COLNER

Fonti: Reclus Gozzi (Rauler) / TroppebiciClassic Randezvous / Giroditaliadepoca /

Palmarès: Robert Bill, medaglia d’oro nell’inseguimento a squadre alle Olimpiadi di Mosca del 1980.

Ha collaborato con: Colnago / Rauler / Martini / Romani / Technotube / Simoncini / Mascheroni

La cicli Colner (COLNago + ERnesto) nasce ufficialmente nel 1974, produzione dei telai e distribuzione delle biciclette complete venne affidata alla Velosport, di San Lazzaro di Savena in provincia di Bologna. Il nuovo marchio dava a Ernesto Colnago la possibilità  di correre con due squadre contemporaneamente, dal 1974 l’UCI permise infatti la possibilità di iscrivere una sola squadra di professionisti per marchio. Il modello di business era invece quello di una linea biciclette di livello medio alto con una produzione completamente indipendente dalla Colnago, da inserire sul mercato ad un prezzo leggermente più basso e con una diversa distribuzione, in particolare nelle regioni del sud Italia.
Le Colner, contraddistinte dal simbolo dell’Asso di Picche raggiunsero presto un notevole successo commerciale, tanto che Mario Martini di Lugo ne verniciò 700 solo nel primo anno. Le bici, costruite con tubi Columbus SL ed equipaggiate con gruppi Campagnolo, erano di alto livello, molto simili alle cugine Super della Colnago e, in alcuni casi, anche più leggere, questo almeno nei primi anni di produzione. Probabilmente il progetto fu messo in cantiere da Colnago già uno o due anni prima, sono conosciuti infatti dei telai costruiti antecedentemente al 1974 già con l’asso di picche pantografato insieme al trifoglio Colnago, dopo la presentazione ufficiale del marchio i due simboli non furono mai più affiancati sullo stesso telaio.

Colner speciali Squadra Corse
Oltre alle bici di serie, costruite ed assemblate esternamente alla Colnago da artigiani come Romani di Parma, Technotube e Simoncini, la Colner offriva anche bici su misura per diverse squadre, come la belga Usboerke-Colner nel’74/75 e l’italiana Vibor nel ’77/78, per la quale correvano l’allora esordiente Visentini, come pure Boifava e Panizza.
Questi telai speciali erano costruiti e assemblati dalle esperte mani dei Fratelli Gozzi (Rauler) di Reggio Emilia e da Lupo Mascheroni.

Graeme Gilmore con maglia Squadra Usboerke-Colner e bici Colner, i dettagli delle congiuzioni ricordano quelle di produzione Gilardi

"My bike builder was Lupo Mascheroni from Milan - he built all Patrick Sercu’s bikes as well. He set up & kept a jig for my bikes - so I would just ring him & he would make the same all the time - my Sixday bikes were made more like a sprinters bike with the seat angle steeper than a “normal” 6 bike ! Which suited me better as I only rode 50mm behind the bracket! Forgot the degrees now ! But I rode the same shape bikes in over 100 sixes ! Lupo just changed the decals & paint job on the frame to match the bike sponsor from the team I was riding that year !"

Graeme Gilmore

Squadra Usboerke Colner, 1975

Robert Bill su bici Colner, medaglia d’oro nell’inseguimento a squadre alle Olimpiadi di Mosca del 1980

Prime decals Colner, firmate con marchio Colnago.

Le primissime Colner mantengono il simbolo Colnago sotto alla scatola del movimento centrale.

Il simbolo Colner forato nella scatola del movimento centrale.

Colner strada anni ’70 / Foto Ciclicorsa

Colner pista anni ’70

Colner 1973 per Eddy Merckx. Sul telaio, costruito per la squadra corse Molteni, sono visibili sia gli Assi di Picche sulle congiunzioni e sulla testa forcella, sia l’Asso di Fiori Colnago sulla scatola del movimento centrale. Foto Simone d’Urbino. 

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Dettagli telaio Colner reparto corse 1981

Colner strada 1977 / Foto pedalroom.com

Colner strada 1977 / Foto pedalroom.com

Colner strada 1983, tubazioni Columbus CX

Colner strada Profile Syte, anni 80, conservata. Foto Andrea Shwin.

Catalogo e annunci pubblicitari Colner


MESSORI

Fonti: Luca Campanale, Paolo Chiossi, Stefano Orlandi nipote di Messori

Lino Messori, lontano parente di quel Carlo Messori vincitore di titoli mondiali negli anni ’30 e marito di Alfonsina Strada ciclista e pioniera della parificazione fra i sessi, è nato a Modena il 24 febbraio del 1926, personaggio eclettico, artigiano estremamente abile, curioso e creativo, come gli “artisti-artigiani” del Rinascimento riuscì nella difficile arte della fusione di bellezza e funzionalità. Fin da giovanissimo era appassionato di bici e ciclismo e si impegnò come corridore dilettante fino all’avvento della guerra. Per almeno un ventennio, a partire dagli anni ’50 e fino ai ’70, il suo lavoro principale fu la gestione di una importante azienda di stampaggi aperta con altri soci nei primi anni ’50. Nonostante non fosse il suo lavoro primario riuscì comunque ad intraprendere, con risultati di alto livello, anche la professione di artigiano costruttore di telai da corsa, a quei tempi (e anche oggi) un lavoro decisamente impegnativo sia dal punto di vista fisico che tecnico.

Lino Messori con Ernesto Colnago

Le prime nozioni di costruttore Lino le apprese dal padre che costruiva biciclette da passeggio nel proprio negozio a Modena in via Livizzani, competenze che ampliò ai telai da corsa presso la sede milanese della Cinelli, dove spesso si recava per acquistare il materiale necessario all’officina. Nei primi anni ’50 il suo lavoro era già noto e apprezzato anche da ciclisti professionisti come Liberati, il campione ferrarese Attilio Lambertini, gregario di Bartali negli anni ’50, il modenese Walter Generati, capitano della Gloria (1940-42). Il tavolo di riscontro dell’officina fu realizzato trasformando un tavolo in acciaio della Panini che serviva per mischiare e imbustare le famose figurine, Lino si unì in matrimonio con la figlia di Panini, per il quale costruì anche una bicicletta.
Grazie agli introiti della propria azienda potè gestire questo secondo lavoro senza i limiti di tempo imposti dai margini di profitto. Ad ogni fase di lavorazione di ogni singolo telaio, dall’ideazione, all’applicazione delle decals, potè dedicare molto tempo e lavoro, a volte anche 7 giorni, fino ad arrivare alla massima perfezione. Nell’arco della sua intera carriera di costruttore realizzò solo 120 telai, tutti pezzi unici e originali. Oltre alle estrema qualità e originalità delle sue bici, una delle caratteristiche estetiche e funzionali che distinguevano tutti i telai Messori era la cromatura sotto alla vernice impiegata per preservare il telaio dall’ossidazione. Costruì telai anche per altri marchi del modenese come Luciano Paletti.

Alla fine degli anni ’70 Messori vendette l’azienda e si tornò a concentrarsi di nuovo a tempo pieno sulle biciclette riaprendo un negozio in via Ventimiglia. Fu in quel periodo che, attraverso l’amico Corradi, agente e organizzatore di corse ciclistiche, entrò in contatto con Ernesto Colnago per il quale diventò poi rivenditore. Durante una visita di lavoro nella “Boutique”, così Messori battezza la propria officina di 160mq in centro a Modena, Colnago apprezzò la qualità dei suoi telai e decise di commissionargli alcune lavorazioni complesse come la piegatura dei piantoni per le bici da crono, operazione che all’epoca in pochi erano in grado di eseguire a mano con precisione e senza difetti. Sempre per Colnago realizzò due telai interamente in titanio, forcellini compresi. Nei primi anni ’80 sperimentò la saldatura a TIG e realizzò un carro posteriore con il fodero destro in posizione leggermente asimmetrica per poter mantenere la campanatura della ruota e renderla così più resistente alle forti sollecitazioni.
La collaborazione proseguì con reciproca soddisfazione per diversi anni, Messori fu anche l’ispiratore del concept per la forcella “Precisa” prodotta da Colnago, il quale non perse mai occasione per dimostrargli sincero rispetto e ammirazione per l’artigiano modenese.
Uno delle bici più originali Messori fu sicuramente il modello “Forata” che, su commissione di Ernesto, venne creata come “scultura” per attirare il pubblico negli stand Colnago alla fiera di Milano. Il problema fu che il telaio, così originale e affascinante “rubava” tutta l’attenzione a scapito dei modelli Colnago, ironia della sorte, a Messori fu quindi chiesto di rimuoverla per eccesso di ammirazione. La tenuta dei tubi nonostante i fori così ampi, fu possibile grazie al particolare filo di acciaio da 8mm saldato intorno alle aperture per irrigidire l’area.

A testimonianza della sua attitudine eclettica, oltre alla carriera di imprenditore e di costruttori di bici si è impegnato nella boxe e nel canto, accompagnando anche il maestro Luciano Pavarotti in diverse tournèe nel mondo, ha costruito chitarre in metallo di una in ottone e ha scritto diversi racconti e poesie pubblicati sia in dialetto modenese che in italiano.

Lino ci ha lasciati nel 2015, ma alcuni dei suoi attrezzi continuano a vivere nell’officina pugliese di Gabriele Ardito.

Messori Specialissima 1981. Foto Frameteller
Messori aggiungeva le iniziali del nome del corridore sul tubo orizzontale,
in questo caso “A.D.” solo per le biciclette speciali realizzate per gli amici.
Galleria completa immagini qui.

Messori strada anni ’80, modello “forata”

Messori anni ’80, modello “forata”

Galmozzi anni ’40, conservata.

Messori strada con carro posteriore asimmetrico brevettato.
Lo spostamento del pendente posteriore orizzontale permette il campamento del ruota in modo simmetrico.
Foto Stefano Orlandi

Messori strada anni ’80 con tubo piantone sagomato

1961, Bartali Squadra S. Pellegrino telaio Galmozzi, conservata.

1966, Galmozzi Super Competizione, conservata.

Prototipo Messori realizzato in collaborazione con Conago.
L’intero telaio è in Titanio compresi i forcellini forniti da Colnago.
Ne furono costruiti solo due esemplari, uno marcato messori e l’altro Colnago.
Foto Stefano Orlandi

Messori strada anni ’80, con forcella reversa / Foto Stefano Camellini

Messori strada anni ’80, con forcella reversa

Lino Messori - Alla velocità del cuore / At the speed of heart

Lino Messori said of himself “I am nobody, but I did a bit of everything”. Born in 1926, in Modena, Italy, Lino quickly became a local fixture both for his incomparable skills and his personality. A master frame builder who also followed a myriad of different passions, spanning from singing with opera legend Luciano Pavarotti to never losing a single boxing match.
Lino Messori made 150 bespoke bikes over the span of his career, many of which were very special for the time and still today.
Film by Luca Campanale. Inspired by Paolo Chiossi. In collaboration with Davide Fonda, Marco Brandoli, Pongo Films and Plus NYC. Music By: Possimiste, Assif Tsahar, Peter Kowald & Rashied Ali.

"Io non sono nessuno, ma ho fatto di tutto"

— Lino Messori


NERI E RENZO

Cicli Neri e Renzo / Biciclette su misura / Cesena, Italia / 1971 – ancora in attività

Ha collaborato con: Ernesto Colnago (MI), Marastoni (RE), Rauler – Fratelli Gozzi (RE)

Palmàres: Campione italiano Allievi UISP 1956, Trofeo Laigueglia 1964, primo classificato “Traguardi Volanti” Tour de France 1966

Fonti: intervista a Guido Neri

CAMPIONE, ARTIGIANO, TECNICO.

Nato a Cesena nel 1939, si trasferisce nel 1941 con la famiglia a Guastalla, nei pressi di Reggio Emilia terra di grande amore per il ciclismo e di maestri come Licinio Marastoni, dove il padre ha trovato impiego come agronomo presso una grande tenuta agricola della zona.
Come altri grandi artigiani anche nel caso di Neri l’avventura di costruttore di biciclette è stata preceduta dalla quella di ciclista professionista, nel suo caso però dobbiamo aggiungere una terza ulteriore carriera: quella di responsabile tecnico e meccanico.

CICLISTA professionista dal 1962 al 1970, campione italiano UISP nel 1956, ha corso per Torpado, San Pellegrino, SICS, Molteni e Max Meyer, con campioni del come Adorni, Dancelli, Eddy Merckx, Franco Bitossi, Arnaldo Pambianco, Rik Van Looy, Jaques Anquetil e Gianni Motta, tra i tanti successi i primi posti al Trofeo Laigueglia e nella classifica Traguardi Volanti al Tour de France del 1966, l’ultimo corridore italiano a fare il giro d’onore al Parco dei Principi, l’anno dopo il velodromo parigino fu demolito.

ARTIGIANO Al ritiro dall’agonismo nel 1971 la passione per la bici lo spinge ad aprire una sua officina/negozio a Cesena insieme al socio Renzo che ha l’esperienza tecnica necessaria. L’amicizia e il rapporto di collaborazione con i maestri Marastoni e Colnago nati durante la carriera professionistica continuano anche in questo ambito, Neri affida a loro e ai fratelli Gozzi (Rauler) la costruzione di tutti i suoi telai, che vengono poi cromati, verniciati e pantografi internamente. Oggi il negozio/officina è ancora un punto di riferimento per i ciclisti di Cesena e non solo, grazie alla gestione del figlio Alberto anche lui ex corridore e la sempre vigile supervisione di Guido.

TECNICO Oltre alla gestione del negozio Neri intraprende anche la carriera di consulente tecnico-meccanico che gli darà grandi soddisfazioni e la possibilità di girare il mondo. Tutto comincia con la pubblciità di una tra le prime agenzie di viaggi in Italia ad organizzare percorsi avventura in bici all’estero, Guido e si propone come meccanico e viene subito assunto, dal 1999 segue come consulente tecnico la nazionale paralimpica tedesca di HandBike, una delle prime al mondo per medaglie vinte, con la squadra parteciperà alle Olimpiadi di Sidney 2000, Atene 2004, Pechino 2008 e Londra 2012. Sempre come responsabile tecnico ha partecipato anche e al campionato del mondo del Canada del 2003 e alle Olimpiadi di Barcellona con la nazionale di San Marino.

 

CICLI NERI & RENZO

La Cicli Neri e Renzo apre nel 1971 a Cesena. Guido, ha dalla sua l’esperienza da corridore e, soprattutto, un importante rapporto di amicizia con due grandi maestri telaisti con cui ha collaborato durante la carriera, Ernesto Colnago e Licinio Marastoni.

La prima vera bici da corsa di Neri era una Corradini ma subito dopo il titolo di campione italiano allievi UISP nel 1956 Marastoni lo chiama per offrirgli una sua bici in cambio della sponsorizzazione, da quel momento nasce una lunga amicizia che durerà per decenni. Dal 1957 al 1961 Neri corre come dilettante con il GS. Burro Giglio ed è Marastoni a costruire i telai per tutta la squadra poi, passato a professionista, e fino al suo ritiro, continuerà a correre con i telai di Licitino, anche se ovviamente marchiati con le decals dei relativi team e sponsor. L’ultima bici che Neri chiese di costruire a Licinio era per se stesso e fu forse l’ultima costruita dal maestro artigiano prima della sua scomparsa nel dicembre del 2015.

Ernesto Colnago che conosceva bene Marastoni, al quale aveva carpito non pochi segreti del mestiere, entrò in contatto con Neri quando era meccanico alla Molteni dal 1964 al 1966 e gli fornì le congiunzioni per costruire i primi telai. Neri si rese conto presto che gestire un negozio e costruire telai sono due attività insieme molto impegnative per solo due persone, insieme al socio decisero quindi di affidare a costruttori esterni come Colnago e a Marastoni la produzione di tutti i telai, i quali venivano poi verniciati, cromati e pantografati internamente. Fu sempre tramite Marastoni che Neri conobbe i fratelli Gozzi (Rauler) di Reggio Emilia,  i quali si unirono a questo dream team di “terzisti” d’eccellenza.

Neri e Renzo continuarono a produrre bici da corsa artigianali fino agli anni ’80 e Renzo si ritirò dall’attività nel 1993 ma il negozio continua la sua attività vendita e consulenza per i ciclisti di Cesena e non solo grazie alla gestione e al talento del figlio Alberto Neri, anche lui ex corridore professionista.

IL CAMPIONE

Anche per Guido vale la prassi che per correre devi prima di tutto convincere tuo padre. Per fortuna di Guido anche il papà è appassionato di ciclismo e finisce per cedere alle sue insistenze per l’undicesimo compleanno quando gli regala la prima bicicletta, acquistata con grandi sacrifici.

A sedici anni prova ad entrare nella Polisportiva Bagnolese ma i posti per la squadra di ciclismo sono tutti occupati e viene iscritto come pugile. Ben presto si rende conto, a proprie spese, che il pugilato non è lo sport che fa per lui, o almeno non può competere con la sua passione per la bicicletta. È inverno, fa freddo e viene buio presto ma Guido continua ad allenarsi nell’attesa che arrivi il suo momento, ogni sera segue in bici la moto di un suo amico per 15 km fino al vicino paese di Bagnolo dove fanno insieme ginnastica ed esercizi. Durante il giorno lavora e studia all’istituto tecnico di Guastalla dove impara le tecniche di saldatura.

Finalmente l’occasione, è ormai primavera e alla Bagnolese uno degli allievi si ammala e viene chiamato in squadra e comincia qui la sua carriera ciclistica con 9 anni di professionismo, 8 giri d’Italia, 2 Tour De France e 2 Vuelta de Espania, oltre alle numerosissime classiche, correndo con grandi ciclisti come Eddy Merckx, Michele Dancelli, Franco Bitossi, Arnaldo Pambianco, Rik Van Looy, Gianni Motta, Jacques Anquetil.

Sempre da dilettante con la maglia della Bagnolese nel 1956 vince il titolo di Campione Italiano allievi UISP. Nel ’57 passa alla G.S: Masone di Reggio Emilia dove ottiene 9 vittorie e due posti d’onore con diversi piazzamenti nei piani alti della classifica. Alla fine dell’anno la famiglia torna a Cesena ma Guido rimane ciclicamente legato a Reggio Emilia iscrivendosi alla GS Burro Giglio squadra dove milita per quattro stagioni, ottenendo 28 vittorie che lo portano al professionismo nel 1962 chiamato da Gino Bartali alla San Pellegrino. Nei primi due anni da professionista ottiene ottimi piazzamenti concludendo il Giro d’Italia 24° posto nel 1962 e al 47° nel 1963.

All’inizio della stagione 1964, a 25 anni rimane senza squadra a causa dello scioglimento del Gruppo Sportivo San Pellegrino.

Fu un’esperienza purtroppo negativa, non per colpa di Gino Bartali ma per dei strani fatti che si abbatterono come una bufera sulla San Pellegrino che decise di concludere così la sua avventura nel mondo del ciclismo. Quell’anno il ciclismo professionistico, per motivi che non posso sindacare, si trovò ad annoverare ben due campioni d’Italia contemporaneamente, Fontana (San Pellegrino) e Mealli (Bianchi). La Federazione intervenne risolvendo il problema assegnando il titolo Tricolore a Mealli (Bianchi). La San Pellegrino non condivise la decisione e si ritirò passando il testimone alla “Firte” che ci pagò lo stipendio per due mesi ma, poi, chiuse i battenti e io mi ritrovai disoccupato. Una brutta faccenda, soprattutto per chi, come me, non aveva nessuna voglia di appendere la bici al chiodo. Avevo soltanto 25 anni e tanta voglia di pedalare, non mi persi d’animo e, un soggiorno vinto come premio TV ad Alassio della Sanremo del 1963; ne approfittai anche per studiare il percorso del Trofeo Laigueglia, una corsa nuova alla prima edizione e che inaugurava la stagione ciclistica dei professionisti. In quegli anni, nelle prime corse della stagione, si poteva prendere il via alle corse anche senza essere tesserati da una squadra professionistica, ecco come partecipai al Laigueglia del 1964” 

Non riesce a trovarne una e il 23 febbraio si presenta al Trofeo Laigueglia con la maglia del Dopolavoro Masone. È la prima edizione della corsa in programma sulle strade della Riviera Ligure di Ponente e, correndo da isolato, Neri è deciso a mettersi in mostra, talmente deciso da entrare in un sestetto di fuggitivi tra i quali Adorni. Volendo dimostrare il suo valore, Guido attacca con vigore, lo rincorrono, gli danno la caccia, ma il romagnolo resiste e vince in solitudine con 20″ su Bailetti, 41″ su Meco, 54″ su Carlesi, Minieri, Cribiori, Adorni e Zilioli. Un colpaccio che nessuno si aspettava. Questo fu il suo commento al cronista:

Volevo distinguermi e mi sono preparato alla bisogna. Adesso spero che qualcuno mi dia fiducia. È triste trovarsi nei panni del disoccupato. Non penso di meritare un ruolo del genere…“.

Dopo la vittoria viene chiamato da Giorgio Albani, direttore sportivo della Molteni, e così Neri diventa compagno e scudiero per 3 stagioni di Gianni Motta. Nel 1967 passa alla Max Meyer e nel 1970 conclude l’attività con la maglia della Scic. Non ottiene più successi ma si distingue per generosità e fedeltà verso i suoi capitani e nelle giornate di libertà va in cerca di soddisfazioni personali: è tra i primi in alcune tappe del Giro d’Italia e vince la classifica dei traguardi volanti al Tour de France del 1966; piccole soddisfazioni che hanno il loro significato.

La più grande soddisfazione da corridore, oltre al trionfo nel Laigueglia, ricordo ancora oggi con grande commozione il Tour del 1966 dove mi classificai al primo posto nella classifica finale dei Traguardi Volanti. Grazie a questa vittoria feci il Giro d’onore sull’anello del Parco dei Principi, ricordo ancora gli applausi della folla e la grande gioia ed emozione provata in quella occasione, gioia ed emozione che vivo tuttora perché, e lo dico con grande orgoglio, sono stato l’ultimo corridore italiano a fare il giro d’onore al Parco dei Principi perché, l’anno dopo, il Velodromo parigino fu demolito.

La ciliegina sulla torta fu il premio della simpatia attribuito dai giornalisti:

In genere ad ogni tappa veniva dato a un campione, ma sulle Alpi lo assegnarono a me perché avevo segnalato a radiocorsa la caduta del mio compagno De Rosso sul Monginevro. Niente di speciale, feci solo ciò che tutti avrebbero fatto, ma evidentemente, il fatto colpì”.

 

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La Max Mayer di Renzi

 

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Guido Neri con la maglia Max Mayer, dal 1967 al 1970.

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Guido Neri e il figlio Alberto nel negozio di Cesena con la bici costruita su misura dall’amico Licinio Marastoni per Guido negli anni ’90. Una delle ultime costruite da Marastoni prima della sua scomparsa nel 2015

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Il tavolo di riscontro in ghisa costruito da Guido Neri per saldare i telai.

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Il telaio n. 6 di Neri e Renzo, congiunzioni Colnago, forcellini e testa forcella Columbus SL. Le congiunzioni dei i primi telai costruiti da Neri e Renzo e da Rauler erano fornite da Ernesto Colnago.

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Telaio Neri anni ’80, costruito dai fratelli Gozzi (Rauler). Foto BG Legendary Bikes.

 

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Il telaio costruito per Guido Reni da Reclus Gozzi (Rauler) per l’anniversario dei 60 anni dalla vittoria del titolo di Campione Italiano del 1956.

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Congiunzioni fatte a mano con lo spazio per il tricolore in fase di verniciatura.

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Adorni all’inseguimento di Guido Neri nella prima edizione del Trofeo Laigueglia del 1964. Reni concluderà la corsa al primo posto.

 

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Guido Reni in azione al Trofeo Laigueglia del 1964 con la maglia del G.S. Dopolavoro Masone

 

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Guido Neri intervistato a fine gara. Trofeo Laigueglia, 1964.

 

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Sulla sinistra Guido Neri in azione.

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Neri in maglia Molteni, 1964, 1965 e 1966.

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Neri in azione con la maglia G.S. SCIC, 1970.

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Neri in una foto di gruppo del G.S. SCIC, al centro Eddy Merckx.

 

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RAULER

RAULER / Biciclette su misura  / Reggio Emilia, Italia1970 – In attività

Fonti: intervista a Reclus Gozzi / Brochure “50° anniversario Rauler, 2020

Ha lavorato con: Colnago, Colner, Marastoni, Dosi, , Somec, Chesini, Olmo, Bianchi, Cinelli, Raimondi, Neri

Squadre: Giacobazzi / Autotrasportatorì Napoli / Maltinti Lampadari / Top and Esmeraldo / SMEG di Artoni / Velo Club Reggio / CREI Gualtieri / VIBOR con Panizza che correva con bici Colner-Rauler.

Palmarès: Argento 100 km a squadre Olimpiadi in Venezuela con De Pellegrini / Oro 100 km a squadre alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 / Campione italiano dilettanti 1980 e 1984 con De Pellegrini / 1980 Giro di Campania dilettanti di prima categoria con Borgini / 1984 Campionato italiano per dilettanti di seconda categoria su strada

 

> Catalogo Rauler anni ’70   > Catalogo Rauler anni ’80

 

L’avventura Rauler inizia nel 1970 a Reggio Emilia. Il nome è la combinazione del nome di 2 fratelli, Raoul e Reclus Gozzi. Il maggiore Raoul, nato due anni prima di Reclus nel 1946, da ragazzo correva con il Gruppo Sportivo Bismantova di Reggio Emilia, con il quale ha ottenuto buoni risultati grazie a passione e sacrificio. Raul intraprese il lavoro di pantografista specializzato alle dipendenze di un artigiano della zona e nel 1970 decise di mettersi in proprio.
Il lavoro gli garantiva buoni profitti e dato che si era sempre dovuto accontentare di bici usate più o meno adatte alla sua misura e costruite con materiali di media qualità, decise di concedersi la soddisfazione di farsi costruire una bicicletta da corsa su misura. Della sua decisione parlò con Nello Olivetti, suo meccanico di fiducia che negli anni sessanta fu un discreto corridore tanto che aveva gareggiato insieme a Ernesto Colnago.

Ernesto Colnago in quegli anni era già un rinomato costruttore di bici speciali per i campioni dell’epoca. Una domenica mattina (perché alla Colnago si lavorava anche di domenica), partirono quindi con destinazione Cambiago per farsi costruire la sognata bici personalizzata.
Prima di congedarsi Raoul chiese ad Ernesto Colnago la possibilità di portare con sé il gruppo Campagnolo spiegando che così avrebbe potuto nel frattempo alleggerito e decorarlo. Trascorsi i due mesi Ernesto avvertì che il telaio era pronto. Il mattino seguente di buon’ora, Raoul si presentò portandosi appresso il gruppo modificato pronto per il montaggio della bici. Alla vista di quei componenti lavorati Ernesto rimase stupefatto e gli chiese di preparare dieci gruppi Campagnolo modificati.

 

 

Guarnitura Campagnolo alleggerita da Rauler.

 

Fù cosi che nel giugno 1970 iniziò un rapporto di collaborazione con la Colnago che durò poi oltre 15 anni. Un lavoro sempre più impegnativo, fino al punto che Raoul fu costretto a chiedere al fratello, che nel frattempo lavorava nel campo della carpenteria pesante, di affiancarlo in officina.
Nel marzo del 1973 Reclus Gozzi cominciò quindi il suo apprendistato al pantografo guidato dall’esperienza del fratello. Ogni mese i Gozzi pantografavano e coloravano circa 70/80 gruppi con consegne settimanali. Ogni gruppo era composto da guarnitura, canotto sella, leve freno, leve cambi, attacchi manubrio e, a volte anche, anche mozzi e cerchi. Il lavoro procedette senza intoppi e con Colnago si instaurò un rapporto familiare, quando quest’ultimo si trovava nella zona di Reggio o Parma, (al tempo la Colnago era sponsor della SCIC), faceva visita all’officina seguita dall’immancabile piatto di tortelli.

Fu in una di quelle occasioni che Ernesto propose ai due fratelli di aiutarlo nella costruzione di telai da corsa neutri, senza stemmi. La Colnago, nel lancio in produzione di 200 telai da corsa, ne avrebbe costruiti direttamente 150 col suo marchio e decentrato ai Gozzi la produzione dei rimanenti 50 da firmare con il marchio del cliente.
Il giorno seguente Raul e Reclus condivisero la proposta con il padre Otello, anche lui fabbro ed esperto nella saldatura a cannello ossiacetilenico e pochi giorni dopo Reclus e il padre partirono alla volta di Cambiago per il corso di formazione armati di metro, calibro, blocchi da disegno per rilevare misure ed eventuali maschere e prendere appunti vari su sistemi di lavorazione che gli operai di Ernesto utilizzavano nella costruzione dei telai.  Gli venne spiegato che era necessario  iniziare sempre a costruire i telai di misura più grande perché, in caso di errore, un tubo tagliato si sarebbe potuto utilizzare per telaio più piccolo. Presero nota dello schema della maschera per assemblare i telai riportando le dimensioni che avrebbero utilizzato per costruirne una nella loro officina.
Una volta puntato il telaio sarebbe stato tolto dalla maschera per l’operazione di squadratura sul piano di riscontro e poi spinato con chiodi appositi nelle varie giunzioni. Tale operazione era necessaria per evitare che al momento della saldatura del telaio i vari punti potessero muoversi variando così le misure impostate, le saldature portavano la temperatura localizzata sugli 800 °c dilatando i pezzi.

Otello Gozzi, sotto la guida dì Aldo, il capo telaista della Colnago, saldò telai e forcelle imparando i segreti del mestiere, mentre Reclus prendeva nota dei vari passaggi di lavorazione facendo schizzi di particolari che lo avrebbero aiutato nelle varie fasi di costruzione.
Con l’apprendimento ed il trascorrere del tempo presero confidenza con il nuovo lavoro e la sera in albergo ripassavano i vari compiti e già pensavano a come risolvere le diverse difficoltà come il non avere a disposizione delle maschere di saldatura come quelle di Ernesto né della grande “giostra” su cui potevano operare contemporaneamente tre operai che saldavano in successione il movimento centrale, il gruppo sterzo e il gruppo sella. Nella giostra erano disponibili tre cannelli per il preriscaldo ed altri tre per la saldatura. quando il telaio passava davanti al saldatore questo doveva solo mettere l’ottone per la saldo-brasatura perché il pezzo era già alla temperatura di circa 800″C, mentre i Gozzi avrebbero dovuto riscaldare a quella temperatura con un solo cannello.

Arrivò il giorno di congedarsi e ripartire per Reggio per costruire le maschere, mettere in funzione le macchine già acquistate in precedenza e preparare l’impianto di saldatura. Una volta preparata l’attrezzatura Ernesto e Aldo li avrebbero raggiunti a Reggio Emilia per costruire i primi dieci telai, uno per misura dal 50 al 60, utili per piazzare la maschera di puntatura e tagliare i tubi.
Correva l’anno 1975 e nel frattempo venne depositato, presso la Camera di Commercio di Reggio Emilia, il nuovo nome dell’officina “Rauler”.

 

I fratelli Rauler in officina negli anni ’70

 

Una volta finiti di saldare i primi 10 telai campione, comprese le forcelle, cominciò il difficile lavoro di finitura. Per saldo-brasare oltre l’ottone si utilizzava il borace, una polvere indispensabile per potei far scorrere la lega a base di ottone, il borace una volta raffreddato, vetrificava, per poter limare la saldatura era necessario prima sabbiarla. Questo era un problema per i Gozzi perché non possedevano una sabbiatrice.
Raoul si rivolse quindi alla fonderia del quartiere “Lobrighisa” che accettò di affittare l’utilizzo della sabbiatrice. Quando Reclus portava i telai alla fonderia non mancava di studiare la sabbiatrice cercando di carpirne il principio di funzionamento e in, poco tempo, si sentì in grado di poterne costruire una da solo. Si recò quindi da un demolitore deve recuperare un serbatoio GPL; lo riempii d’acqua per evitare che potesse scoppiare durante la lavorazione e lo modificò a modello di quello della sabbiatrice della fonderia; il serbatoio era più piccolo ma se avesse funzionato sarebbe andato ugualmente bene.
Reclus acquistò un grosso compressore di seconda mano e costruì una cabina di lamiera che potesse contenere un telaio, dotata di uno sportello con il vetro per potei osservare le varie parti durante la lavorazione e due fori per inserire le braccia protette da maniche di gomma in modo da potevi manovrare il telaio e direzionare il getto di sabbia. Così con poche migliaia ma molto know how ottennero la loro sabbiatrice.

Rimaneva da risolvere il problema del lavoro di limatura delle saldature che si presentava impegnativo ma con pazienza riuscirono a superare anche questa difficoltà; i primi pezzi non uscivano rifiniti alla massima perfezione ma in poco tempo, con l’aiuto di Raoul che proseguiva nel suo lavoro di pantografista ed eccelleva nelle le finiture, riuscirono nel fabbricare un prodotto perfetto.
A questo punto cominciarono ad evadere gli ordini che passava la Colnago, il quale quando doveva produrre un lotto da 100 telai, 80 se li costruiva mentre 20 li ordinava alla Rauler, sempre personalizzati come richiesto dal cliente.
Una volta realizzati e rifiniti i telai venivano consegnati a Milano dove venivano cromati, verniciati e consegnati al cliente finale.

L’idea del simbolo Rauler nacque quando i fratelli Gozzi decisero di provare a diventare costruttori di bici da competizione. A quel tempo acquistavano tubi e congiunzioni dalla Colnago in quanto questa riusciva ad ottenere i prodotti a prezzi molto bassi.
Il problema era quindi che sulla testa della forcella in microfusione era già presente l’asso dì fiori, perciò per poterla utilizzare Raoul ebbe l’idea di modificarla al pantografo allungandone i petali fino a farlo diventare una foglia di edera, così è nato l’originale simbolo Rauler, dall’abilità di problem solving tipica degli artigiani dell’Emilia-Romagna.

 

rauler colnago
Rauler 1978, scatola del movimento centrale pantografata con il simbolo dell’edera.

 

 

Congiunzioni arabescate Rauler

Le prime congiunzioni arabescate create a mano da Raul Gozzi (sinistra) a confronto con quelle industirali prodotte da Colnago (destra)

 

In breve tempo i telai su misura prodotti dalla Rauler ebbero successo nella piazza locale, dove il ciclismo era molto praticato. Persino Reclus, appassionato motociclista, entrò nel gruppo Citroen del del quale Raoul già faceva parte.

Fra i clienti comparivano molti ex corridori professionisti che ritiratisi dalle gare aprirono dei propri marchi, tra i quali Guido Neri, Enrico Paolini, Vincenzo Bellini, La Pier-Belgio, Dancelli, Saronni, Poggiali oltre a svariati altri piccoli meccanici di bici in tutta Italia. Cominciarono ad equipaggiare una piccola squadra di esordienti, Ia “Unione Sportiva Montecchio” dove un bravo presidente, il Signor Fontana, appassionato di ciclismo, cercava di educare i ragazzini alla bici e chissà, forse sarebbero emersi, magari anche dei buoni corridori.

Reclus:

“Se non fosse uscito un campione sarebbe stato sufficiente che fosse una brava persona un buon padre un buon operaio. Effettivamente, uno è diventato un buon sindaco per ben due legislature è Sandro Venturelli, un altro, Guidetti, è tuttora direttore sportivo di una squadra giovanile, sono passati per la squadra anche Pattacini, funzionario di banca, Graziano Beltrami col fratello, commerciante di materiale speciale per bici da corsa, il meglio del mercato mondiale, la Beltrami T.S.A.”

Alcuni dei giovani corridori vennero assunti in officina, con il giovedì pomeriggio libero per potersi allenare.

Nel novembre 1976 i Gozzi decisero di partecipare alla Fiera di Milano “Ciclo Motociclo” EICMA, grazie a Colnago gli venne assegnata un’area importante del padiglione, proprio a fianco del famoso costruttore. Per loro fu uno sforzo notevole sia in termini economici che di tempo e si costruirono da soli lo stand per contenere le spese affitto. Per l’allestimento delle bici esposte furono aiutati da Rino Parmigiani, il meccanico della squadra della SCIC, un nome autorevole del settore, e vecchio conoscente di Otello Gozzi, con il quale aveva condiviso il lavoro in officina negli anni 60. Rino diventò poi collaboratore Rauler e gestì il negozio situato fuori dall’officina a pochi passi di distanza dalla sede.
La fiera fu un successo, molto apprezzate le bici esposte anche per la verniciatura eseguita da Gianni Schivazappa, artigiano di Parma e artista nel settore. Grazie a Colnago acquisirono molti clienti che rimasero fedeli negli anni a venire.

 

I fratelli Gozzi con il padre alla fiera di Milano

 

Durante la fiera fecero conoscenza con l’ex ex corridore della Nazionale Danese di nome Gunnar Asmussen che aveva già già partecipato alle Olimpiadi di Roma nel 1960 e vinse poi una medaglia d’oro alle Olimpiadi in Messico nel 1968.
Asmussen, cessata l’attività di corridore, aprì un negozio di bici da competizione nel suo paese, in Fiera era alla ricerca di un telaista in grado di produrre telai a suo marchio e rimase colpito dalle bici esposte allo stand Rauler. In breve stabilirono un accordo commerciale e quantitativo della campionatura. Asmussen fornì la squadra nazionale danese per la 4×100 Km cn telai costruiti da Rauler con ruota anteriore di 26 pollici.

Nel 1975 la Colnago equipaggiò la Giacobazzi, squadra di dilettanti di prima categoria di Nonantola, nella quale vi correva anche Mauro De Pellegrino, atleta di Reggio Emilia che si appoggiava alla Rauler per l’assistenza tecnica.
Sempre in quell’anno la Colnago riscontrò un problema nella costruzione del carro posteriore che, essendo troppo corto, per sostituire la ruota posteriore era necessario sgonfiare la gomma, durante la corsa operazione non accettabile. I direttori sportivi della Giacobazzi allarmati chiesero spiegazioni a Colnago, il quale Ii indirizzò alla Rauler per risolvere un problema che non era di facile soluzione dato che le bici erano già montate e verniciate. I Gozzi risolsero la questione con la mola a nastro accorciarono la punta dei forcellini affinché la ruota potesse essere montata in modo corretto e veloce.
Grazie a quell’operazione la Giacobazzi già nel 1976 equipaggiò la squadra con bici Rauler con le quali tagliarono molti traguardi. Nello stesso anno alle Olimpiadi in Venezuela De Pellegrini vinse la medaglia d’argento nella 100 km a squadre.

Nel 1980 sempre Mauro De Pellegrino vinse il campionato italiano a cronometro nella città di Pescara. Poi il Giro di Campania dilettanti di prima categoria fu vinto dal romagnolo Borgini; nel 1984 Vandelli Claudio vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Los Angeles, sempre nella 100 km a squadre, mentre il fratello Maurizio vinse il campionato italiano per dilettanti di seconda categoria su strada.
Nel 1976 una bici Rauler portò alla vittoria Dino Torelli, anche lui reggiano, vincitore in un campionato mondiale svoltosi in Austria e ancora Mauro De Pellegrino alla Milano – Reggio Emila vinta per distacco. Nel periodo del 1977 la Rauler organizzò un gran premio per la categoria Allievi con arrivo al Parco di Roncolo nelle Terre Matildiche di Quattro Castella, nel secondo anno lo vinse Cassani.

Gunnar Asmussen

 

 

 

Con l’arrivo nella squadra, di Marco Pantani e di Paletti Michele Giacobazzi decise di adottare le bici di Luciano Paletti che era costruttore di bici.

Tra le tante squadre equipaggiate con le bici Rauler: Giacobazzi, Autotrasportatorì Napoli, Maltinti Lampadari, Top and Esmeraldo, SMEG di Artoni, Velo Club Reggio, CREI Gualtieri, VIBOR con Panizza che correva con bici Colner-Rauler. Numerosi anche i clienti, da tutta I’ Europa oltre che da Argentina, Stati Uniti e Australia.

Reclus:

“Una volta arrivò in officina il massaggiatore della pallacanestro Reggiana, per richiederci una bici per un giocatore della squadra. Il giorno dopo si presentò un gigante americano di 2,17 metri di nome Roosevelt Bouie, una volta prese le misure il telaio mostro risultava di 72 cm di altezza, per costruirlo la Columbus ci preparò dei tubi speciali rinforzati fuori misura.”

Ogni anno la Rauler portava delle novità alla fiera di Milano, nel 1985 proposero un telaio innovativo per quel tempo, con tubi del trapezio romboidali per rendere il telaio più rigido, era il modello “Sistem Profil“. Nel primo esemplare furono utilizzati tubi Columbus PL e passato il collaudo fu brevettato e applicato a tutti i telai dell’azienda reggiana.

 

Officina Rauler anni ’80

 

Alla fine del 1985 Raoul uscì dalla Rauler per aprire insieme al figlio Massimo un’azienda specializzata in stampi speciali per elementi meccanici commissionati da aziende automobilistiche della zona come la Ferrari.
L’uscita di Raoul coincise con l’entrata nella società di Mauro Govi, operaio esperto cresciuto in azienda. In quegli anni all’officina Rauler la il team era composto da sette persone e si costruivano fino a 200 telai al mese.

Il 1987 fu un anno di calma nel settore bici da corsa, una crisi che non risparmiò la Rauler. Colnago per aiutare gli amici Gozzi gli commissionò la costruzione di venti tandem ordinati da Russia e Cecoslovacchia.
Trovato il modello, un tandem anni ’50 prestato per alcuni mesi dalla Federazione Ciclistica Italiana di Forlì, iniziò lo studio e la preparazione di una apposita maschera e dei vari componenti necessari per assemblare i tandem; nel breve tempo di un paio di mesi, riuscirono ad evadere l’ordine dei tandem ordinati da Ernesto.
Il giorno che Reclus si recò a Milano a ritirare il materiale per costruire i tandem, alla Colnago vide che i telai pronti per la limatura, avevano un bel colore vivo con una lieve polvere bianca. Aldo gli spiegò che stavano provando una soluzione di acido solforico diluito in acqua calda con la particolare proprietà di togliere tutto il borace, i telai venivano poi risciacquati in una soluzione d’acqua e soda caustica che togliendo completamente le tracce di acido evitava l’ossidazione del telaio. Un sistema per accorciare i tempi di sabbiatura che fu adottato anche in Rauler.

Nel frattempo si era diffusa la voce che alla Rauler si era in grado di costruire tandem e cominciarono ad arrivare ordini da privati e anche persone non vedenti che avrebbero così potuto muoversi con l’aiuto di una guida. Tra i clienti vi fu anche Vittorio Adorni che ne volle uno per lui e la moglie. Grazie alla costruzione di tandem riuscirono a superare quel momento di difficoltà di mercato in attesa che si rimettesse in moto il lavoro nel settore bici da corsa.

 

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Tandem Rauler / Foto Kevin Kruger.

Vittorio Adorni nello stand Rauler alla fiera di Milano

 

Un importante incarico arrivò grazie a Claudio Toselli, ex corridore della Giacobazzi che nel frattempo era diventato rappresentante nel settore della Viner di Pistoia che in quel momento era alla ricerca di un nuovo costruttore per i propri telai. Fu trovato un accordo tra le parti per la fornitura di 50 telai grezzi al mese. Sempre nel 1987 la Rauler costruì anche 15 telai su misura per la squadra professionistica Viner “Scrigno”, in soli 4 giorni.

Nel 1988/1999 alla Rauler si cominciò a saldare a TIG, per acciaio e alluminio e a costruire telai in carbonio.
Tra i clienti in quegli anni nomi noti del settore bici corsa come Colnago, Viner, Corner, Somec, Chesini, Olmo, Bianchi, Cinelli, Raimondi, Neri, molti di questi si sposteranno in breve tempo verso il mercato cinese.

Alla fine del 1999 Reclus andò in pensione rimanendo come consulente vicino alla Rauler. L’azienda, rilevata dalla Beltrami, è ancora in attività nella costruzione di telai non standard e riparazioni di telai d’epoca, con clienti in Belgio, Francia, Germania, Danimarca, Inghilterra, America e Australia, ma questa è già un’altra storia.

Reclus:

“Tuttora sto istruendo due giovani che sembrano molto interessati ad apprendere il lavoro del telaista con la speranza che l’esperienza acquisita negli anni non vada dispersa.
Ci vorrà ancora molta pazienza perché così come è stato per me, è per loro un percorso duro ma se metteranno tutta la loro buona volontà non potranno che riuscire. Coraggio, “nessuno è nato professore” Ancora dopo 50 anni, vado tutte le mattine nella sede Rauler a lavorare. Se non ci vado ne sento la mancanza, non riesco a farne a meno.
Chissà per quanto ancora lo farò, ancora non è sera.”

Le congiuzioni Arabesque
A metà anni ’80 Raoul ha ulteriormente perfezionato la sua già ragguardevole abilità al pantografo, per i propri telai disegna e realizza le famose congiunzioni arabescate, ancora oggi tra le più belle mai realizzate.
 Colnago dopo averle viste di persona alla Fiera del Ciclo di Milano le commissiona per il suo nuovo modello, passato alla storia con il  nome di Colnago Arabesque, pensato per celebrare il trentesimo anniversario della fondazione Colnago.
Le prime 100 Colnago arabescate  erano quindi tutte realizzate a mano da Raoul Gozzi e richiedevano molte ore di paziente lavoro al pantografo, dato il successo sul mercato, qualche anno dopo però Colnago deciderà di semplificarne il disegno per poterle produrre in larga scala e a minor costo con la tecnica della microfusione.

Marastoni
Tra i fratelli Gozzi e l’altro grande maestro telaista di Reggio Emilia Licinio Marastoni è sempre esistito un rapporto di reciproca stima e collaborazione, per le sue pantografie Licinio si è sempre affidato a Raul e negli anni ’90, data l’età ormai avanzata Licinio chiese aiuto a Reclus per la costruzione dei telai, ovviamente usando la sua maschera.

 

Rauler Profile Sistem con congiunzioni arabescate

Rauler pista anni ’70 con congiunzioni arabescate

Colnago Arabesque 1984/85

 

Rauler PLUS
Presentato alla Fiera di Milano del 1984, l’anno che Campagnolo presentò il gruppo con i freni Delta. Il telaio presenta una modifica ai porcellini posteriori del telaio che altri hanno successivamente adottato solo molto più tardi con l’avvento del carbonio.

Rauler Plus

 

Rauler SISTEM PROFILE
Tra i modelli Rauler più importanti la “Speciale SL” e la “Profile” per il quale Reclus creò tubi con disegno originale a sezione romboidale per migliorare la rigidità complessiva della bici, la prima versione venne testata e brevettata nel 1985 con la squadra Giacobazzi e fu prodotto fino al 1995.

Collaudo della prima Rauler Profile

Profil Sistem con tubi ovalizzati brevetto Rauler. Nella foto un modello costruita per Neri&Renzo / Foto Frameteller

 

Reclus Gozzi nell’officina Rauler / Maggio 2020, Foto WoW Bike

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Rauler anni ’70 pista / Foto velospace.org

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Catalogo Rauler. Foto bulgier.net
Catalogo Rauler anni ’70 / Foto bulgier.net

 

Catalogo Rauler. Foto bulgier.net

Catalogo Rauler. Foto bulgier.net

Rauler pista anni ’70 arabescata / Foto Rory Masini via Fabio V.

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Rauler pista arabescata / Foto classicrandezvous.com

Rauler Special strada, 1978 / Foto Kevin Kruger.

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Rauler Special pista / Foto: Pista Mercato

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Rauler tandem 1980 / Foto Kevin Kruger.

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Dettaglio congiunzioni Rauler anni ’80.

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Rauler “Profil Sistem” 1988. Tubazioni Columbus ovalizzate disegnate e registrate da Rauler. Verniciatura bifacciale applicata a mano da Mario Martini / Foto Frameteller

     

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Rauler Strada anni 80 / Foto David La Valle – Slip Stream

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Rauler Crono. Foto biciretro.it
Rauler Crono / Foto biciretro.it

Rauler crono fine anni ’80 / Foto: Aldo Pavia

Catalogo Rauler 1978. Foto velociao.com
Catalogo Rauler 1978 / Foto velociao.com

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SUZZI

Cicli Suzzi / Biciclette a mano su misura / Imola, via del Fossato 21  / primi anni ’20 – anni ’80

Collaborazioni: Alpi / Peloso / Marnati / Pelà / Colnago / Patelli / Picchio

I Suzzi, padre e figlio, hanno venduto biciclette a ciclisti amatori e professionisti per oltre ’60 anni. Poche le informazioni che è stato possibile recuperare su questo noto marchio bolognese nonostante oggi sia molto apprezzato e ricercato dai collezionisti di bici da corsa d’epoca.
Diversamente dal figlio Alfredo che si limitò all’assemblaggio di telai costruiti da terzisti, Suzzi era conosciuto nel territorio per l’abilità nel saldare telai in acciaio, in particolare per la raffinata eleganza dei telai da passeggio. L’officina per l’assemblaggio si trovava a Imola, mentre il negozio era a Bologna in via del Fossato 21. Nella bottega di Bologna Alfredo offriva splendide bici assemblate con telai marchiati a proprio nome e costruiti da blasonati artigiani italiani, tra i quali Marnati, Alpi, Peloso, Colnago, Chiesa, Picchio, Patelli e Pelà. Abile meccanico, Alfredo segui per diversi anni anche il corridore Diego Ronchini.
I telai erano firmati con decals adesive o direttamente verniciate sul telaio, raramente veniva impresso anche l’acronimo AS sulla scatola del movimento centrale, lo stemma stemma araldico nei toni dell’azzurro ben si accostava al particolare viola dei suoi telai che li rendeva immediatamente riconoscibili.

Enrico Brizzi, proprietario insieme al fratello di una bici Suzzi, racconta:

Mi si è aperto il cuore nel trovare la scheda sul vostro sito sulla ditta Suzzi, un pezzo di storia cittadina.
Dopo lungo apprendistato ciclistico, mio fratello e io fummo ammessi, ormai adolescenti, a comprare due bici da lui, gioielli che conservo con gelosia e mi ripropongo di restaurare.
Il tratto distintivo del vecchio Suzzi, omone dalle mani a tenaglia e fervido bestemmiatore come da tradizione anarchica imolese, stava nel fatto che prima di cederti una delle sue bici ti faceva fare il giuramento: dovevi guardarlo negli occhi e stringergli la mano, promettendo che l’avresti trattata bene. “Perché a me mi puoi anche prendere per il culo che non m’importa, ma sulle bici c’è il nome del mio babbo, e con lui non si scherza!.

Alfredo Suzzi è scomparso nel 1998 all’età di 96 anni.

Suzzi corsa fine anni '40. Telaio per cambio Campagnolo a 2 leve costruito da Antonio Alpi. Foto Frameteller.

Bici marcata Suzzi del 1950/51 con il cambio Parigi Roubaix. Il telaio sembra essere un Testi.

 

 

Suzzi anni ’60, conservato. Telaio “Freccia” costruito alla Colnago. Foto Frameteller.

Dettagli di un telaio marcato Suzzi e costruito da Antonio Alpi.

 


 

Suzzi del 1968, conservato. Telaio costruito da Pelà.

 

Suzzi anni ’70, conservato. Telaio costruito da Peloso. Foto Frameteller

Suzzi primi anni ’70, conservato. Telaio costruito da Picchio.

 

 

Suzzi anni ’80. Telaio costruito da Marnati. Foto Troppebici

 

 


Suzzi anni ’70, conservato. Telaio costruito da Marnati. Foto Legendary Bike.

     

 

 


Suzzi anni 70, conservato. Telaio costruito da Peloso. Foto Katsarasj.

Suzzi, anni ’70, conservato. Telaio Peloso.

   

 


Suzzi,  fine anni ’70, conservato. Costruttore non identificato.


VITALI

Diego Vitali / Biciclette su misura / Russi (Ravenna), Italia / 1974 – fine anni ’90

Ha collaborato con: Colnago, Chiorda, G.S. Salvarani, Martini Lugo

Fonti: Federico Vitali, intervista / “Bici come prima” Il foglio, 2008 di Piero Vietti / “Viaggio di studio”, 2009 Lucaconti.blogspot.it

Lungo la via Emilia, da Piacenza a Rimini, sono tanti i nomi famosi che hanno fatto shopping di idee e talenti nelle piccole officine dei maghi dell’acciaio, Cino Cinelli, Francesco Moser, De Rosa, Tullio Campagnolo, Shimano, Ernesto Colnago, solo per nominarne alcuni.
Colnago, geniale imprenditore, in particolare fu capace di recepire, e interpretare in scala industriale, le migliori intuizioni e scovare i più talentuosi  artigiani per dare forma a quelle innovazioni tecniche che hanno reso il suo marchio famoso nel mondo, tra le sue “scoperte” i fratelli Gozzi (Rauler) di Reggio Emilia per l’ideazione delle congiunzioni dell’Arabesque, Lino Messori di Modena per i primi tubi piegati (a mano), Martini di Lugo per nuove tecniche di verniciatura, la Ferrari per i nuovi materiali sintetici, fino ad inaugurare a Bologna un marchio parallelo: Colner.

All’occhio infallibile di Ernesto non potevano quindi sfuggire le capacità di Diego Vitali,anche se nascoste in una piccola bottega di Russi, piccolo paese della Romagna tra Ravenna e Lugo.
Il costruttore romagnolo riassumeva infatti tutte le qualità e le capacità dei migliori costruttori artigiani nell’era delle bici in acciaio, passione, competenza, pensiero laterale, ricerca continua della perfezione e dell’innovazione in ogni dettaglio, compresa l’inossidabile volontà di rimanere l’unico autore delle proprie creazioni, rifiutando così di delegare a terzi ogni tipo di produzione, e di fatto, anche ogni possibilità di allargamento dalla dimensione artigiana a quella industriale.

 

vitali ritratto
Diego Vitali. Foto: archivio di famiglia.

Diego Vitali – Foto archivio di famiglia

 

Come anche Marastoni a Reggio Emilia, era capace di stare con la schiena piegata sul telaio con la lima per giorni, fino alla perfezione di congiunzione, ogni dettaglio, forse proprio per questo nella seconda metà degli anni ’80, Colnago gli affidò il delicato compito di costruire due prototipi in acciaio di un modello sperimentale, la Carbitubo, paradossalmente proprio il tipo di innovazione che portò da lì a poco al precipitoso declino delle bici in acciaio.

Oggi come ieri, ma ancora di più a quei tempi, per un piccolo artigiano in un piccolo paese di provincia, ogni nuova commissione era vitale per mantenere lavoro e famiglia, ma per artigiani come Vitali era a volte anche l’agognata possibilità di iniziare una nuova sfida. Nella costruzione di ogni telaio, quando il cliente era consenziente, immaginava e metteva in pratica sempre qualcosa di nuovo, per andare oltre al già fatto, per la bici più reattiva, leggera, veloce, moderna. Un approccio incompatibile con la produzione in serie, anche se di altissimo livello, di marchi ben più famosi.

Vitali: “Per fare le angolazioni di un telaio bisogna tenere presente che i corridori stanno sui pedali non sulla sella, questa al massimo la si accarezza, se ti metti a sedere… è finita.”

 

disegno telaio
Vitali disegno tecnico per bici da corsa, fine anni ’70 / Foto: The Bike Place

 

Diego Vitali, nasce a Russi nel 1924, già da piccolissimo è animato dalla passione per velocità e bicicletta, ma oltre a usarle vuole anche costruirle, appena finite le elementari comincia quindi a lavorare come garzone presso un officina meccanica del paese, dove in pochi anni riesce a costruire il suo primo telaio.
Compiuti i diciotto anni viene arruolato nell’esercito e mandato al fronte dove è fatto prigioniero per due anni dall’esercito tedesco, nel campo impara a saldare ma le condizioni sono molto difficili. Finita la guerra torna al suo paese natale ma è malato, il suo fisico non è in grado di lavorare; dovrà attendere tre anni di riposo e cure prima di poter tornare in officina.

Nel ’68 Luciano Pezzi lo chiama come meccanico alla Salvarani/Chiorda dove rimane fino al ’73 per costruire tutti i telai della squadra di Felice Gimondi, seguendola come meccanico in tutte le gare più importanti, Giro, Tour, Parigi-Rubaix, Fiandre.

 

tour de france1
Vitali sull’ammiraglia segue Gimondi al Tour de France del 1968. Sulla foto il ringraziamento di Gimondi a Vitali.

 

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Nel ’73, quando la Salvarani chiude, sull’onda anche della reputazione acquisita Vitali acquista l’attrezzatura necessaria e apre a Russi la propria bottega artigiana per la costruzione di biciclette da corsa. Dalla sua prima bicicletta costruita a 11 anni, e fino alla fine della sua carriera di artigiano, Diego Vitali ne ha costruite 3.000, tutte da solo, tutte a mano, tutte perfette e ognuna con una propria anima.

Oltre alla cura maniacale del dettaglio una delle caratteristiche dei suoi telai sono le geometrie molto aggressive. Costruiti con una maschera di riscontro da lui disegnata, i telai avevano il carro posteriore molto corto e la forcella quasi verticale per essere più reattivi e scattanti, per questo erano richiesti dai corridori anche se non esattamente alla portata delle capacità di tutti.
Tale era la sua attenzione al dettaglio che arrivò a richiedere a Martini di Lugo di preparargli una vernice più sottile per rendere il telaio più leggero.

Vitali: “Questo mestiere è mi ha dato tante soddisfazioni e nonostante la fatica fosse tanta mi son divertito. La gente veniva qua, io gli prendevo le misure e gli facevo la bicicletta. Certe volte si stava a discutere per uno o due millimetri di differenza: perché se sbagli anche solo di un millimetro è tutto da rifare.
Tutte le bici che ho fatto le facevo come se fossero per me, quindi dovevano essere perfette. Sono stato appassionato da sempre, correvo anche, da giovane: questa passione ha sempre fatto sì che la fatica fosse in secondo piano. Oggi a mano le bici non si possono più fare, quelle che fanno in serie vanno benissimo. Il problema però è la bicicletta deve avere un’Anima.”

 

Nonostante mezzi e strumenti artigianali, spesso costruiti da solo, riuscì a sperimentare nuove soluzioni lungo tutta la sua carriera di costruttore, come prototipi di telai crono alleggeriti realizzati insieme al nonno di Alan Marangoni, ruote lenticolari realizzate con la tela delle vele per la nautica, o uno dei primi telai crono in acciaio interamente carenati come la “Spada” di Endurain, progetto poi tecnicamente realizzato ma abbandonato a causa del peso.

 

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Diego Vitali durante un intervista nel 2009 / Lucaconti.blogspot.it

 

In diverse occasioni, passione condivisa e profondo legame affettivo, rendevano “cavie” privilegiate delle bici molto performanti e impegnative bici Vitali, i sui nipoti e in particolare Federico, dilettante per 10 anni e poi professionista, quando il nipote da piccolo era in adorazione per Bugno gli costruì una bici identica, con gli stessi colori e adesivi; poi quando l’attenzione si spostò sulla Colnago di Fondriest gliene fece una con gli stessi tubi schiacciati a forma di stella, ovviamente a mano perché non esistevano in quelle misure. Alla vigilia di una gara in pista per il campionato italiano Federico ruppe la bici e il nonno gliene costruì una (perfetta, ovviamente) lavorando per 3 giorni senza pause, il telaio era color argento metallizzato, l’unico colore disponibile dal verniciatore Mercedes del paese assoldato d’urgenza.

 

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La bellissima bici da pista realizzata da Vitali per il nipote Federico.

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La reputazione di Vitali arrivò ben oltre i confini di Russi, molti i suoi clienti all’estero, in particolare da Germania e Lussembrugo, i quali si presentavano di persona nella sua officina per chiedergli “qualcosa di speciale”. Oltre alle bici in acciaio saldate con la tecnica della saldobrasatura fu uno dei primi artigiani in Italia a saldare con la tecnica a TIG, costruendo splendidi telai, anche in alluminio.
Chiuse la bottega, come tutti i suoi colleghi rimasti ancora in attività, con l’arrivo del carbonio.
A novant’anni girava con una Graziella con mozzi Campagnolo Super Record e p
urtroppo ci ha lasciato quest’anno (2017). La famiglia, i tanti amici ed estimatori mantengono viva l’anima dell’uomo e delle sue bici.

 

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1949 Vitali strada. Foto: Troppebici

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Vitali strada fine anni ’50.

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Vitali fine anni ’50 con nodo sella Georg Fisher

 

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Vitali strada anni ’70.

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Vitali strada metà anni ’80. Foto: Archivio di famiglia

 

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Vitali strada fine anni ’70. Foto: The Bike Place

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Vitali telai saldati a TIG / TIG welded 80s Vitali road frames

 

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Vitali telai saldati a TIG / TIG welded 80s Vitali road frames

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