BALDINI

Cicli Baldini / Faenza


Fonti: Intervista ad Nino Baldini, archivi online


Ha collaborato con: Antonio Alpi

Nei primissimi anni '50 Nino Baldini, cugino del leggendario campione Ercole Baldini, aprì a Faenza un negozio di biciclette. Oltre alla rivendita di marchi blasonati del Nord Italia il negozio offriva ad amatori e corridori professionisti biciclette da corsa di alta gamma. Baldini fu un ottimo imprenditore per la costruzione dei telai si affidò all'enorme talento di Antonio Alpi.

In quegli anni in Emilia-Romagna non mancavano di certo costruttori di altissimo livello come ad esempio Antonio Alpi e Vito Ortelli a Faenza, i Guerra di Lugo o Marastoni e Patelli in Emilia. La collaborazione fu instaurata con Alpi che costruì per Baldini telai dai primi anni ’50 fino alla sua prematura scomparsa nel 1959.
Baldini fornì biciclette da corsa a diverse squadre della zona e per qualche anno mise in piedi anche il proprio gruppo sportivo. Nel 1954 fu Nino a fornire la bicicletta al cugino Ercole per la conquista del record del mondo dell’ora dilettanti, dalla fattura dei dettagli potrebbe essere una Alpi anche se il seriale “89 80”, una coppia di due cifre divise da uno spazio  è diverso dalle altre (Baldini seguiva in genera una numerazione progressiva semplice), l’ipotesi si avvalora anche dal fatto che è stato rinvenuto un altro telaio Baldini sicuramente costruito da Alpi che riporta lo stesso tipo seriale “11 80”.
Alla fine degli anni ’50 il negozio sostituì la vendita cicli con altri prodotti, probabilmente anche a causa della scomparsa di Alpi.

1954, Ercole Baldini conquista il Record dell’Ora dillettanti con una bici Baldini.

Dettagli della bicicletta Baldini con cui Ercole conquistò il Record dell’Ora dilettanti nel 1954.

Baldini numero “11 80”, costruita da Alpi. Il tipo di numerazione seriale, differisce dalle altre (numerazione progressiva) ed è identico a quello che appare sulla bicicletta da pista con cui Ercole Baldini conquistò il Record dell’Ora dilettanti nel 1954. Cambio Campagnolo a due leve, probabilmente fini anni ’40, primi 50. Foto Legendary Bikes

Baldini numero “1”, costruita da Alpi con congiunzioni Cinelli fornitegli da Ortelli.

Baldini numero “096” del 1951, restaurata. Telaio Alpi con forcellini posteriori per il cambio Campagnolo Parigi Roubaix. Probabilmente una delle bici realizzate per una squadra o un corridore professionista della Regione. Foto Frameteller.

Baldini numero “192” del 1952, restaurata. Telaio Alpi con forcellini posteriori Campagnolo con vite da 4 mm. Gruppo cambio Campagnolo Gran Sport del 1952. Probabilmente una delle bici realizzate per una squadra o un corridore professionista della Regione. Foto Frameteller.

Baldini numero “287” primi anni ’50 costruita da Alpi.

Baldini numero “287” primi anni ’50 costruita da Alpi.


Baldini - Alpi 1951

Baldini team bike n. 096 – Builded by Antonio Alpi
Serial N. 096 – Year 1951
Framebuider: Antonio Alpi
Condition: restored
Derailleur: Campagnolo Parigi Roubaix
Handlebar and stem: Ambrosio Champion
Crankset: FB Fratelli Brivio 2 chainring
Bottom bracket: Magistroni Nick Crom
Headset: Magistroni
Brake levers: Universal 51
Brakes: Universal Extra 353949
Saddle: Brooks B17
Pedals: Sheffield Sprint
Hubs: Campagnolo Gran Sport
Rims: Italian wood, original

Photo: Frameteller

 


Baldini - Alpi 1952

Baldini team bik builded by Antonio Alpi
1952
Framebuider: Antonio Alpi
Condition: restored
Rear derailleur: Campagnolo Gran Sport 1952 (2nd version 1952)
Front derailleur: Campagnolo Gran Sport (1st version 1951/52)
Handlebar shifters: Campagnolo Gran Sport (1st version 1951/52)
Crankset: Magistroni “Giostra”
Bottom bracket: Magistroni Nick Crom
Headset: Magistroni
Brake levers: Universal 51 (2nd version 1952)
Brakes: Universal 51
Saddle: FN Bologna
Bottle cage: REG (extractable)
Handlebar & stem: Ambrosio Champion
Pedals: Sheffield Sprint
Hubs: Campagnolo Record large flange
Rims: Nisi

Photo: Frameteller


Umberto Testi 1950

Umberto Testi 1950
Framebuider: Antonio Alpi
Condition: restored by Frameteller
Decals: Water decals
Tubing: Weinmann
Dropouts: Campagnolo
Derailleurs and shifters: Campagnolo “Due Leve”
Crankset : Fratelli Brivio FB
Bottom bracket: Magistroni
Headset: Magistroni
Brakes: Universal 51 (first model)
Stem: Ambrosio steel
Handlebar: Ambrosio alloy
Pedals: Sheffield Sprint


Ortelli '64

Ortelli 1964 by Antonio Alpi
Condition: Preserved
Framebuilder: Antonio Alpi
Frame number: 2164 (n. 21 - 1964)
Frame/Fork: Columbus
Lugs: /
Group: Campagnolo Record
Brake set: Mafac Top 63
Saddle: Cinelli Unicanitor
Handebar/Stem: Fiamme
Rims: Ambrosio Champion
Ph. Frameteller

                      


F.LLI GUERRA

Fonti: Artigiani e BiciClette in Romagna nel ‘900, di Ivan Neri, W. Berti Editore

I fratelli Guerra in tutto erano sei, Luigi nel 1916 fu l’unico a nascere a Lugo mentre gli altri fratelli nacquero a S. Potito, nelle campagne lughesi dove la famiglia abitava. La madre morì quando i figli erano ancora molto giovani, il padre lavorava in una cantina d’inverno e vendeva angurie d’estate, alla morte della moglie fu costretto a mandare i figli nel collegio statale Villa S. Martino nei pressi di Lugo, dove ebbero la possibilità di acquisire quella formazione tecnica di base, oltre al diploma statale di specializzazione che era negata alla maggior parte degli artigiani di quel tempo.

Durante gli studi Luigi Guerra, oltre alla saldatura, imparò anche a lavorare a mano il metallo, creando delle vere e proprie sculture in acciaio. Al termine degli studi in collegio ricevette l’offerta di lavorare presso la Cassa di Risparmio, un lavoro sicuro e molto ambito a quei tempi, al quale però egli preferì il lavoro manuale in officina. Fu così che negli anni ’30 comincio a lavorare presso l’officina Cantagalli con i tre fratelli.

La Cantagalli al tempo poteva contare su una ventina di dipendenti, oltre alla rivendita di pezzi di ricambio e biciclette da strada e sportive costruivano anche biciclette marchiate con il nome “Atlas”. I fratelli Guerra, grazie alla specializzazione, erano tra i pochi saper saldare e verniciare telai e vennero tutti incaricati della direzione dei reparti produttivi, Luigi e il suo futuro socio alla saldatura, gli altri due alla verniciatura. Tutti erano profondamente legati dalla passione della bicicletta e affiatati sul lavoro, dopo l’officina andavano a farsi un giro sulle biciclette che si erano costruiti da soli. Uno dei fratelli morì di infarto pochi anni dopo a soli 20 anni.

Nel 1938 Luigi Guerra partì per il servizio militare in Africa per tornare a casa solo nel 1944 dove ricominciò subito a lavorare presso la Cantagalli. Solo due anni dopo con il fratello aprirono la propria officina nel centro di Lugo, prsso la casa di famiglia della moglie di Luigi.

L’attrezzatura necessaria in gran parte se la costruirono da soli mentre per i componenti, che acquistavano da Cantagalli o da venditori di Faenza e Bologna, sceglievano solo il meglio, Campagnolo per il cambio, Cinelli per i manubri e i raggi in acciaio Inox per le ruote. Nei primi anni del dopoguerra, date le condizioni economiche e sociali, in pochi potevano permettersi di acquistare una bicicletta e spesso solo a rate di dieci anni. Famiglie molto numerose condividevano quindi solo una sola bicicletta che di solito era ad uso esclusivo del capofamiglia e a turno per gli altri.

Nei primi anni 50 nell’officina Guerra lavorano 4 giovani apprendisti: Angelo Banini, Mauro Savioli e Dalborgo, dieci anni dopo, con il boom economico e l’espansione del mercato della bicicletta sportiva, l’azienda si specializzò nella costruzione di bici da corsa per amatori e professionisti. Molte le collaborazioni e i telai costruiti per altri marchi della Regione, di particolare importanza la collaborazione con Antonio Alpi e l’officina Ortelli di Faenza.

L’officina F.lli Guerra di Lugo chiuse nel 1984. Luigi Guerra morì all’età di 82 anni, fino alla fine continuò ad usare la bicicletta.

Gruppo Sportivo Gurra, 1948 Lugo di Romagna

Dettagli di una bici Guerra della fine degli anni ’50. Restaurata.

Dettagli telaio Guerra anni ’60. Dalle congiunzioni e dal nodo sella con vite passante è evidente la collaborazione con Ortelli di Faenza.

Guerra anni ’70

Dettagli telaio Guerra anni ’70, congiunzioni Nervex e forcellini Zeus

Telaio guerra primi anni ’80.
Restaurato con decals Grandis, evidentemente il proprietario ha confuso il simbolo dei F.lli Guerra pantografato sulla testa forcella con quello del marchio veneto.


ORTELLI

Cicli Ortelli Faenza / Biciclette su misura / Faenza, Italia / 1921 – 1990

Fonti: intervista a Vito Ortelli / troppebici.wordpress.com / “sei chili e mezzo di biciletta” di Luigi Severi / “Vedrai che uno arriverà. Il ciclismo fra inferni e paradisi” / museodelciclismo / Ciclisti Resistenti / Il ciclismo degli inossidabili / Campioni del ciclismo di Romagna, di Ivan Neri, Bacchilega Editore. / Artigiani e Bicilette in Romagna nel ‘900, di Ivan Neri, W. Berti Editore

Collaborazioni:  Cino Cinelli / Umberto Patelli / Aride Rivoli / Antonio Alpi

Palmarès: Campione italiano allievi / 14 vittorie da dilettante / 2 volte campione italiano di inseguimento su pista / Campione italiano su strada / Tutti i risultati

Invenzioni: primi anni ’40 Lazzaro Ortelli inventa una tecnica per ottenere la marca in rilievo direttamente sull’acciaio del telaio / fine anni ’40 Lazzaro Ortelli crea il primo tubo in acciaio a sezione stellare /

LAZZARO ORTELLI

Lazzaro Ortelli nacque nel 1892 a Torre di Ceparano, nei pressi di Faenza, la sua storia come artigiano costruttore cominciò molto presto, a soli 6 anni la famiglia lo. mandò a fare l’apprendista alla Marabini di Reda, piccola officina specializzata in riparazioni meccaniche che, dopo la seconda guerra mondiale, crebbe fino a diventare azienda produttrice di telai, prima con il marchio Maga e poi Alma. Siamo nel 1898, in questi anni ragazzini analfabeti lavorano in cambio di vitto e alloggio e la bici è ancora considerata un mezzo di lusso per i pochi che se la potevano permettere.
Dalla Marabini oltre a Ortelli  uscirono eccellenti maestri costruttori come Cicognani, Tassinari e Viroli, quest’ultimo fu il meccanico di Moser ai tempi del record dell’ora a Città del Messico. Lazzaro venne assegnato alla riparazione delle ruote.

A quattordici anni Lazzaro aveva quindi già imparato a costruire le ruote e le nozioni base di meccanica e lavorazione dei metalli. Durante la guerra in ragione della sua esperienza venne quindi assegnato all’officina militare come operaio specializzato per la riparazione delle armi. In questo periodo non approfondì l’arte dell’assemblaggio dei metalli, in cui aveva già esperienza, ma imparò a leggere e a scrivere insieme alla basi della matematica, nozioni fondamentali per la gestione della bottega che aprirà negli anni Venti a San Giovannino e nel 1936 a Ponte delle Grazie a Faenza.

Tra i primi clienti di Ortelli vi fu il grossista Zanazzi di Bologna il quale rimase impressionato a tal punto dall’abilità e dalla passione di Lazzaro da commissionargli una bici per la Fiera del Ciclo di Milano. A quel tempo la Fiera riservava un premio per il miglior telaio in esposizione e così Lazzaro costruì il telaio ma non lo firmò, convinto di non poter competere a soli 22 anni con gli altri ben più famosi ed esperti costruttori italiani. Eppure la sua creazione vinse il primo premio e la giuria non sapendo il nome dell’autore lo battezzò Telaio Romagna.

Nei primi anni ’40 Lazzaro riuscì a piegare verso l’interno la sezione di alcuni tubi in acciaio, fino a dargli una forma a stella molto simile a quella dei tubi lanciati da Colnago quarant’anni dopo e prodotti poi da tanti marchi. L’idea di irrigidire il tubo con le pieghe per scaricare meglio lo snervamento del ciclista sui pedali era un’idea rivoluzionaria ma purtroppo non praticabile al tempo, il tubo così rigido infatti tendeva a crepare a causa delle sollecitazioni causate delle strade dissestate di allora.

Lazzaro fu un abilissimo artigiano costruttore di biciclette, il suo amore per le bici comprendeva tanto la meccanica quanto le competizioni e nel 1926 riuscì nell’organizzare a Faenza una corsa, la mitica Coppa Ortelli, nella quale esordì a 13 anni Glauco Servadei.

Vito Ortelli: “Nonostante il suo modesto negozio di meccanico, Lazzaro fu fin dagli anni venti un maestro tra gli artigiani delle due ruote, un uomo semplice, serio e orgoglioso che, oltre all’obiettivo di sfamare la seppur poco numerosa famiglia, dato che sono figlio unico, metteva nel lavoro la passione e l’arte per un mezzo, la bicicletta, che avrebbe in seguito regalato grandi soddisfazioni alla nostra famiglia.Era uno di quei fabbri talmente abili con le mani da riuscire a creare foglie in ferro che sembravano vere fin nei dettagli delle venature. Quando sperimentavo nuove soluzioni in officina era poi sempre lui quello in grado di realizzarle”.

VITO ORTELLI

Nasce a Faenza nel 1921 in un incubatoio dell’azienda Marabini dove lavorava il padre. A soli 6 anni Vito è stato probabilmente il più giovane ciclista dei suoi tempi, nel 1927 infatti le bici per i bambini non erano ancora state nemmeno immaginate ma il padre, riducendo i cerchi e adattando gomme e camere d’aria, riuscì a costruirgli una piccola bici, lasciandola però volutamente senza freni per costringerlo a non andare troppo forte, a giudicare da come andarono poi le cose, uno stratagemma decisamente poco riuscito. Dalle prime scorribande con quella piccola bici Vito tagliò nell’arco della sua carriera molti traguardi diventando uno dei più importanti campioni nella storia del ciclismo, l’unico nell’immediato dopo guerra in grado di competere allo stesso livello con Coppi e Bartali.

 

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Nel 1938 Vito lasciò l’officina dove lavorava con il padre e dove già a 15 anni saldava i telai, per intraprende una carriera di corridore che lo portò ad essere ben quattro volte campione italiano: due su strada, da allievo e professionista e due su pista, battendo entrambe le volte Fausto Coppi. Al Giro d’Italia ottenne un terzo e un quarto posto, vestendo la maglia rosa per un totale di 11 giornate. Durante la guerra, come anche Bartali e altri ciclisti, collaborò con la Resistenza, mentre nel 1948 recitò se stesso nel film “Totò al Giro d’Italia” insieme ai campioni dell’epoca. Nel 1952 si ritirò dalle competizioni a causa di gravi problemi fisici alla gamba rimanendo però vicino al mondo del ciclismo e impegnandosi, insieme agli amici Magni e Cinelli nella difesa dei diritti sindacali dei corridori fondando l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, della quale Ortelli fu vice-direttore per oltre vent’anni.

Il ritorno in officina.

Intorno alla metà degli anni ’50, con un recente passato da grande campione alle spalle, Vito tornò a Faenza per lavorare di nuovo con il padre nell’officina ricostruita dalla distruzione dei bombardamenti grazie ai soldi guadagnati grazie alle sue vittorie sportive.
Furono molti i corridori famosi che fondarono un marchio di biciclette a proprio nome, molto più rari i campioni come Ortelli che le bici le costruirono veramente e con le proprie mani. Gli artigiani più abili si costruivano da soli anche gli attrezzi dell’officina, come il piano di riscontro per l’assemblaggio del telaio che Vito ricavò dallo sportello di un autoblindo tedesco della seconda guerra mondiale abbandonato vicino a casa.

Vito Ortelli:L’officina si trovava lungo le mura di Faenza mentre il negozio all’angolo del Ponte alle Grazie fino a quando fu bombardato e lo dovemmo trasferire poco più avanti. Le bicicletta venivano assemblate utilizzando una fucina a carbone per scaldare i tubi d’acciaio e poi effettuare la saldatura. Allora tra artigiani c’era stima e rispetto, mio padre e Guerra di Lugo erano i più abili e si fabbricavano da sé i pezzi mentre gli altri erano ancora arretrati e compravano tutto già montato. Come tubi usavamo gli italiani Columbus e in parte minore anche i Reynolds, che arrivavano da Coventry in Inghilterra tramite la Legnano, e i Falk.”

 

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Officina Ortelli / Foto Frameteller

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V.O: Le pipe più particolari le facevamo fare ad un bravissimo artigiano di Bologna che riusciva a costruire stampi personalizzati su nostro disegno, così potevamo creare le congiunzioni come volevamo, altre congiunzioni e le pipe le compravamo dall’amico Cino Cinelli, correvamo insieme alla Bianchi da Ragazzi ed eravamo molto amici, a me e a pochi altri (Marastoni) permetteva di usare i componenti speciali in ghisa malleabile che erano più resistenti, bisognava saperle lavorare in quanto la ghisa a differenza della lamiera quando viene scaldata troppo rischia di spezzarsi facilmente durante la lavorazione ma era un ottimo materiale, questi pezzi venivano prodotti in Svizzera (Georg Fischer).

 

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Officina Ortelli / Foto Frameteller

 

V.O: Le Congiunzioni che oggi non vengono più utilizzate erano a mio parere anche un bell’ornamento del mezzo, anche se non lasciavano vedere se effettivamente la saldatura era fatta a regola d’arte oppure no, i bravi artigiani prima di saldare i tubi dentro le pipe ne smussavano le estremità in modo che che appoggiassero tra loro dentro la congiunzione per far si che il triangolo principale da cui era costruito il telaio fosse effettivamente un tutt’uno, altri per impiegare meno tempo smussavano la tubatura con un taglio netto e la incastonavano senza far coincidere i tubi ottenendo all’insaputa del cliente un prodotto di qualità inferiore.

Per la cromatura si immergeva prima il telaio nel rame per una maggiore protezione, il rame è infatti il materiale che entra meglio nei pori del metallo e veniva utilizzato per primo, poi lo si immergeva nel Nichel per un ulteriore protezione al deterioramento fino a che non prendeva un colore bianco intenso e infine il bagno nel cromo che dava un bel colore alla bicicletta. Dopo la guerra molti hanno cominciato a fare un unico bagno al cromo lucido, procedimento sicuramente inferiore al vecchio ma meno costoso. La verniciatura si svolgeva in tre fasi: prima si apportava del Minio che è Ossido di Piombo per preparre il telaio al primo strato di vernice al quale, con una tela fine, si applicava il secondo strato, in genere un colore nero perché più resistente alle alte temperature.

All’inizio facevo verniciare e cromare da Cicognani e Cimatti di Faenza, poi quando loro si dedicarono ad altri settori andai da Leoni. Era un grande artista, faceva filettature e disegni a mano libera direttamente sui telai dopo averli verniciati, erano delle opere d’arte. Un altro grande artista era Gino Cornazzani di Castelbolognese, faceva delle incisioni splendide e spesso mi servivo di lui per abbellire i telai, sempre per ragioni estetiche sono stato il primo in Italia ad imprimere sul tubo il mio nome in rilievo.

 

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V.O: Ho imparato a saldare all’età di quindici anni ma mi sono dedicato alle corse e nel frattempo ho curato la parte commerciale dell’azienda, a fare l’artigiano ho cominciato solo quando ho appeso la bici al chiodo. Quando ero professionista oltre alle nostre biciclette vendevamo anche quelle delel grandi case per cui correvo in quanto mi facevo pagare in biciclette.

Ho imparato moltissimo osservando mio padre mentre lavorava, ma mi creai ugualmente da solo un piano di riscontro che in seguito tutti mi invidiarono, lo realizzai utilizzando un pezzo di un’autoblinda tedesca che durante la guerra era rimasta incidentata presso casa mia. Portai a casa la lamiera e con un goniometro prestatomi da mio cucino Germano che frequentava studi scientifici iniziai a tracciare un modello di telaio. Apportai così una importante novità rispetto al metodo di mio padre, il mio merito fu infatti quello di progettare il telaio in base all’inclinazione de quindi all’ampiezza delle angolature, che pur lasciando inalterate le misure di lunghezza consentono di plasmare a piacimento la posizione in sella del corridore. Con questo stratagemma riuscivo a valorizzare al meglio le attitudini di ognuno: portando il velocista a sfruttare ancor di più il proprio spunto veloce e lo scalatore a trarre il massimo da una posizione che gli consentisse la massima redditività nello scatto.

Ho avuto ordinazioni da tutto il mondo, da Stati Uniti, Giappone e tanti altri paesi, sapevo di essere valido nel mio lavoro ma ugualmente non ebbi il coraggio di provare ad ingrandirmi. Oltretutto, negli anni ’50 il mercato della bicicletta registro una vera e propria involuzione per l’avvento del motorino.” (1).

 

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Officina Ortelli, tavolo di riscontro che Ortelli costruì usando un pezzo di autoblindo abbandonato vicino a casa / Foto Frameteller

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Congiunzioni fuse su disegno originale lavorate a mano da Ortelli. / Foto Frameteller

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IL SALOTTO

DELLE DUE RUOTE

Vito Ortelli: Grazie alla mie imprese agonistiche la bottega Ortelli, già frequentata da parecchi appassionati del mondo delle corse, divenne più non solo un ritrovo per gli amanti della bicicletta ma una sorta di salotto per sportivi, addetti ai lavori e appassionati

Nell’arco di sessant’anni nell’officina Ortelli sono usciti più di 5.000 telai e oltre agli amici di sempre come Servadei, Cinelli, Magni e Roncni passarono anche giovanissimi garzoni i quali una usciti da scuola Ortelli fecero poi cose importanti come Aride Rivoli che passo come meccanico alla Salvarani o Antonio Alpi che diventò un abilissimo artigiano.
Vito fu per lungo tempo amico anche di Giuseppe Ambrosini, giornalista e direttore della Gazzetta dello Sport nonché autore nel 1950 del famoso libro Prendi la bicicletta e vai, nel quale molti sono i suggerimenti di Ortelli per le pagine su geometrie e misure dei telaio.

 

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Officina Ortelli / Foto Frameteller

Tante le tante amicizie nate negli anni eroici delle corse e continuate nei decenni successivi, quella con Cino Cinelli è stata forse la più intensa, si conobbero quando correvano insieme alla Bianchi e continuarono a frequentarsi e a collaborare fino alla scomparsa di quest’ultimo nel 2001.
Entrambi entrarono nel mercato delle biciclette al ritiro dalle competizioni sportive, con la stessa passione e visione innovativa ma con approcci molto diversi. Cino mosso da un autentico spirito imprenditoriale, supportato dai fratelli e in particolare dall’esperienza nel commercio a livello internazionale della moglie era destinato a costruire una grande azienda.
Cino prendeva molto sul serio i consigli tecnici di Vito e lo consultava spesso sui temi più importanti che riguardavano la costruzione del telaio. Le congiunzioni in ghisa malleabile prodotte dalla Fisher spesso le ordinavano insieme, anche perchè il quantitativo minimo era di 400 pezzi e Ortelli non produceva più di 100 telai all’anno. Oggi non è raro trovare nelle bici di Ortelli le stesse congiunzioni e componenti che usava in esclusiva la Cinelli, come i famosi forcellini posteriori con la vite passante usati per il modello Super Corsa.

Anche Tullio Campagnolo ebbe con Ortelli una lunga collaborazione, cominciata quando nel 1939 Lazzaro montò sulla bici di Vito il primo cambio Campagnolo, anche se non era allora molto diffuso. Quell’anno Vito vinse 7 gare e il titolo di Campione Italiano Allievi consentendo a Tullio Campagnolo di ricevere il suo primo riconoscimento agonistico. Da allora Ortelli ha sempre montato componenti Campagnolo, fiducia che Tullio ricambiò sempre come quando gli reglò 100 gruppi per il titolo di Campione Italiano su strada del 1948 o con forti sconti sugli ordini dell’officina negli anni a seguire.

Ortelli ha sempre dedicato grande attenzione anche ai dettagli estetici, come il disegno dei suoi bellissimi fregi, l’invenzione del marchio in rilievo sul tubo diagonale (ripresa poi dal giovane garzone Antonio Alpi) e le elaborate pantografie su telai e componenti, vere e proprie sculture in acciaio che affidava ad artisti come il verniciatore Leoni e il maestro incisore Gino Cornazzani.

Negli anni ’80, data l’età ormai avanzata, si fece aiutare nell’assemblaggio dei telai da Umberto Patelli di Bologna.
Vito smise di saldare quando terminò la scorta dei tubi. 

 

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Vito Ortelli al lavoro nella sua officina, fine anni ’80.

 

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Fregio Ortelli anni ’40

Fregio Ortelli dagli anni ’50 agli anni ’70


Articolo interamente dedicato a Vito Orelli su una rivista Giapponese.

LA BICICLETTA

CHE PESAVA 6.5 Kg

Nel 1946 Ortelli da vincitore del Gran Premio di Nizza può recarsi a fine gara in visita nelle officine del costruttore Urago, italiano emigrato in Francia. Qui la sua attenzione cade su un paio pedivelle in alluminio a quel tempo non prodotte in Italia e una campionatura di tubi Vitus del 1939 con uno spessore di appena 3/10, mai visti prima e ancora oggi mai più costruiti.
Ortelli riesce a convincere Urago a dargli le tubazioni che porta con se a Faneza per costruirsi una bici da crono che, una volta finita e montata, pesa solo 6,5kg mentre il telaio nudo 1,450 kg. L’intenzione è quella di usarla per battere il record dell’ora di Coppi ma purtroppo il tentativo non verrà mai effettuato.
Pochi anni più tardi il danese Ritter gli chiede il telaio per tentare lui di battere il record e Ortelli acconsente a condizione che sul telaio rimanga visibile il proprio nome ma, essendo Ritter nella squadra Coppi Fiorelli, l’accordo sfuma.

L’abilità di Ortelli come costruttore diventò sempre più nota nel settore e a lui si rivolse anche Proietti, D.S. del corridore Baldini, per alleggerire il peso della bici da usare nella crono del Gran Premio di Forlì in programma per il giorno seguente. Ortelli da esperto costruttore sapeva bene che è molto più importante alleggerire le parti rotanti piuttosto che il telaio e gli montò una coppia di cerchi a 36 raggi Scheeren, almeno 280 gr più leggeri di quelli a 40 già montati sulla bici. Il giorno dopo Baldini vinse la gara.

 

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Lazzaro Ortelli pista del 1939 / Foto Troppebici

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Ortelli n. 13 del 1954

 

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Ortelli strada n. 16 del 1959 / Foto Frameteller

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Dettaglio dei foderi posteriori verticali Cinelli/Georg Fisher con la vite passante

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Ortelli n. 71 del 1960

 

Ortelli n. 9 del 1963

 

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Ortelli n. 21 del 1964, telaio costruito con congiunzoni ereditate da Antonio Alpi / Foto Frameteller

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Dettaglio del particolare attacco saldato appositamente per i freni Mafac Top 63. Bici da strada Ortelli del 1966.
1966, dettaglio dell’attacco creato appositamente per i freni Mafac Top 63

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Anni ’60 mozzi Cinelli e dell’attacco dei forcellini “a coda di rondine”

Ortelli 1970 / Foto Frameteller

Ortelli n. 83 del 1970, telaio Cinelli Supercorsa / Foto Frameteller

 

1970, forcellini “a coda di rodine”

 

Ortelli n. 27 del 1972 costruito con congiunzioni Pelà

 

Ortelli n. 28 del 1974, costruito con congiunzioni Pelà


 

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Ortelli Special n. 24 del 1979. Probabilmente costruita da Oriello. Foto Frameteller

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Ortelli del 1984, telaio impreziosito con pantografie di Gino Cornazzani, verniciatura Leoni. Gruppo Campagnolo Super Record Titanio. Foto Troppebici

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Ortelli n. 24 del 1985, telaio cromovelato / Foto Troppebici

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IL BINDA

DEI DILETTANTI

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Vito Ortelli con la maglia Benotto, Campione italiano inseguimento su pista.

 

Ortelli, atleta possente e completo, tanto nelle salite quanto negli sprint, solo problemi di salute e oscure forze contrarie poterono impedirgli di divenire un Campionissimo. A 10 anni, con una bici costruita dal padre ma senza freni e cambio Vito andava seguiva i coetanei corridori, riuscendo a staccarli in salita.
La carriera di campione cominciò nel 1938 quando, superata la diffidenza del padre,  si schiera nelle file della Faenza Sportiva con la quale subito 
mostrò tutta la sua forza con due vittorie e undici piazzamenti. L’anno successivo intensificò la preparazione fisica e il padre gli montò sulla bici il primo cambio Campagnolo nonostante fosse ancora poco diffuso, vinse 7 gare e titolo di campione italiano.  Tullio Campagnolo riscosse quindi il suo primo riconoscimento agonistico insieme a Ortelli.

Nel 1940, passato ai dilettanti sempre con la Faenza Sportiva, vince 14 corse su 17, sgretolando la resistenza degli avversari arrivando undici volte solo al traguardo. Grazie a questi successi il commissario tecnico Alfredo Binda gli assegna il soprannome Binda dei dilettanti. A Chiasso si corre per selezionare gli azzurri per le Olimpiadi di Tokyo e Ortelli si impone con un distacco di 6 minuti sul secondo, ma le Olimpiadi saltano a causa della guerra. Nello stesso anno un’impresa ancora ineguagliata: Ortelli e Magni vengono convocati, alla gara a coppie di apertura del Giro della Provincia di Milano, è una gara per soli professionisti e Magni e Ortelli sono gli unici dilettanti ammessi e vincono sia le due gare su pista che la cronometro classificandosi primi assoluti, in gara c’erano campioni come Coppi e Bartali, il quale non prende bene la sconfitta.
La notorietà di Ortelli cresce e, nonostante ancora corra per la Faenza Sportiva, la Bianchi gli concede in uso una loro bicicletta. 

 

1940 Magni e Ortelli come dilettanti

Vito Ortelli da dilettante

Vito Ortelli con Tullio Campagnolo

1945 Ortelli vince la Milano Torino

1942 Ortelli vince il Giro della Toscana

Vito Ortelli in maglia Bianchi e Tullio Campagnolo

1942 Ortelli al Giro d’Italia

1946 Vito Ortelli con la madre Angela e il padre Lazzaro

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1946 Milano-Torino, Ronconi, Lelli, Conte e Ortelli in maglia Benotto

1946 Ortelli vince al Vigorelli il secondo titolo Campione Italiano nell’inseguimento

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Benotto si congratula con Vito Ortelli dopo la vittoria

1947 le copertine dei periodici sportivi sono per Ortelli

Nel 1941, a guerra ormai alle porte, Ortelli pass alla A.S. Forlì, dove nonostante il servizio militare, vince 12 gare tra cui le Coppa Stupazzini, Malatesta, Paolucci, Girolomi, Coppa Figli del Duce, Pasini e Arcangeli ed il prestigiosissimo Astico Brenta.
Nel 1942 la Bianchi gli offre la maglia da
 Indipendente per il Giro d’Italia, ai dilettanti però è vietato dal regolamento ricevere denaro e la cosa viene scoperta dalla Federazione (a detta di Ortelli in realtà era già tutto pianificato dalla Bianchi per farlo diventare professionista) che lo costringe di conseguenza a passare di categoria.
Esordisce quindi a vent’anni come professionista indipendente per la Bianchi, nel 1942 al Giro d’Italia le maglie maglie in palio sono due: Maglia Rosa per i professionisti e Maglia Bianca per gli indipendenti fra i quali Ortelli.
La prima tappa la vince Leoni, Ortelli essendo indipendente non può partecipare ma vince la terza tappa del Giro di Toscana con 2.33″su Bartali. Dopo la terribile corsa gli amici Vicini e Servadei, come era loro abitudine fare di solito, costringono Ortelli a tornare con loro a casa in bicicletta.
Dopo questa vittoria la commissione tecnica passa Ortelli a professionista togliendogli la Maglia Bianca senza però dargli la Maglia Rosa a scapito del più rinomato Leoni, le proteste di Ortelli cadono nel vuoto e finirà il Giro ottavo in classifica.

 

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Vito Ortelli e Fiorenzo Magni con la maglia Bianchi, dal ’40 a 43.

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Vito Ortelli in azione al Giro d’Italia.

Ortelli e Biagio Cvanna, il massaggiatore cieco di Coppi

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Figure Vito Ortelli, Nazionale italiana.

 

Nel 1943 il giro d’Italia venne interrotto dopo solo quattro gare e la Maglia Rosa venne assegnata a Servadei, Ortelli vince, in coppia con Cino Cinelli il GP Enrico Villa davanti al pubblico del Vigorelli. Dal 20 settembre arriva lo stop da Roma a tutte le competizioni e molti corridori vengono inviati al fronte, Ortelli viene spedito in Croazia a Kocevja, Coppi in Africa. Dopo la resa di Badoglio Ortelli fugge dall’esercito e dai rastrellamenti, una volta tornato a casa collabora con la Resistenza sistemando le armi del gruppo di Silivo Corbari.

Finita la guerra, Coppi sceglie di correre con la Bianchi, Bartali con la Legnano mentre Ortelli lascia la Bianchi per la Benotto, ed è subito sfida con i due rivali: Ortelli vince in Toscana battendo Bartali nel circuito di Galluzzo e alla Milano-Torino dove arriva prima staccando anche Coppi.
Alla semifinale del campionato italiano di inseguimento su pista del 1945 all’Autovelodromo di Torino, nonostante il lungo viaggio seduto su un camion per il trasporto di maiali, Ortelli vince staccando Coppi di oltre 60 metri, al tempo di record: 6’23” e alla media di 46,600 km/h, in finale batte facilmente Leoni laureandosi campione italiano su pista.
Al velodromo Pacciarelli di Fiorenzuola vince anche la sfida successiva con Coppi, sempre nell’inseguimento su pista.
Con i soldi guadagnati nelle corse Ortelli aiuta il padre a ricostruire l’officina distrutta dai bombardamenti, il quale nel frattempo continua a lavorare in una bottega di fortuna.

Nel 1946, quando già i problemi fisici cominciano ad emergere, bissa il successo della Milano Torino, vince il Trofeo XX Settembre e una tappa del suo primo Giro d’Italia, nel quale arriva terzo dietro a Bartali e Coppi, vestendo per 5 volte la Maglia Rosa, Giro che probabilmente avrebbe vinto se non fosse stato per una lista infinita di avversità tra cui: sassi e fucilate da parte degli attivisti anti-italiani sloveni, una forte pertosse che lo tormentò per due terzi del Giro e una combina organizzata contro di lui dal suo direttore sportivo Graglia.

 

1947 Ortelli vince al Giro del Piemonte

1948 Coppi e Ortelli al Giro

1948 Ortelli è Campione Italiano al Giro dell’Emilia

1948 Ortelli è uno dei protagonisti del famoso film con Totò

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Un anno dopo, davanti ad un Vigorelli tutto esaurito con 15.000 tifosi in tribuna e 2.000 sul prato, è ancora sfida diretta con il Campionissimo Coppi nella finale di inseguimento su pista e ancora una vittoria di Ortelli, che bissa così il titolo di campione italiano su pista.
Dal 1947, passa alla Atala, con la quale nonostante i problemi fisici e un intervento alla gamba si fossero aggravati, ottenne il 2° posto al campionato italiano su strada, dietro a Coppi, e vince sia il Giro del Piemonte davanti a Ronconi e Vicini, costituendo un podio tutto romagnolo, che il GP Città di Milano.
Nel 1948 vince sia al GP di Romagna che il GP di Milano mentre al Giro d’Italia manca il podio di pochissimo classificandosi al 3°posto nonostante 7 forature in una solo tappa e una grave caduta causata da un tifoso che lo colpisce con un secchio d’acqua facendolo rovinare a terra, finisce il Giro con lo stesso tempo di Cottur che però avendo indossato la maglia rosa per 3 giornate in più si prende il podio.

 

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Ortelli (sinistra), Coppi e Bartali. Campionato italiano inseguimento su pista, 1948.

 

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Il casco di Vito Ortelli. Foto Framteller

Sempre nel 1948 l’ultimo acuto ma il più prestigioso, Ortelli dopo l’ennesimo duello con il rivale Coppi conquista il titolo di campione italiano su strada. Il titolo vale la possibilità di partecipare al Mondiale ma è l’anno del ritiro di Coppi e Bartali che finisce per danneggiare Ortelli il quale nonostante abbia la forma fisica sufficiente per stare alla ruota del belga Schotte, che poi vinse il titolo, rimane indietro perdendo tempo nell’attesa delle disposizioni dei due “capitani”, finendo purtroppo solo 8°.
Quell’anno Tullio Campagnolo, dopo la vittoria del tricolore, gli regala 100 gruppi del suo cambio per premiare quella fedeltà che Ortelli gli ha sempre dimostrato fin da ragazzo.
Dal ’49 in poi il declino agonistico a causa dell’aggravarsi dei problemi fisici al ginocchio destro, fino al ritiro nel 1952 con tanti rimpianti per il campione che poteva essere e che non fu ma con tante storie di successi, coraggio e amicizia da raccontare una volta tornato a casa.

 

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Ortelli festeggia la maglia tricolore di campione italiano su strada. Bologna, 1948

 

Con i suoi suoi allievi giovanissimi della S.C. Faentina Ortelli ha sempre insistito sull’importanza dell’allenamento in pista. insegnandogli prima di tutto a stare in equilibrio con i piedi sui pedali al semaforo.
Fu infatti uno dei pochi a capire il valore dei velodromi la formazione degli atleti, visione isolata dato che in Italia sono stati chiusi e lasciati alla rovina mentre paesi come Inghilterra, Francia e Australia sono emersi nelle grandi competizioni con campioni che vengono proprio dalla pista. A quasi 90 anni ancora seguiva i giovanissimi della S.C. Faentina offrendo tanti preziosi consigli ai futuri campioni.

 

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TESTI

Fonti: Archivio storico Umberto Testi, ricerche su archivi online, libri e riviste dell’epoca.

Palmarès: 1947 Campione del Mondo Dilettanti
Campione Italiano 1947 e 1950

Umberto Testi Bologna. Tecnica con fantasia.

Umberto Testi fondò l’azienda Cicli Testi a Bologna nel 1934 con lo slogan “Tecnica con fantasia”. La produzione si distingueva dalla media dell’epoca per la qualità e finiture e in breve la fama delle biciclette Testi si diffuse su tutto il territorio nazionale. L’impegno profuso dal figlio Umberto anche nel settore delle competizioni, portò gli organizzatori del giro d’Italia del 1946, in occasione della tappa che parte proprio da Bologna, ad organizzare la punzonatura delle biciclette proprio nella sua bottega.

Nel 1947, a coronamento dell’impegno nelle corse, la ditta Testi si fregiò anche del titolo di Campione del mondo dilettanti, vincendo con il bolognese Benfenati il mondiale di Parigi.

Nel 1949 l’azienda avviò la produzione dei primi telai in lamiera stampata per ciclomotori. I telai Testi erano realizzati ed utilizzati anche da altri costruttori dell’epoca, tra i quali la Garelli e la Demm. Alla fine degli anni ’50 l’azienda, guidata dal figlio Erio, si trasferì a San Lazzaro di Savena (lo stesso paese dove ebbero sede aziende come OMAS, FT Bologna, REG-ROTO-COBRA e uno stabilimento Campagnolo, cambiando nome in “Velomotor e specializzandosi nella produzione industriale di motocicli distribuiti in tutto il mondo.
Fu alla Testi che, all’inizio degli anni ’40, i fratelli Patelli appresero le prime nozioni per la costruzione di telai per biciclette da corsa.

La maggior parte dei telai Testi, ma non tutti, sono ben riconoscibili per la particolare forma delle congiunzioni molto appuntite e allungate dello sterzo e e del nodo sella, la testa forcella con uno svuoto largo al centro e per il numero seriale sul lato destro del nodo sella.

Stand Testi alla Fiera del Ciclo di Milano, fine anni ’40

Parigi 1947, Benfenati Campione del mondo dilettanti nell’inseguimento con bici Testi

La sede degli stabilimenti Testi a San Lazzaro di Savena, Bologna.

Decals Testi anni ’40

Testi Campagnolo Cambio Corsa conservata. Ca 1947, n. 4750. Foto Troppebici

Dettagli Testi Campagnolo Cambio Corsa conservato, anni ’40

Dettaglio congiunzioni Testi cambio Campagnolo Parigi Roubaix, marcata Suzzi, ca 1950

Testi cambio Campagnolo Cambio Corsa, restaurata. Ca 1951. Foto Frameteller

Testi Campagnolo Cambio Corsa, conservata. Ca 1952, n. 7528

Testi sportiva primi anni ’50, restaurata. Foto Robert Hudson

Testi corsa, forcellini Campagnolo Gran sport con registri da 4mm . Conservata, ca 1953. Foto Frameteller

Testi Campagnolo Cambio Corsa ca 1953

Testi per Simplex Camione del Mondo, ca 1954, n. 8368

Testi strada fine anni ’60


SUZZI

Cicli Suzzi / Biciclette a mano su misura / Imola, via del Fossato 21  / primi anni ’20 – anni ’80

Collaborazioni: Alpi / Peloso / Marnati / Pelà / Colnago / Patelli / Picchio

I Suzzi, padre e figlio, hanno venduto biciclette a ciclisti amatori e professionisti per oltre ’60 anni. Poche le informazioni che è stato possibile recuperare su questo noto marchio bolognese nonostante oggi sia molto apprezzato e ricercato dai collezionisti di bici da corsa d’epoca.
Diversamente dal figlio Alfredo che si limitò all’assemblaggio di telai costruiti da terzisti, Suzzi era conosciuto nel territorio per l’abilità nel saldare telai in acciaio, in particolare per la raffinata eleganza dei telai da passeggio. L’officina per l’assemblaggio si trovava a Imola, mentre il negozio era a Bologna in via del Fossato 21. Nella bottega di Bologna Alfredo offriva splendide bici assemblate con telai marchiati a proprio nome e costruiti da blasonati artigiani italiani, tra i quali Marnati, Alpi, Peloso, Colnago, Chiesa, Picchio, Patelli e Pelà. Abile meccanico, Alfredo segui per diversi anni anche il corridore Diego Ronchini.
I telai erano firmati con decals adesive o direttamente verniciate sul telaio, raramente veniva impresso anche l’acronimo AS sulla scatola del movimento centrale, lo stemma stemma araldico nei toni dell’azzurro ben si accostava al particolare viola dei suoi telai che li rendeva immediatamente riconoscibili.

Enrico Brizzi, proprietario insieme al fratello di una bici Suzzi, racconta:

Mi si è aperto il cuore nel trovare la scheda sul vostro sito sulla ditta Suzzi, un pezzo di storia cittadina.
Dopo lungo apprendistato ciclistico, mio fratello e io fummo ammessi, ormai adolescenti, a comprare due bici da lui, gioielli che conservo con gelosia e mi ripropongo di restaurare.
Il tratto distintivo del vecchio Suzzi, omone dalle mani a tenaglia e fervido bestemmiatore come da tradizione anarchica imolese, stava nel fatto che prima di cederti una delle sue bici ti faceva fare il giuramento: dovevi guardarlo negli occhi e stringergli la mano, promettendo che l’avresti trattata bene. “Perché a me mi puoi anche prendere per il culo che non m’importa, ma sulle bici c’è il nome del mio babbo, e con lui non si scherza!.

Alfredo Suzzi è scomparso nel 1998 all’età di 96 anni.

Suzzi corsa fine anni '40. Telaio per cambio Campagnolo a 2 leve costruito da Antonio Alpi. Foto Frameteller.

Bici marcata Suzzi del 1950/51 con il cambio Parigi Roubaix. Il telaio sembra essere un Testi.

 

 

Suzzi anni ’60, conservato. Telaio “Freccia” costruito alla Colnago. Foto Frameteller.

Dettagli di un telaio marcato Suzzi e costruito da Antonio Alpi.

 


 

Suzzi del 1968, conservato. Telaio costruito da Pelà.

 

Suzzi anni ’70, conservato. Telaio costruito da Peloso. Foto Frameteller

Suzzi primi anni ’70, conservato. Telaio costruito da Picchio.

 

 

Suzzi anni ’80. Telaio costruito da Marnati. Foto Troppebici

 

 


Suzzi anni ’70, conservato. Telaio costruito da Marnati. Foto Legendary Bike.

     

 

 


Suzzi anni 70, conservato. Telaio costruito da Peloso. Foto Katsarasj.

Suzzi, anni ’70, conservato. Telaio Peloso.

   

 


Suzzi,  fine anni ’70, conservato. Costruttore non identificato.