GALMOZZI

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Fonti: intervista ad Angelo Galmozzi

Nato nel 1895 a Villanterio (Pavia) Francesco Galmozzi fu uno dei migliori telaisti italiani dell’epoca Eroica. Nonostante nel corso di oltre 50 anni la sua officina raggiunse notevoli dimensioni, arrivando anche ad una squadra di una decina di collaboratori, Galmozzi riuscì nel mantenere standard qualitativi del design di altissimo livello insieme a valori imprescindibili come onestà, umiltà, creatività e rispetto per le persone.
Quella di Francesco e Angelo Galmozzi fu una intransigente e costante propensione alla qualità, senza cercare negli stratagemmi di marketing una leva per competere nella durissima, e non sempre leale, competizione che contraddistinse il periodo Eroico della produzione di biciclette da competizione.  Alla fine degli anni ’50 Angelo successe al padre nella guida dell’officina mantenendo quella qualità che rese famoso il marchio Galmozzi. Francesco non smise comunque di visitare l’officina per salutare il figlio e i campioni del ciclismo che corsero con le sue biciclette.

Francesco Galmozzi allo stand Siplex, fiera del Ciclo di Milano.

1910-1950

La famiglia Galmozzi si trasferì a Milano nei primi anni del ’900. A Francesco, che aveva appena 9 anni, fu trovato un impiego presso il dipartimento di oreficeria della fonderia Battaglia, dove ebbe modo di formarsi nel campo della lavorazione dei metalli. Già in quegli anni amava le corse in bicicletta, passione che seguì fino a diventare corridore dilettante (tra i compagni di squadra c’era tal Guidi, futuro nonno di Johnny Dorelli), il fisico esile gli permetteva di essere particolarmente scattante e veloce in salita. Con le corse crebbe anche il suo interesse per la parte meccanica della bicicletta e con alcuni amici si cimentò nel modificare una vecchia bici da passeggio del secolo precedente in una contemporanea bici sportiva.

Arrivò la Prima guerra mondiale e, nonostante non fosse un amante della divisa, Francesco fu arruolato come Bersagliere e mandato al fronte. Fu Recluso a Mauthausen e perse un polmone a causa di gravi ferite, solo per miracolo riuscì a sopravvivere al conflitto e tornare ritornare a casa nel 1921 dove trovò lavoro da Artemisia Gerbi, sorella del corridore Giovanni detto “il diavolo rosso”, che a quel tempo produceva e vendeva biciclette. L’anno successivo fu proprio Francesco a suggerire “Gloria” come nome per la nuova azienda della Gerbi e del socio Alfredo Focesi, la cui produzione, orientata prevalentemente alle biciclette da corsa, raggiunse già dal 1923 un forte successo grazie anche alla vittoria del campionato del mondo della propria squadra con Liberio Ferrario, primo campione dell’italia ciclistica, con una delle innovative bicicletta Gloria “Garibaldina” progettate dal giovane Francesco Galmozzi.

Il design del carro posteriore prima e dopo la soluzione ideata da Francesco Galmozzi per la Gloria.

La sede della Gloria in quegli anni era situata in un capannone di legno di 90mq in via Scarlatti a Milano, Francesco come direttore tecnico riuscì in poco tempo a dare alle biciclette Gloria caratteristiche costruttive ed estetiche rivoluzionarie per l’epoca come il carro posteriore costruito con i due foderi separati e integri senza il classico collegamento a “Y” usato fino ad allora, le splendide decorazioni sui telai e la finitura galvotecnica (nichelatura con vernice trasparente), elevando la produzione telaistica dell’epoca ad opera d’arte. Nel 1926 Francesco, essendo chiamato a testimoniare contro Alfredo Focesi e a favore della Gerbi, entrambi titolari dell’azienda, nel merito di dissidi per questioni economiche, fu costretto a dimettersi per onestà intellettuale da direttore dell’azienda.

Poco dopo le dimissioni Francesco, grazie alla padronanza della lingua tedesca imparata durante la prigionia a Mauthausen, si impegnò nell’indirizzare il calzaturificio cecoslovacco Bata alla Pirelli, quest’ultima lo premiò con un orologio d’oro che fu recapitato alla sua attenzione alla A.M.F Gloria – racconta Angelo – «quell’orologio venne trattenuto per rappresaglia dal disonesto Focesi e non fu mai consegnato al suo ex direttore».
A due anni dall’uscita dalla Gloria Francesco entrò come socio alla Fratelli Magri, azienda che in seguito acquisì e di cui rimase proprietario fino al 1938, anno in cui fondò la sua Galmozzi e nacque il figlio Angelo. Francesco scelse come nuovo distributore della Galmozzi-Magri, la ditta Lazzaretti Romolo e Remo di Roma. A quel tempo l’azienda vendeva circa 3.000 telai all’anno e la squadra era composta da circa dieci operai. Nei primi anni ’30 le biciclette da competizione Galmozzi-Magri erano già ampiamente usate da corridori professionisti in italia e all’estero.
Nel 1932 Attilio Pavesi vinse due Ori, cronometro e a squadre, alle Olimpiadi a Los Angeles su bicletta Galmozzi-Magri, così come molti corridori al campionato del mondo di Montlhery l’anno successivo.
Per poter vendere le proprie biciclette in Inghilterra senza incorrere nelle sanzioni fasciste dell’epoca, i soci decisero di aprire una sede a Chiasso in Svizzera. Alla morte di uno dei due fratelli Magri la società venne divisa e Galmozzi si intestò la parte italiana.

“Quanto siano bravi gli italiani a costruire biciclette lo si può vedere allo stand Tabucchi, dove sono ben esposti i telai creati dalla Magri-Galmozzi.”

— Rivista inglese “Cycling”, 17 novembre del 1933

PRIMI RICONOSCIMENTI

Nel novembre del 1933 la rivista inglese “Cycling” elogiò la qualità delle biciclette Magri-Galmozzi esposte nello stand Tabucchi Tyre Co. alla fiera “The Lightweight Show “ di Londra.
“Anche se in fiera si possono vedere alcune delle migliori lavorazioni britanniche, c’è sempre una folla intorno allo stand n. 5, dove una macchina speciale, costruita dai sigg. Fratelli Magri e Galmozzi, i migliori produttori di pesi leggeri d’Italia, viene esposta dalla Tabucchi Tire Co. Ltd., per mostrare i loro cerchi Fiamme. Questa macchina è conosciuta come il modello Campione del Mondo, ed è quello utilizzata dal corridore su strada vincitore l’anno scorso a Los Angeles e ampiamente utilizzata anche quest’anno a Montlhery da molti corridori italiani e da alcuni francesi.”

Catalogo Tabucchi Tyre Co. Ltd, anni ’30. Vengono citate la fiera del 1934 e la fornitura dei telai, da parte della Galmozzi-Magri per la nazionale Olimpica italiana e altre squadre internazionali.

Squadra Ursus Welter insieme a Francesco Galmozzi, terzo da destra.

Gloria Garibaldina anni ’40, conservata.

Fine anni ’40, Galmozzi corsa per Lazzaretti, conservata. Foto Stefano Cataldi.

Anni ’40, Galmozzi corsa per Lazzaretti. Foto Rory Masini

Fine anni ’40, Galmozzi corsa per Lazzaretti, conservata. Foto Stefano Cataldi.

"In casa di Galmozzi se ne parlava molto bene e mia madre aveva una bici da donna fatta da loro di cui andava molto orgogliosa. Ricordo anche il giovane Galmozzi che veniva a ritirare anche solo pochi tubi alla volta in bicicletta, aveva libero accesso senza dover passare da Cino Cinelli."

— Antonio Colombo

IL LEGAME CON COLUMBUS

Antonio Colombo ricorda che fu molto duratura la relazione tra i Galmozzi e la storica azienda milanese. Alla fine degli anni ’30 Francesco suggerì al titolare della azienda Columbus, Angelo Luigi Colombo, l’idea di recuperare le centinaia di cisterne abbandonate dopo la guerra per riutilizzarle nella produzione delle tubazioni per telai da bicicletta, idea che poi fu tradotta in realtà. Dal 1949, per ovviare alle tante falsificazioni, i tubi dei telai Galmozzi venivano personalizzati direttamente dalla Columbus con il simbolo del gallo e la dicitura “Super Competizione”.

«Caro Galmozzi, sapete che non ho ancora osato inforcare la bicicletta che avete costruito? Mi fa soggezione. Vorrei che il mio corpaccio non la sfiorasse per non appannarla, per lasciarla vergine e intatta come è uscita dalle vostre mani. Sono mani di mago in verità e io vorrei, vi assicuro, che dalla mia penna uscissero le parole come dalle vostre dita escono le biciclette: così leggiadre, così agili, così “uniche”. Il mio “grazie vale il mio “bravo”. Non siete solo un artigiano siete un artista perché nei meccanismi che ideate e costruite sapete infondere un tocco di genialità, e quasi soffiare un alito di poesia. Una bicicletta così bisogna ancorarla: lasciata libera e sciolta c’è rischio di vederle spiccare il volo».

— 1942, Bruno Roghi, direttore della Gazzetta dello Sport

1949, Galmozzi Cambio Corsa, conservata. Foto Alfredo Molendi.

1950-1986

Come detto Francesco non amava le uniformi e certo non era uomo asservito al fascismo. Durante il discorso di entrata in guerra di Mussolini fu colto anche a ridere e denigrare il dittatore in pubblico, comportamento imbelle che gli procurò minacce e persecuzioni da parte dei fascisti. Alla fine della guerra l’officina era inutilizzabile a causa dei bombardamenti, Francesco invecchiato, affaticato dalle cicatrici fisiche della prima guerra e con il patrimonio ormai disperso, riuscì a trovare le forze per ricominciare da zero rilevando un fondo per costruire la nuova officina.

Per la costruzione del telaio i Galmozzi preferivano non impiegare dime o maschere, dopo aver osservato e misurato il ciclista venivano infatti impostati angoli e misure con una semplice squadra, impostando l’inclinazione del piantone e la posizione della ruota posteriore in funzione dell’uso per pista, strada o criterium. Alle forcelle, costruite sempre con l’uso del solo goniometro e a curvatura invariata, non venivano aggiunti i rinforzi all’interno dei foderi, giudicati dai Galmozzi inutili e dannosi per la tenuta del delicato punto di contatto del fodero con la testa della forcella.

Dopo anni di sacrifici la nuova produzione, sempre artigianale e prodotta in sede, raggiunse di nuovo numeri elevati grazie anche alle commissioni come terzisti per produttori italiani e inglesi, i quali applicavano la propria livrea ai telai Galmozzi, tra gli italiani ricordiamo, oltre al già citato Lazzaretti, Chiappini, Gamba, Mosé, Guerciotti, Barale, Bevilacqua e Poli. I clienti diretti erano corridori amatori e professionisti e ogni telaio era sempre progettato sulle caratteristiche fisiche del ciclista in coerenza con le esigenze di impiego agonistico.

1962ca. Rik Van Looy campione del Mondo (1961) in sella a bicicletta Galmozzi.

«La Specialissima di Van Looy pesava meno di 10 Kg e la ruota posteriore di 28 raggi resse per l’intero percorso, sfasciandosi solo subito dopo aver tagliato il traguardo, sotto il forte impeto della lunga volata. Ma la bici da me consegnata aveva entrambe le ruote da 36 raggi con nipples in Elektron (lega avio in alluminio), l'idea di sostituirle con cerchi a 28 raggi fu del suo direttore, Driessens»

— Angelo Galmozzi

Molti i telai speciali Galmozzi costruiti per le competizioni su strada e pista, uno dei più importanti fu la Specialissima, peso meno di 10kg, usata da Rik Van Looy nel 1961 per la vittoria al campionato del mondo. Importante fu anche la collaborazione con il Gino Bartali che nel 1957 incaricò Galmozzi di costruire i telai per la sua squadra San Pellegrino. Il legame fra Bartali e Galmozzi risale agli anni prima della guerra, quando Gino correva per la Legnano e commissionava telai da pista a Francesco, non ancora telaista di fama internazionale. Sono noti anche telai costruiti da Galmozzi per Bartali nel dopoguerra, a prova che il rapporto tra i due durò almeno fino agli anni ’60.

Nel 1959 Angelo Galmozzi, che nel frattempo si era diplomato in un istituto tecnico e aveva studiato il lavoro del padre in officina, entrò in azienda con la prospettiva di dare cambio nella direzione dell’officina al padre che si ritirò pochi anni dopo. Sempre negli anni ’60 nell’officina Galmozzi furono prodotte bici per note squadre professionistiche come Atala-Lygie, San Pellegrino e Libéria-Grammont. Per oltre 12 anni la Galmozzi costruì anche tutti i telai reparto corse della Atala, con la richiesta particolare di aggiungere i rinforzi interni ai foderi della forcella, così da non sminuire, rendendole più simili, le loro biciclette rivolte al mercato. La produzione nazionale venne poi interrotta per ottenere una maggiore penetrazione presso i mercati esteri come Stati Uniti, Canada e Giappone. Francesco Galmozzi ci ha lasciato nel 1975, il figlio Angelo ha continuato a guidare la l’officina fino alla sua chiusura nel 1986 a causa dei costi di affitto degli spazi, divenuti in quegli anni troppo onerosi.

La squadra San Pellegrino al completo assieme al direttore sportivo Gino Bartali.

Galmozzi corsa 1951, conservata. Foto Troppebici

Galmozzi con forcellino Campagnolo del 1951 con adattatore per il cambio Gran Sport, conservata.

1956, Lygie squadra corse costruita da Galmozzi, conservata.

1961, Bartali Squadra S. Pellegrino telaio Galmozzi, conservata.

1966, Galmozzi Super Competizione, conservata.

1968, Galmozzi Super Competizione, restaurata

IL DESIGN DEI TELAI GALMOZZI

Già a partire dagli anni ’40 i telai Galmozzi erano molto apprezzati e imitati. «Venivano da noi con telai che si erano rotti a lamentarsi, e io facevo notare i fori di sfiato che non erano come li facevamo noi, erano imitazioni fatte dalla Torpado». Quindi, per ovviare al problema dei plagi nel 1949 Francesco, su consiglio dell’Ing. Cantafora, all’epoca direttore della Colombus, decise di fare personalizzare i tubi dei propri telai con la scritta “Galmozzi Super Competizione” sul tubo sterzo.


IL GALLO

Il simbolo del gallo lo si può trovare punzonato più frequentemente sul tubo piantone e cannotto sterzo, raramente anche su canotto e testa forcella.


LA PUNZONATURA

I tubi sterzo usati da Galmozzi erano personalizzati direttamente dalla Columbus, con la scritta “Galmozzi Super Competizione”.


RIGA E PALLINO

Ulteriori elementi caratteristici fino alla fine degli anni ’60 sono le congiunzioni tubo sterzo, testa forcella e raramente della scatola del movimento centrale, personalizzate con svuoti a forma di riga e cerchio, oltre all’assenza di rinforzi nei foderi della forcella (unica eccezione i telai costruiti per le squadre San Pellegrino e Atala). Alcuni telai prodotti per altri marchi, come ad esempio Romolo Lazzaretti di Roma o Villa di Bologna, avevano la testa forcella con la riga intera e senza pallino. A partire dalla fine degli anni ’60 la testa forcella non è più personalizzata.


LA FIRMA NASCOSTA (FIORI DI SFIATO)

Un altro espediente importante di Galmozzi, studiato e applicato su tutti i telai per poterli distinguere a colpo d’occhio dai falsi era l’allargamento a 2.75 mm del diametro dei quattro classici piccoli fori creati durante la saldatura del telaio e della forcella (necessari per sfiatare il vapore che poteva formarsi all’interno dei tubi), un sottile dettaglio spesso ignorato nei plagi.


IL FREGIO

Famoso il simbolo Galmozzi per la sua ironia, dove un gallo si erge in equilibrio su un mozzo, giocando chiaramente con il cognome del telaista.
Del fregio furono realizzate solo due versioni con la medesima grafica, in metallo e adesivo.


LA SELLA BROOKS

Le selle Brooks modificate da Galmozzi, veri e propri capolavori di artigianato, sono oggi molto ricercate dai collezionisti. La modifica prevedeva sette rivetti di cui il centrale punzonato con la firma.


ATTACCHI FORCELLINI

Tipico di Galmozzi, fino alla fine degli anni ’60, l’attacco dei forcellini molto lungo.


NODO SELLA

Ben lavorato e dal design elegante il nodo sella Galmozzi negli anni ’40 e primi ’50, ben riconoscibile per lo svuoto a forma di cerchio.


SCATOLA MOVIMENTO CENTRALE

Fino alla fine degli anni ’60 la scatola è completamente chiusa con svuoti di diversa forma solo sull’invito del tubo diagonale. Dalla fine degli anni ’60 e per tutti gli anni ’70 era alleggerita con 7 fori concentrici.