, nel campo impara a saldare ma le condizioni sono molto difficili. Finita la guerra torna al suo paese natale ma è malato, il suo fisico non è in grado di lavorare; dovrà attendere tre anni di riposo e cure prima di poter tornare in officina.

Nel ’68 Luciano Pezzi lo chiama come meccanico alla Salvarani/Chiorda dove rimane fino al ’73 per costruire tutti i telai della squadra di Felice Gimondi, seguendola come meccanico in tutte le gare più importanti, Giro, Tour, Parigi-Rubaix, Fiandre.

 

tour de france1
Vitali sull’ammiraglia segue Gimondi al Tour de France del 1968. Sulla foto il ringraziamento di Gimondi a Vitali.

 

tour de france2

 

Nel ’73, quando la Salvarani chiude, sull’onda anche della reputazione acquisita Vitali acquista l’attrezzatura necessaria e apre a Russi la propria bottega artigiana per la costruzione di biciclette da corsa. Dalla sua prima bicicletta costruita a 11 anni, e fino alla fine della sua carriera di artigiano, Diego Vitali ne ha costruite 3.000, tutte da solo, tutte a mano, tutte perfette e ognuna con una propria anima.

Oltre alla cura maniacale del dettaglio una delle caratteristiche dei suoi telai sono le geometrie molto aggressive. Costruiti con una maschera di riscontro da lui disegnata, i telai avevano il carro posteriore molto corto e la forcella quasi verticale per essere più reattivi e scattanti, per questo erano richiesti dai corridori anche se non esattamente alla portata delle capacità di tutti.
Tale era la sua attenzione al dettaglio che arrivò a richiedere a Martini di Lugo di preparargli una vernice più sottile per rendere il telaio più leggero.

Vitali: “Questo mestiere è mi ha dato tante soddisfazioni e nonostante la fatica fosse tanta mi son divertito. La gente veniva qua, io gli prendevo le misure e gli facevo la bicicletta. Certe volte si stava a discutere per uno o due millimetri di differenza: perché se sbagli anche solo di un millimetro è tutto da rifare.
Tutte le bici che ho fatto le facevo come se fossero per me, quindi dovevano essere perfette. Sono stato appassionato da sempre, correvo anche, da giovane: questa passione ha sempre fatto sì che la fatica fosse in secondo piano. Oggi a mano le bici non si possono più fare, quelle che fanno in serie vanno benissimo. Il problema però è la bicicletta deve avere un’Anima.”

 

Nonostante mezzi e strumenti artigianali, spesso costruiti da solo, riuscì a sperimentare nuove soluzioni lungo tutta la sua carriera di costruttore, come prototipi di telai crono alleggeriti realizzati insieme al nonno di Alan Marangoni, ruote lenticolari realizzate con la tela delle vele per la nautica, o uno dei primi telai crono in acciaio interamente carenati come la “Spada” di Endurain, progetto poi tecnicamente realizzato ma abbandonato a causa del peso.

 

vitali 1
Diego Vitali durante un intervista nel 2009 / Lucaconti.blogspot.it

 

In diverse occasioni, passione condivisa e profondo legame affettivo, rendevano “cavie” privilegiate delle bici molto performanti e impegnative bici Vitali, i sui nipoti e in particolare Federico, dilettante per 10 anni e poi professionista, quando il nipote da piccolo era in adorazione per Bugno gli costruì una bici identica, con gli stessi colori e adesivi; poi quando l’attenzione si spostò sulla Colnago di Fondriest gliene fece una con gli stessi tubi schiacciati a forma di stella, ovviamente a mano perché non esistevano in quelle misure. Alla vigilia di una gara in pista per il campionato italiano Federico ruppe la bici e il nonno gliene costruì una (perfetta, ovviamente) lavorando per 3 giorni senza pause, il telaio era color argento metallizzato, l’unico colore disponibile dal verniciatore Mercedes del paese assoldato d’urgenza.

 

pista3
La bellissima bici da pista realizzata da Vitali per il nipote Federico.

pista1 pista2 pista4

La reputazione di Vitali arrivò ben oltre i confini di Russi, molti i suoi clienti all’estero, in particolare da Germania e Lussembrugo, i quali si presentavano di persona nella sua officina per chiedergli “qualcosa di speciale”. Oltre alle bici in acciaio saldate con la tecnica della saldobrasatura fu uno dei primi artigiani in Italia a saldare con la tecnica a TIG, costruendo splendidi telai, anche in alluminio.
Chiuse la bottega, come tutti i suoi colleghi rimasti ancora in attività, con l’arrivo del carbonio.
A novant’anni girava con una Graziella con mozzi Campagnolo Super Record e p
urtroppo ci ha lasciato quest’anno (2017). La famiglia, i tanti amici ed estimatori mantengono viva l’anima dell’uomo e delle sue bici.

 

vitali-1949-bici
1949 Vitali strada. Foto: Troppebici

vitali-1949-bici2

vitali-1949-bici5

vitali-1949-bici6

 

vitali bike 1
Vitali strada fine anni ’50.

vitali bike 2 vitali bike 3 vitali bike 4

 

Vitali fine anni ’50 con nodo sella Georg Fisher

 

70s Vitali strada road bike. Details of the customized drop outs.
Vitali strada anni ’70.

pipa vitali telaio frame vitali road detail frame vitali russi

 

Vitali strada metà anni ’80. Foto: Archivio di famiglia

 

vitali road 7
Vitali strada fine anni ’70. Foto: The Bike Place

vitali road 1vitali road 2 vitali road 4 vitali road 5  vitali road 8 vitali road 10 vitali road 11 vitali road 12

 

Vitali telai saldati a TIG / TIG welded 80s Vitali road frames

 

IMG_1038
Vitali telai saldati a TIG / TIG welded 80s Vitali road frames

IMG_1049 vitali3-1

tig tig2 tig3 tig4