PATELLI

CICLI PATELLIBiciclette di classe
Umberto Patelli / Vendita bici su misura / Bologna, Italia / 1949 – 1998
Sergio Patelli / Corridore / Vendita bici su misura / Bologna, Italia / 1965 – 1998
Luigi Patelli / Maestro artigiano costruttore / Bologna, Italia / 1940 – 1988

Fonti: Camera di commercio di Bologna / intervista a Sergio Patelli e il figlio Fausto / intervista a Dario Venturi e Roberto Morelli (dal 1998 titolari della Cicli Patelli snc)

Agonismo: 1953 Sergio Patelli, Campione Italiano Dilettanti  / 1957 G.S. Patelli, Campione Italiano Dilettanti

Hanno collaborato con: Rauler, Ortelli, Testi, Veneziano

 


> Catalogo 1984   > Catalogo 1985  > Catalogo 1986


 

Per tutta la vita i fratelli Umberto, Luigi e Sergio Patelli si sono sostenuti a vicenda, insieme hanno attraversato un secolo di guerre e miseria. Ma nella loro storia c’è un quarto elemento che la rende speciale, una particolare energia che ha rafforzato il loro legame oltre il sentimento fraterno, l’inesauribile passione per la bicicletta.

 

Durante la guerra.

Nei primi anni ’40 prima Umberto e poi Luigi vengono assunti alla Cicli Testi di Bologna, piccola azienda artigiana specializzata nella costruzione di biciclette che una ventina d’anni più tardi diventerà una importante azienda motociclista.

Sergio, nato nel giugno del 1928, è il più piccolo e sicuramente il più ossessionato dei tre dalle biciclette, cosa ci può essere di meglio nella vita che lavorare sulle bici insieme ai fratelli maggiori? Niente, però erano proprio loro a inibirlo “siamo già in due a far questo mestiere Sergio! Bisogna che tu fai qualcos’altro.” e lo mandano a fare il calzolaio dove non resiste a lungo “mi facevano legare lo spago tutto il giorno” dopo un anno di sofferenze infatti riesce a farsi assumere dalla Testi, dove il fratello Luigi nel frattempo è già un saldatore provetto, mentre lui viene assegnato all’assemblaggio con Umberto, ma solo dopo aver passato un periodo di “gavetta” durante il quale ha costruito qualche migliaio di ruote.

S.P.: Luigi era un incosciente totale. Un giorno, durante la guerra, gli alleati stavano bombardando il piccolo ponte a pochi metri da casa nostra e lui stava lì, alla finestra mentre a voce alta gli dava degli imbecilli perché non riuscivano a centrarlo. Quando gli ho fatto notare che era il caso di scappare giù nel rifugio e che potevamo anche morire da un momento all’altro lui mi ha detto – Sergio vacci te nel rifugio e subito! Però stai attento e copriti che è umido e ti vengono le artriti – Beh, in effetti poi le artriti mi son venute davvero.

La tragedia della guerra non ha risparmiato nessuno, tantomeno la famiglia Patelli che ha perso la mamma a soli due mesi dalla resa.

 

Dopo la guerra.

Nel 1948 tutti e tre i fratelli si licenziano dalla Testi, pochi mesi dopo Umbeto apre il negozio in via San Vitale dove assume i due fratelli. La bottega, che vende biciclette da passeggio e telai speciali da corsa saldati da Luigi, rimane in attività fino al 1964 quando Umberto ne trasferisce la sede in via Matteotti e Luigi apre una sua officina in via Massarenti che attrezza a dover per la costruzione dei telai. Nel frattempo, sei anni prima, Sergio aveva aperto un negozio a suo nome nel quartiere Corticella, dove era andato ad abitare e dove era molto popolare grazie ai suoi successi da corridore, come il Umberto vende bici da corsa saldate da Luigi oltre ad accessori vari e abbigliamento sportivo.
Entrambi i negozi ebbero da subito un grande successo e tutti e tre si trovarono a lavorare anche 12 ore al giorno per tenere dietro alle tante commissioni.

 

Gli atti di apertura delle rispettive attività dei tre fratelli Patelli.

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Bici da strada Umberto Patelli, fine anni ’50, telaio costruito da Luigi Patelli / Foto: Marco Borri

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Umberto, Sergio, Luigi, il triangolo d’acciaio.

Ricapitolando, Luigi salda i telai grezzi sia per Sergio che per Umberto, i quali entrambi le firmano a proprio nome ma nel frattempo si aiutano a vicenda alternandosi nel lavoro di finitura e assemblaggio.

S.P.:Io e Umberto ci davamo spesso il cambio nel processo di finitura che consisteva nell’andare fino a Funo (provincia di Bologna) dove c’era un artigiano che faceva la sabbiatura fine, i telai sai sono delicati e le altre sabbiature non andavano bene.
Poi bisognava passare da Lanciotto Righi, il “Mago della Lima”, il migliore in assoluto nella finitura a mano, di giorno faceva il limatore alla Testi e noi gli portavamo i telai direttamente a casa la sera. Poi c’era la fresatura e la cromatura durante la quale ai nostri telai  facevamo fare il bagno integrale, così venivano ricoperti interamente da uno strato di Nichel che li avrebbe protetti a vita dalla ruggine.
Io poi ero particolarmente pignolo, un giorno mi è capitata in mano una scatola del movimento centrale di Cinelli fatta un po’ male, da quella volta sono sempre andato direttamente da loro con il campione in mano e le sceglievo una ad una. Ero diventato famoso alla Cinelli per questa mia pignoleria e Cino lasciava detto agli impiegati di chiamarlo quando arrivava Sergio Patelli perché ci teneva sempre a scambiare due chiacchere con me, solo che mia moglie mi faceva sempre una gran fretta perché il giro da fare era lungo, dovevo passare anche da quello delle pompe artigianali e poi il maglificio per le divise, le scarpe…”

 

Dodici anni dopo.

Nel 1976, Umberto acquista un capannone in via Paganino Bonafede dove apre una grande officina per la costruzione di telai su misura, oltre alla produzione di dime, accessori e attrezzi da vendere nei due negozi. Il maestro saldatore e pantografo è ovviamente sempre Luigi, il quale nel frattempo è diventato un abilissimo artigiano, in officina anche alcuni operai addetti all’assemblaggio e alle rifiniture. I telai Patelli diventano ben presto ambiti per leggerezza, qualità e finitura dei dettagli sia tra i corridori che tra i meccanici della regione e poi in tutta Italia.
L’officina è rimasta in attività fino al 1990, da quel momento in poi la saldatura dei telai viene affidata a terzi di cui i fratelli avevano stima, come l’artigiano “Silvestro” di Pianoro. Nel ’97 Umberto, arrivato alla pensione, ha lasciato il negozio di via Matteotti ai suoi collaboratori Roberto e Dario, grazie ai quali oggi la Cicli Patelli è ancora un prezioso punto di riferimento per i ciclisti bolognesi. Nello stesso anni anche Sergio chiude il negozio dopo 40 anni di attività.

 

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Umberto nello stand Patelli alla Fiera del ciclo di Milano.

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Sergio Patelli.

Diversamente dai fratelli Sergio correva in bici e correva anche veloce. Da dilettante ha vinto ben 49 gare, un Giro del Sestriere e il titolo di Campione Italiano nella cronomotro a squadre del 1953, alla media di 42,2 kmh su 120 km delle strade di allora.

S.P.: “Ci fu una volta nel ’47, quando correvo per la Velo, che sono partito da solo per partecipare come indipendente alla gara internazionale Gran Premio del Rosso di Montecatini. A un certo punto abbiamo affrontato il monte Oppio, una salita durissima che non si vedeva mai la fine, mai, a un certo punto mi è scappata la pazienza e mi sono fermato sul fianco della strada e da una delle mie cinque tasche ho tirato fuori una  ciambella. Niente roba strana eh?! Solo una ciambella.
Non ho fatto in tempo a finirla che vedo uno della giuria corrermi incontro e urlare “Ma te! Cosa fai? Sei pazzo? Eri terzo e ti fermi a mangiare??! Dai che ti son passati davanti in tanti ma forse arrivi ancora tra i quindi premiati!”.
A quel punto son tornato in sella e sono andato dietro al gruppo, arrivato alla prima curva mi sono accorto che in realtà ero già arrivato in cima e son cominciate le discese, giù fino a Montecatini. Una volta arrivato sulle strade del paese una macchina mi si è messa davanti facendomi cadere, accumulo ancora ritardo ma riesco ad alzarmi e a ripartire Quando arrivo allo stadio c’è quel signore di prima “Ma dove sei sparito un’altra volta??? Dai allora corri che forse ce la fai! Vaiiii!!!”. Entro nello stadio e scopro di essere arrivato quindicesimo! Mi diedero come premio ben 1.500 lire e poi altre 6.500 perché ero il più giovane tra i premiati, avevo 19 anni
.”

Sergio si ritira dall’agonismo nel 1954 a 26 anni. “Mi ero fidanzato e poi volevo lavorare con i miei fratelli“. Peccato perché era davvero un talento promettente ma la categoria Dilettanti in quegli anni non era cosa facile. Oggi ha 88 anni e un giovanissimo senso dell’umorismo

S.P.: “Tra fratelli ci siamo sempre aiutati, sempre insieme. Luigi, il più grande di noi quattro,  fece la bici anche a mia sorella, che ovviamente era anche la sua. Dopo le corse mi chiamava sempre per sapere com’era andata e se avevo preso la pioggia veniva a casa mia, svitava la sella e la massaggiava con il grasso, così che non facesse le grinze. Quando ho aperto il negozio mi ha costruito una pompa enorme e indistruttibile ma anche bella dura da spingere. È ancora qua, la pompa, pronta per quelli che vengono a trovarmi con le ruote sgonfie, adesso però gli dico che se la devono usare da soli.”

 

Bici da strada Sergio Patelli - Modello Super Record Titanium
Bici strada Sergio Patelli “Super Record Titanium”, 1976 Telaio costruito da Luigi Patelli Tubazioni Columbus SL, gruppo Campagnolo Super Record titanio. Foto: Gianni Mazzotta per Frameteller

Bici da strada Sergio Patelli - Modello Super Record Titanium

Fregio Sergio Patelli

 

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A sinistra fregio Sergio Patelli, a destra fregio Umberto Patelli con indicato il titolo di Campione Italiano Dilettanti vinto dal fratello Sergio.

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Fregi Umberto Patelli, a sinistra l’indicazione dei titoli di Campione Italiano Dilettanti vinti dal fratello Sergio (1953) e dalla squadra Patelli (1957)

 

patelliok5Paolo Giordani, collaboratore di Umberto Patelli.

Attestato di miglior artigiano della Regione Emilia-Romagna per i lettori della rivista BiciSportiva, 1987.

 

La sede umberto patelli in via massarenti - dal catalogo del 1985
L’officina di Umberto Patelli in via Paganino Bonafede – Copertina cataloghi anni ’80

 

Umberto Patelli strada, modello “special course” fine anni ’50 / Foto Giacomo Grava.

 

Umberto Patelli Special Course 1960 / Foto Frameteller

Umberto Patelli Special Course anni ’60

 

Bici da strada Umberto Patelli del 1963
Umberto Patelli strada, modello Special Course del 1963.

 

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Patelli strada, anni ’70. Congiunzioni finemente lavorate a mano. Foto Cicli Berlinetta.

 

Patelli per Villa 1967, foto Frameteller

 

Umberto Patelli strada 1974. Foto Frameteller

 

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Bici strada Umberto Patelli “Titanium”, 1975 – Foto: Frameteller Telaio costruito da Luigi Patelli, tubazioni Columbus SL, congiunzioni Nervex e Georg Fisher. Gruppo Campagnolo Record, viteria in titanio. Foto Frameteller

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Bici strada Umberto Patelli “Titanium”, 1976 – Foto: Frameteller Telaio costruito da Luigi Patelli, tubazioni Columbus SL, congiunzioni Nervex e Georg Fisher. Gruppo Campagnolo Super Record. Foto Frameteller

 

Patelli team Giacobazzi, livrea Mario Martini, foto Frameteller

 

Patelli strada con tubazion AIR ovalizzate

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Bici da strada Umberto Patelli – Modello Super Corsa del 1983. Realizzato per il gruppo Campagnolo Cinquantenario. Foto Frameteller

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Bici da strada Umberto Patelli anni’80. Foto Cicli Berlinetta Berlino 

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Bici da strada Sergio Patelli anni’80.

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Strumenti per il lavoro in officina prodotti e venduti da Umberto Patelli.
Strumenti per il lavoro in officina e accessori per il ciclista prodotti e venduti da Umberto Patelli. Foto catalogo Patelli anni ’80.

Strumenti per il lavoro in officina prodotti e venduti da Umberto Patelli.

Umberto Patelli: piano di riscontro elettronico per l'allineamento del telaio.

Dima per la costruzione dei telai costruite e vendute da Umberto Patelli.

Dime per la costruzione dei telai prodotte e vendute da Umberto Patelli.

Atterezzature per la costruzione dei telai prodotte da Umberto Patelli.

Rulli per bicicletta prodotti e venduti da Umberto Patelli.

 

Dario e Roberto al lavoro oggi nell'officina di via Giacomo Matteotti.
Officina Cicli Patelli, nell foto Dario e Roberto, attuali titolari dell’attività.


RIVOLA

Cicli Rivola / Biciclette su misura / Massa Lombarda, Italia / 1963 – 2005

Ha corso con bici Rivola: José Manuel Fuente

Palmares: Campione Italiano Allievi 1984 con società ciclistica Cotiglionese

Fonti: Intervista a Fausto Rivola, “sabato sera” del 30/9/2006 a cura di Lou Del bello. / Artigiani e Biciclette in Romagna nel ‘900, Ivan Neri 

Ha collaborato con: Campagnolo / Umberto Chiesa

 

Come tante altre piccole imprese per la costruzione di cicli dell’epoca, quella della famiglia Rivola non si riduce alla semplice dimensione di lavoro finalizzato al guadagno, dietro ci sono soprattutto relazioni umane, come quella tra padre e figli e tra costruttore e corridore.
La storia del marchio inizia con Giovanni, nato nel 1925 e chiamato “il Maestro” dai concittadini massesi,  grande appassionato di bici e tifoso di Coppi tanto da chiamare il primo figlio Fausto, nella speranza che potesse un giorno diventare corridore. Faceva il muratore ma la passione per il ciclismo finì per diventare la sua vita. La carriera di Giovanni nel mondo del ciclismo inizia alla fine degli anni ’50 nello scantinato di casa intorno, lì modella su misura a mano le selle in pelle di bufalo “Brooks”, su commissione di campioni come Gimondi, Adorni, Ferretti e Reggi.
Giovanni ebbe due figli, Fausto e Gianni, quest’ultimo già a nove anni passava le vacanze chiuso nella nuova officina aperta dal padre ad imparare e, finita la scuola, cominciò a lavorare con padre e fratello in officina.

 

Gianni Rivola (2005)
Allora andavano di moda un tipo di sella chiamato Brooks, in cuoio di bufalo, la usavano tutti i campioni. Mio padre le lavorava prima che venissero usate dai corridori, in modo che prendessero già la forma della seduta, poi veniva smontata, ed infine rimontata e tirata, creando così una sella su misura. In quel periodo venivano a casa mia ogni anno, a prender due o tre selle per ciascuno, i tre campioni Gimondi, Adorni e Ferretti”. Col tempo ha iniziato a fare anche piccole riparazioni e ha continuato fino ai primi anni ’60
Credo che la prima bicicletta marchiata a suo nome sia uscita nel 1963 e costava settantamila lire. Era una bella cifra per quegli anni, ma si tratta di una bici artigianale.
Mio padre particolarmente bravo a fare le ruote, completamente a mano. Anche mio fratello Fausto in negozio si specializzò in questo lavoro, imparò da mio padre e continua a farlo ancora oggi (ndr 2022)”.

 

È nei primi anni ’60 che Giovanni decide di fondare il proprio marchio di biciclette da corsa. I primi telai li ordinava alla Rossin di Milano ma la svolta avvenne quando nel 1963 riuscì a coinvolgere nella costruzione dei suo telai il maestro telaista bolognese Umberto Chiesa, di cui Rivola già conosceva e apprezzava il lavoro. Iniziò così una lunga collaborazione, Chiesa prendeva le misure ai clienti e costruiva i telai mentre del lavoro di assemblaggio e rifinitura si occupava Rivola, sempre nello scantinato di casa ma. Dato il veloce successo che ottennero le sue bici, già l’anno successivo Giovanni si  decise a lasciare il lavoro da muratore per dedicarsi interamente alla nuova attività, così fu registrata alla camera di commercio la Cicli Rivola, con sede in via Amendola.
Per caratterizzare i telai Rivola, Chiesa fu il primo a ideare e perfezionare gli attacchi dei forcellini a “coda di rondine“, in breve tempo poi imitati da altri telaisti della zona e del nord Italia, nel modello Rivola Superleggera gli attacchi sono ulteriormente alleggeriti con un foro.

Nel settembre del 1971 si presentò davanti al negozio un ragazzo piccolo e dall’aspetto fragile, si trattava di Josè Manuel Fuente Lavanderia detto anche “el Tarangu”, corridore professionista della famosa squadra spagnola KAS, considerato uno dei migliori scalatori al mondo di quegli anni. In quel periodo si trovava in Romagna per disputare le ultime gare della stagione. Quel giorno, mentre si allenava sulle nostre strade, ebbe un guasto meccanico e capitò così per caso nel negozio di Rivola che, con grande tempismo, risolse il problema. Durante quell’incontro il piccolo scalatore spagnolo rimase colpito dalla professionalità dell’artigiano e di lì a poco gli ordinò una bicicletta speciale con caratteristiche particolari per affrontare le lunghe salite del giro d’Italia. La bici gli fu consegnata l’anno successivo direttamente nell’albergo dove alloggiava la squadra da Giovanni all’arrivo della settima tappa Iseo – Lido delle Nazioni, completa con il colore ufficiale della KAS ma senza marche. A quel tempo Giovanni non aveva un automobile e si fece quindi prestare un passaggio da un cliente che faceva il tassista per arrivare in tempo alla consegna. In quel Giro Fuente, in sella alla bici Rivola, vinse la 19ò tappa Andalo – Auronzo di Cadore, staccando corridori del calibro di Eddy Merckx e Gimondi.

Giovanni amava il suo lavoro e in particolare farlo senza troppa confusione o stress, le ruote ad esempio le finiva di assemblare di domenica chiuso nella propria officina, così da non essere disturbato da nessuno. A prova della sua padronanza tecnica come meccanico si possono ricordare diverse proposte, da parte di importanti marchia del ciclismo, di abbandonare l’azienda per approdare nel professionismo, come ad esempio l’offerta di incarico alla quadra Salvarani. Tutte le proposte, a prescindere dal prestigio dell’offerente, furono sempre rifiutate da Giovanni perché era consapevole che lavorare per i professionisti richiedeva tempi stretti e ritmi stressanti, cosa che andava in conflitto con il suo metodo fatto di grande attenzione anche ai più piccoli dettagli, con pazienza e senza pressione.

Nel 1978 Chiesa aveva ormai raggiunto l’età per la pensione e desiderava lasciare il lavoro. Fu così che Giovanni chiese al figlio Gianni di imparare a costruire i telai e sostituirlo in officina. Ovviamente non si trattava di una operazione semplice, per un mestiere così complesso serve una vera e approfondita formazione oltre ad un maestro di lunga esperienza.
Chiesa accetto quindi volentieri l’invito di Giovanni di passare il testimone al giovane Gianni e gli cedette tutte le attrezzature, maschere e piani di riscontro compresi. Per due anni si recò in corriere dai Rivola tre volte a settimana per insegnare al giovane Gianni tutto quello che sapeva. Dal 1978 e per circa quindici anni le biciclette firmate Rivola furono quindi completamente prodotte in famiglia.
Gianni mantenne in vita l’attività fino al 2005, adeguando l’offerta in base alla forte innovazione tecnologica di quei tempi, fino a  quando chiuse l’officina per lavorare in un altro negozio. Con la chiusura dell’officina del “Maestro Rivola”, oltre alla perdita di un servizio importante per la comunità, venne a mancare anche quello che era divenuto il tradizionale punto di incontro per tanti appassionati di ciclismo, un luogo dove poter condividere animate discussioni sull’ultima uscita in bici o di quella che sarebbe venuta.
Come nella migliore tradizione dell’artigianato italiano, Giovanni Rivola ha saputo trasmettere la sua abilità ai figli Fausto e Gianni, il primo ancora oggi continua a costruire ruote perfette.

 

Gianni Rivola (2005):
Quel periodo (1964) mi è servito per apprendere i primi rudimenti, che poi mi sarebbero serviti in futuro. Nel 1978 mio padre infatti mi chiese di lavorare con lui e imparare a fare i telai. Chiesa, che ormai era anziano e in pensione, mi avrebbe insegnato tutto quello che sapeva, accettai e presi un’altra officina. Ricordo ancora che Chiesa, in quel periodo, veniva da noi in corriera tre volte a settimana per insegnarmi il mestiere.
Il metodo che Che chiesa mi insegnò era ovviamente quello artigianale dell’epoca, ereditai da lui anche tutta l’attrezzatura tra cui un piano di riscontro realizzato da
Patelli di Bologna.
La tecnica era quella della saldo brasatura con fucina a carbone di legno dolce per le saldature dello sterzo, del movimento centrale e del tubo sella, operazione che richiedeva circa un’ora e mezzo. Il carro e i forcellini venivano invece saldati a parte con fiamma ossidrica e Castolin perché la saldatura avesse maggiore resistenza.
Per un telaio finito impiegavo circa 20 ore, quasi tre giorni di lavoro. La curva della forcella la creavo con un uno stampo, scaldandola prima a mano e dopo aver già saldato i forcellini nel tubo del fodero, la piegatura doveva essere di 6-7cm e avveniva in 3 parti, si teneva conto nel farla della distanza tra il centro del movimento e quello dei mozzi che doveva essere di 4,3-4,5 cm nei telai più grandi e di 4 cm in quelli più piccoli, per dare maggiore stabilità al telaio e prima di tutto per non rischiare che il piede andasse a toccare la ruota; questa distanza viene tecnicamente definita REC e cambia leggermente a seconda delle idee del telaista. Sempre per lo stesso motivo per i telai grandi il tubo piantone lo saldavo con un’angolatura di 72,5°-73°, mentre per quelli più piccoli non era minore di 74°, le congiunzioni che utilizzavo erano della Cinelli mentre i componenti della Campagnolo.

Producevo 80/90 telai all’anno, il record di produzione l’ho avuto nel 1981 con 120 biciclette e la mia produzione totale è all’incirca di 1.000 telai, il costo di un prodotto completo negli anni ’80 era di 2.000.000 di Lire.”

I nostri telai seppur in incognito hanno partecipato anche a competizioni internazionali. Il Giro d’Italia passava in Romagna proprio nei pressi del nostro paese. Quale non fu la sorpresa di mio padre nel trovarsi davanti il corridore José Manuel Fuente che ci chiese una riparazione per un guasto riportato durante la gara. Mio padre lo aiutò e Fuente rimase colpito dalla sua competenza di meccanico e costruttore. Dopo qualche tempo, quando già ci eviravamo scordati dell’episodio, ecco Fuente in persona presentarsi dalla Spagna per ordinare due telai: naturalmente poi non vennero marchiati con il nostro nome, perché il corridore era legato ad uno sponsor, ma per noi è stato motivo di grande soddisfazione sapere che tante gare sono state vinte in sella ad una nostra creazione.
Tra il 1991 e il 1992 mio padre cominciò a non stare più bene, e poiché aveva già una settantina d’anni decise di lasciare l’attività. Presi io il suo posto, ma nel 1995 ho dovuto lasciare perdere il lavoro di telaista, che ho affidato ad un collaboratore esterno e dedicandomi alle riparazioni in un altro negozio, poi nel 2005 accettai un impiego presso la SOMEC di Lugo”.

“Nei primi mesi certamente è stato un po’ un trauma essere assunto per la concorrenza. Ho lavorato trent’anni in proprio e un  cambiamento del genere non è uno scherzo. Però so di aver portato con me il valore della mia esperienza e professionalità, e questo mi rende comunque fiero.
Oggi (2005 ndr) con me lavora anche Oscar Veneziano, il meccanico che ha seguito Pantani. Dover abbandonare l’attività che si è creata con le proprie forze dal nulla è doloroso ma si tratta di una circostanza determinata dal modificarsi del mercato, divenuto troppo concorrenziale per il piccolo artigiano. Ancora una volta la bilancia pende a favore dell’industria e della produzione in serie. Quello che si perde è il valore umano. Dietro ad una produzione artigianale c’è sempre innanzitutto una persona che segue il cliente non solo al momento della vendita, ma anche dopo. La dimensione dell’officina era bella perché si creava un rapporto a misura d’uomo, una conoscenza reciproca basata su momenti condivisi, su una comunione di interesse.
Ad esempio, io ero anche un ciclista oltre che un meccanico, quindi il mio parere era ascoltato più volentieri. Ai giovani che vogliono intraprendere questo mestiere posso dire che è un lavoro duro, ci sono poche possibilità di inserimento. Ma se un consiglio lo si può dare, è l’insegnamento di mio padre: la fretta non paga mai. L’approccio giusto ad un mestiere come questo è quello di una volta, che richiede dedizione e tempo prima di vedere i risultati. Io ho sempre seguito questi principi, e sono stato ripagato con grandi soddisfazioni
”.

 

Anni ’70, Giovanni Rivola di fronte alla sua officina – foto archivio di famiglia Rivola

 

Fine anni 70, Gianni Rivola impegnato nel lavoro di costruzione di un telaio – foto archivio di famiglia Rivola

Sella Brooks riadattata manualmente per uso professionale da Giovanni Rivola – foto archivio di famiglia Rivola

Anni 80, Giovanni Rivola con una bici costruita dal figlio Gianni – foto archivio di famiglia Rivola

1992, Gianni mostra l’ultimo telaio uscito dall’officina.

1963, una delle prime biciclette marcata Rivola costruite da Chiesa, sulla testa forcella l’iniziale del suo cognome. Forcellini Campagnolo “C aperta” – Foto archivio di famiglia Rivola

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Bicicletta da strada Chiesa-Rivola del 1965 / Foto Troppebici

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Bicicletta da strada Chiesa-Rivola del 1972 / Foto Troppebici

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Fine anni ’70 Gianni Rivola Superleggera

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Metà anni ’80,  Gianni Rivola strada / Foto troppebici

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1981 Telaio strada Gianni Rivola, / Foto Matteo Signori

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1985 Gianni Rivola strada, verniciatura Mario Martini di Lugo / Foto Frameteller

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2005, Gianni Rivola e Riccardo Vivarelli impegnati nella 200km dell’Eroica con bici Rivola