CICOGNANI
CICOGNANI
Forlì 1922 – 1962
Fonti: Camera di Commercio Forlì / Classic Randezvous
Palmarès: 1924 Gran Coppa di Paisley (Inghilterra) / 1925 Campionato Romagnolo Allievi / 1931 Campionato Emiliano Dilettanti (…)
Della Cicognani Romeo di Forlì, attiva dal 1922 al 1962, purtroppo si hanno poche notizie, dal catalogo dei primi anni ’30 dove sono evidenziati i successi agonistici già a partire dal 1924 in Inghilterra e dall’unico esemplare di bici di cui abbiamo immagini è però possibile intuire che l’azienda fosse in possesso di un un alto livello tecnico.
La bicicletta presentata in questa pagina è un modello da pista, nelle decals compare la scritta “Tipo Montherly 1933” e sul tubo sterzo è pantografato il numero di serie 1310, facendo due conti la produzione dell’officina nella prima decina d’anni di attività non superava quindi le 250 biciclette all’anno.
Il telaio è quello di una bici professionale costruito con grande cura dei dettagli, saldato con tubi in acciaio Columbus completamente cromati e serie sterzo è integrata nel telaio. Il movimento centrale è marcato Bollea Saluzzo mentre il mozzo anteriore riporta il marchio dell’officina romagnola.
In Francia a Montherly nel 1933 si corsero i Mondiali su strada e gli unici due titoli furono assegnati al francese George Speicher tra i professionisti e lo svizzero Paul Egli nei dilettanti, sfortunatamente il catalogo in nostro possesso con l’elenco dei piazzamenti ottenuti dal marchio si ferma all’anno precedente e non possiamo sapere se uno dei due atleti corse in sella ad una bici Cicognani.
Se avete notizie di questo interessante e misterioso marchio potete scrivermi a info@frameteller.it
Catalogo Cicognani, primi anni ’30
Subiamo (Arezzo) / Gran premio Mercato Saraceno / Criterium Dilettanti Camaldolesi / Circuito della Valle del Secchio (Lucca) / Giro della Cartagena (Gallicano) / Gran Premio Coreglia antelminelli / Coppa Togneri (Barga) / Coppa Equi Fornaci di Barga / Campionato Toscano Indipendenti / Coppa Verzam / Circuito del Comune di Bagni di Lucca 1925 Circuito dei tre fiumi (Forlì) / Omnium Dilettanti (Ravenna) / Targa Cicognani / Coppa Antella (Firenze) / Coppa Landucci (Lucca) Coppa Gabriella Zucca (Firenze) / Livono-Volterra e ritorno 1927 Coppa Fratelli Mussolini S, Marino in Strada / Coppa Faticar non Fietar (Bologna) / Coppa Comune di Savignano / Coppa Bernardi-Godo (Ravenna) / Coppa Città di Rocca San Casciano 1928 Coppa Babini (Fustigano) 1930 Bologna-Pianoro e ritorno / Bologna Bagni della Porretta / Campionato Vittorie: Romagnolo Allievi / Giro del Monte Trebbio (Dovadola) / Coppa Leardo Guerra (Borgo Buggiano) / Coppa Gavioli (Parma) Coppa Cerri (Pistoia) / Criterium Tricolore (Bologna) / Circuito Giardini Margherita (Bologna) 1931 Firenze-Figlino Valdarno / XX Giro dell’Emilia e Campionato Emiliano Dilettanti / Giro del Mugello / Coppa Città di Cesenatico / Eliminatoria Regionale (Coppa Italia) / Criterium d’apertura (Rimini( / Campionato Romagnolo Allievi / Criterium Tricolore (Bologna) 1932 Coppa Ettore Panini (Forlì) Selezione Emiliana per il Gran Premio dei giovani di velocità / Giro della Provincia di Ferrara.
Villa Amleto Stayer
Villa Amleto Stayer
Condition: Preserved
Framebuilder: /
Frame number: /
Frame/Fork: /
Lugs: Nervex
Handlebar and stem: Cinelli steel
Cranset: Magistroni
Hubs: Fratelli Brivio
Saddle: /
Rims: /
Ph. Frameteller
Villa Amleto pista
Villa Amleto Pista
Condition: Preserved
Framebuilder: Brambilla / Milano
Frame number: 096 (Brambilla numbering)
Frame/Fork: /
Lugs: BSA
Handlebar and stem: Cinelli steel pista
Cranset: Magistroni
Hubs: SIAMT Super
Saddle: Perjohon
Handebar/Stem: Cinelli
Rims: Fiamme brevetto Longhi red label
Ph. Frameteller
ORTELLI
ORTELLI
Faenza 1921 – 1990
Cicli Ortelli Faenza / Biciclette su misura / Faenza, Italia / 1921 – 1990
Fonti: intervista a Vito Ortelli / troppebici.wordpress.com / “sei chili e mezzo di biciletta” di Luigi Severi / “Vedrai che uno arriverà. Il ciclismo fra inferni e paradisi” / museodelciclismo / Ciclisti Resistenti / Il ciclismo degli inossidabili / Campioni del ciclismo di Romagna, di Ivan Neri, Bacchilega Editore. / Artigiani e Bicilette in Romagna nel ‘900, di Ivan Neri, W. Berti Editore
Collaborazioni: Cino Cinelli / Umberto Patelli / Aride Rivoli / Antonio Alpi
Palmarès: Campione italiano allievi / 14 vittorie da dilettante / 2 volte campione italiano di inseguimento su pista / Campione italiano su strada / Tutti i risultati
Invenzioni: primi anni ’40 Lazzaro Ortelli inventa una tecnica per ottenere la marca in rilievo direttamente sull’acciaio del telaio / fine anni ’40 Lazzaro Ortelli crea il primo tubo in acciaio a sezione stellare /
LAZZARO ORTELLI
Lazzaro Ortelli nacque nel 1892 a Torre di Ceparano, nei pressi di Faenza, la sua storia come artigiano costruttore cominciò molto presto, a soli 6 anni la famiglia lo. mandò a fare l’apprendista alla Marabini di Reda, piccola officina specializzata in riparazioni meccaniche che, dopo la seconda guerra mondiale, crebbe fino a diventare azienda produttrice di telai, prima con il marchio Maga e poi Alma. Siamo nel 1898, in questi anni ragazzini analfabeti lavorano in cambio di vitto e alloggio e la bici è ancora considerata un mezzo di lusso per i pochi che se la potevano permettere.
Dalla Marabini oltre a Ortelli uscirono eccellenti maestri costruttori come Cicognani, Tassinari e Viroli, quest’ultimo fu il meccanico di Moser ai tempi del record dell’ora a Città del Messico. Lazzaro venne assegnato alla riparazione delle ruote.
A quattordici anni Lazzaro aveva quindi già imparato a costruire le ruote e le nozioni base di meccanica e lavorazione dei metalli. Durante la guerra in ragione della sua esperienza venne quindi assegnato all’officina militare come operaio specializzato per la riparazione delle armi. In questo periodo non approfondì l’arte dell’assemblaggio dei metalli, in cui aveva già esperienza, ma imparò a leggere e a scrivere insieme alla basi della matematica, nozioni fondamentali per la gestione della bottega che aprirà negli anni Venti a San Giovannino e nel 1936 a Ponte delle Grazie a Faenza.
Tra i primi clienti di Ortelli vi fu il grossista Zanazzi di Bologna il quale rimase impressionato a tal punto dall’abilità e dalla passione di Lazzaro da commissionargli una bici per la Fiera del Ciclo di Milano. A quel tempo la Fiera riservava un premio per il miglior telaio in esposizione e così Lazzaro costruì il telaio ma non lo firmò, convinto di non poter competere a soli 22 anni con gli altri ben più famosi ed esperti costruttori italiani. Eppure la sua creazione vinse il primo premio e la giuria non sapendo il nome dell’autore lo battezzò Telaio Romagna.
Nei primi anni ’40 Lazzaro riuscì a piegare verso l’interno la sezione di alcuni tubi in acciaio, fino a dargli una forma a stella molto simile a quella dei tubi lanciati da Colnago quarant’anni dopo e prodotti poi da tanti marchi. L’idea di irrigidire il tubo con le pieghe per scaricare meglio lo snervamento del ciclista sui pedali era un’idea rivoluzionaria ma purtroppo non praticabile al tempo, il tubo così rigido infatti tendeva a crepare a causa delle sollecitazioni causate delle strade dissestate di allora.
Lazzaro fu un abilissimo artigiano costruttore di biciclette, il suo amore per le bici comprendeva tanto la meccanica quanto le competizioni e nel 1926 riuscì nell’organizzare a Faenza una corsa, la mitica Coppa Ortelli, nella quale esordì a 13 anni Glauco Servadei.
Vito Ortelli: “Nonostante il suo modesto negozio di meccanico, Lazzaro fu fin dagli anni venti un maestro tra gli artigiani delle due ruote, un uomo semplice, serio e orgoglioso che, oltre all’obiettivo di sfamare la seppur poco numerosa famiglia, dato che sono figlio unico, metteva nel lavoro la passione e l’arte per un mezzo, la bicicletta, che avrebbe in seguito regalato grandi soddisfazioni alla nostra famiglia.Era uno di quei fabbri talmente abili con le mani da riuscire a creare foglie in ferro che sembravano vere fin nei dettagli delle venature. Quando sperimentavo nuove soluzioni in officina era poi sempre lui quello in grado di realizzarle”.
VITO ORTELLI
Nasce a Faenza nel 1921 in un incubatoio dell’azienda Marabini dove lavorava il padre. A soli 6 anni Vito è stato probabilmente il più giovane ciclista dei suoi tempi, nel 1927 infatti le bici per i bambini non erano ancora state nemmeno immaginate ma il padre, riducendo i cerchi e adattando gomme e camere d’aria, riuscì a costruirgli una piccola bici, lasciandola però volutamente senza freni per costringerlo a non andare troppo forte, a giudicare da come andarono poi le cose, uno stratagemma decisamente poco riuscito. Dalle prime scorribande con quella piccola bici Vito tagliò nell’arco della sua carriera molti traguardi diventando uno dei più importanti campioni nella storia del ciclismo, l’unico nell’immediato dopo guerra in grado di competere allo stesso livello con Coppi e Bartali.
Nel 1938 Vito lasciò l’officina dove lavorava con il padre e dove già a 15 anni saldava i telai, per intraprende una carriera di corridore che lo portò ad essere ben quattro volte campione italiano: due su strada, da allievo e professionista e due su pista, battendo entrambe le volte Fausto Coppi. Al Giro d’Italia ottenne un terzo e un quarto posto, vestendo la maglia rosa per un totale di 11 giornate. Durante la guerra, come anche Bartali e altri ciclisti, collaborò con la Resistenza, mentre nel 1948 recitò se stesso nel film “Totò al Giro d’Italia” insieme ai campioni dell’epoca. Nel 1952 si ritirò dalle competizioni a causa di gravi problemi fisici alla gamba rimanendo però vicino al mondo del ciclismo e impegnandosi, insieme agli amici Magni e Cinelli nella difesa dei diritti sindacali dei corridori fondando l’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani, della quale Ortelli fu vice-direttore per oltre vent’anni.
Il ritorno in officina.
Intorno alla metà degli anni ’50, con un recente passato da grande campione alle spalle, Vito tornò a Faenza per lavorare di nuovo con il padre nell’officina ricostruita dalla distruzione dei bombardamenti grazie ai soldi guadagnati grazie alle sue vittorie sportive.
Furono molti i corridori famosi che fondarono un marchio di biciclette a proprio nome, molto più rari i campioni come Ortelli che le bici le costruirono veramente e con le proprie mani. Gli artigiani più abili si costruivano da soli anche gli attrezzi dell’officina, come il piano di riscontro per l’assemblaggio del telaio che Vito ricavò dallo sportello di un autoblindo tedesco della seconda guerra mondiale abbandonato vicino a casa.
Vito Ortelli: “L’officina si trovava lungo le mura di Faenza mentre il negozio all’angolo del Ponte alle Grazie fino a quando fu bombardato e lo dovemmo trasferire poco più avanti. Le bicicletta venivano assemblate utilizzando una fucina a carbone per scaldare i tubi d’acciaio e poi effettuare la saldatura. Allora tra artigiani c’era stima e rispetto, mio padre e Guerra di Lugo erano i più abili e si fabbricavano da sé i pezzi mentre gli altri erano ancora arretrati e compravano tutto già montato. Come tubi usavamo gli italiani Columbus e in parte minore anche i Reynolds, che arrivavano da Coventry in Inghilterra tramite la Legnano, e i Falk.”
V.O: Le pipe più particolari le facevamo fare ad un bravissimo artigiano di Bologna che riusciva a costruire stampi personalizzati su nostro disegno, così potevamo creare le congiunzioni come volevamo, altre congiunzioni e le pipe le compravamo dall’amico Cino Cinelli, correvamo insieme alla Bianchi da Ragazzi ed eravamo molto amici, a me e a pochi altri (Marastoni) permetteva di usare i componenti speciali in ghisa malleabile che erano più resistenti, bisognava saperle lavorare in quanto la ghisa a differenza della lamiera quando viene scaldata troppo rischia di spezzarsi facilmente durante la lavorazione ma era un ottimo materiale, questi pezzi venivano prodotti in Svizzera (Georg Fischer).
V.O: Le Congiunzioni che oggi non vengono più utilizzate erano a mio parere anche un bell’ornamento del mezzo, anche se non lasciavano vedere se effettivamente la saldatura era fatta a regola d’arte oppure no, i bravi artigiani prima di saldare i tubi dentro le pipe ne smussavano le estremità in modo che che appoggiassero tra loro dentro la congiunzione per far si che il triangolo principale da cui era costruito il telaio fosse effettivamente un tutt’uno, altri per impiegare meno tempo smussavano la tubatura con un taglio netto e la incastonavano senza far coincidere i tubi ottenendo all’insaputa del cliente un prodotto di qualità inferiore.
Per la cromatura si immergeva prima il telaio nel rame per una maggiore protezione, il rame è infatti il materiale che entra meglio nei pori del metallo e veniva utilizzato per primo, poi lo si immergeva nel Nichel per un ulteriore protezione al deterioramento fino a che non prendeva un colore bianco intenso e infine il bagno nel cromo che dava un bel colore alla bicicletta. Dopo la guerra molti hanno cominciato a fare un unico bagno al cromo lucido, procedimento sicuramente inferiore al vecchio ma meno costoso. La verniciatura si svolgeva in tre fasi: prima si apportava del Minio che è Ossido di Piombo per preparre il telaio al primo strato di vernice al quale, con una tela fine, si applicava il secondo strato, in genere un colore nero perché più resistente alle alte temperature.
All’inizio facevo verniciare e cromare da Cicognani e Cimatti di Faenza, poi quando loro si dedicarono ad altri settori andai da Leoni. Era un grande artista, faceva filettature e disegni a mano libera direttamente sui telai dopo averli verniciati, erano delle opere d’arte. Un altro grande artista era Gino Cornazzani di Castelbolognese, faceva delle incisioni splendide e spesso mi servivo di lui per abbellire i telai, sempre per ragioni estetiche sono stato il primo in Italia ad imprimere sul tubo il mio nome in rilievo.
V.O: Ho imparato a saldare all’età di quindici anni ma mi sono dedicato alle corse e nel frattempo ho curato la parte commerciale dell’azienda, a fare l’artigiano ho cominciato solo quando ho appeso la bici al chiodo. Quando ero professionista oltre alle nostre biciclette vendevamo anche quelle delel grandi case per cui correvo in quanto mi facevo pagare in biciclette.
Ho imparato moltissimo osservando mio padre mentre lavorava, ma mi creai ugualmente da solo un piano di riscontro che in seguito tutti mi invidiarono, lo realizzai utilizzando un pezzo di un’autoblinda tedesca che durante la guerra era rimasta incidentata presso casa mia. Portai a casa la lamiera e con un goniometro prestatomi da mio cucino Germano che frequentava studi scientifici iniziai a tracciare un modello di telaio. Apportai così una importante novità rispetto al metodo di mio padre, il mio merito fu infatti quello di progettare il telaio in base all’inclinazione de quindi all’ampiezza delle angolature, che pur lasciando inalterate le misure di lunghezza consentono di plasmare a piacimento la posizione in sella del corridore. Con questo stratagemma riuscivo a valorizzare al meglio le attitudini di ognuno: portando il velocista a sfruttare ancor di più il proprio spunto veloce e lo scalatore a trarre il massimo da una posizione che gli consentisse la massima redditività nello scatto.
Ho avuto ordinazioni da tutto il mondo, da Stati Uniti, Giappone e tanti altri paesi, sapevo di essere valido nel mio lavoro ma ugualmente non ebbi il coraggio di provare ad ingrandirmi. Oltretutto, negli anni ’50 il mercato della bicicletta registro una vera e propria involuzione per l’avvento del motorino.” (1).
IL SALOTTODELLE DUE RUOTE
Vito Ortelli: Grazie alla mie imprese agonistiche la bottega Ortelli, già frequentata da parecchi appassionati del mondo delle corse, divenne più non solo un ritrovo per gli amanti della bicicletta ma una sorta di salotto per sportivi, addetti ai lavori e appassionati“
Nell’arco di sessant’anni nell’officina Ortelli sono usciti più di 5.000 telai e oltre agli amici di sempre come Servadei, Cinelli, Magni e Roncni passarono anche giovanissimi garzoni i quali una usciti da scuola Ortelli fecero poi cose importanti come Aride Rivoli che passo come meccanico alla Salvarani o Antonio Alpi che diventò un abilissimo artigiano.
Vito fu per lungo tempo amico anche di Giuseppe Ambrosini, giornalista e direttore della Gazzetta dello Sport nonché autore nel 1950 del famoso libro Prendi la bicicletta e vai, nel quale molti sono i suggerimenti di Ortelli per le pagine su geometrie e misure dei telaio.
Tante le tante amicizie nate negli anni eroici delle corse e continuate nei decenni successivi, quella con Cino Cinelli è stata forse la più intensa, si conobbero quando correvano insieme alla Bianchi e continuarono a frequentarsi e a collaborare fino alla scomparsa di quest’ultimo nel 2001.
Entrambi entrarono nel mercato delle biciclette al ritiro dalle competizioni sportive, con la stessa passione e visione innovativa ma con approcci molto diversi. Cino mosso da un autentico spirito imprenditoriale, supportato dai fratelli e in particolare dall’esperienza nel commercio a livello internazionale della moglie era destinato a costruire una grande azienda.
Cino prendeva molto sul serio i consigli tecnici di Vito e lo consultava spesso sui temi più importanti che riguardavano la costruzione del telaio. Le congiunzioni in ghisa malleabile prodotte dalla Fisher spesso le ordinavano insieme, anche perchè il quantitativo minimo era di 400 pezzi e Ortelli non produceva più di 100 telai all’anno. Oggi non è raro trovare nelle bici di Ortelli le stesse congiunzioni e componenti che usava in esclusiva la Cinelli, come i famosi forcellini posteriori con la vite passante usati per il modello Super Corsa.
Anche Tullio Campagnolo ebbe con Ortelli una lunga collaborazione, cominciata quando nel 1939 Lazzaro montò sulla bici di Vito il primo cambio Campagnolo, anche se non era allora molto diffuso. Quell’anno Vito vinse 7 gare e il titolo di Campione Italiano Allievi consentendo a Tullio Campagnolo di ricevere il suo primo riconoscimento agonistico. Da allora Ortelli ha sempre montato componenti Campagnolo, fiducia che Tullio ricambiò sempre come quando gli reglò 100 gruppi per il titolo di Campione Italiano su strada del 1948 o con forti sconti sugli ordini dell’officina negli anni a seguire.
Ortelli ha sempre dedicato grande attenzione anche ai dettagli estetici, come il disegno dei suoi bellissimi fregi, l’invenzione del marchio in rilievo sul tubo diagonale (ripresa poi dal giovane garzone Antonio Alpi) e le elaborate pantografie su telai e componenti, vere e proprie sculture in acciaio che affidava ad artisti come il verniciatore Leoni e il maestro incisore Gino Cornazzani.
Negli anni ’80, data l’età ormai avanzata, si fece aiutare nell’assemblaggio dei telai da Umberto Patelli di Bologna.
Vito smise di saldare quando terminò la scorta dei tubi.
LA BICICLETTACHE PESAVA 6.5 Kg
Nel 1946 Ortelli da vincitore del Gran Premio di Nizza può recarsi a fine gara in visita nelle officine del costruttore Urago, italiano emigrato in Francia. Qui la sua attenzione cade su un paio pedivelle in alluminio a quel tempo non prodotte in Italia e una campionatura di tubi Vitus del 1939 con uno spessore di appena 3/10, mai visti prima e ancora oggi mai più costruiti.
Ortelli riesce a convincere Urago a dargli le tubazioni che porta con se a Faneza per costruirsi una bici da crono che, una volta finita e montata, pesa solo 6,5kg mentre il telaio nudo 1,450 kg. L’intenzione è quella di usarla per battere il record dell’ora di Coppi ma purtroppo il tentativo non verrà mai effettuato.
Pochi anni più tardi il danese Ritter gli chiede il telaio per tentare lui di battere il record e Ortelli acconsente a condizione che sul telaio rimanga visibile il proprio nome ma, essendo Ritter nella squadra Coppi Fiorelli, l’accordo sfuma.
L’abilità di Ortelli come costruttore diventò sempre più nota nel settore e a lui si rivolse anche Proietti, D.S. del corridore Baldini, per alleggerire il peso della bici da usare nella crono del Gran Premio di Forlì in programma per il giorno seguente. Ortelli da esperto costruttore sapeva bene che è molto più importante alleggerire le parti rotanti piuttosto che il telaio e gli montò una coppia di cerchi a 36 raggi Scheeren, almeno 280 gr più leggeri di quelli a 40 già montati sulla bici. Il giorno dopo Baldini vinse la gara.
IL BINDADEI DILETTANTI
Ortelli, atleta possente e completo, tanto nelle salite quanto negli sprint, solo problemi di salute e oscure forze contrarie poterono impedirgli di divenire un Campionissimo. A 10 anni, con una bici costruita dal padre ma senza freni e cambio Vito andava seguiva i coetanei corridori, riuscendo a staccarli in salita.
La carriera di campione cominciò nel 1938 quando, superata la diffidenza del padre, si schiera nelle file della Faenza Sportiva con la quale subito mostrò tutta la sua forza con due vittorie e undici piazzamenti. L’anno successivo intensificò la preparazione fisica e il padre gli montò sulla bici il primo cambio Campagnolo nonostante fosse ancora poco diffuso, vinse 7 gare e titolo di campione italiano. Tullio Campagnolo riscosse quindi il suo primo riconoscimento agonistico insieme a Ortelli.
Nel 1940, passato ai dilettanti sempre con la Faenza Sportiva, vince 14 corse su 17, sgretolando la resistenza degli avversari arrivando undici volte solo al traguardo. Grazie a questi successi il commissario tecnico Alfredo Binda gli assegna il soprannome Binda dei dilettanti. A Chiasso si corre per selezionare gli azzurri per le Olimpiadi di Tokyo e Ortelli si impone con un distacco di 6 minuti sul secondo, ma le Olimpiadi saltano a causa della guerra. Nello stesso anno un’impresa ancora ineguagliata: Ortelli e Magni vengono convocati, alla gara a coppie di apertura del Giro della Provincia di Milano, è una gara per soli professionisti e Magni e Ortelli sono gli unici dilettanti ammessi e vincono sia le due gare su pista che la cronometro classificandosi primi assoluti, in gara c’erano campioni come Coppi e Bartali, il quale non prende bene la sconfitta.
La notorietà di Ortelli cresce e, nonostante ancora corra per la Faenza Sportiva, la Bianchi gli concede in uso una loro bicicletta.
Nel 1941, a guerra ormai alle porte, Ortelli pass alla A.S. Forlì, dove nonostante il servizio militare, vince 12 gare tra cui le Coppa Stupazzini, Malatesta, Paolucci, Girolomi, Coppa Figli del Duce, Pasini e Arcangeli ed il prestigiosissimo Astico Brenta.
Nel 1942 la Bianchi gli offre la maglia da Indipendente per il Giro d’Italia, ai dilettanti però è vietato dal regolamento ricevere denaro e la cosa viene scoperta dalla Federazione (a detta di Ortelli in realtà era già tutto pianificato dalla Bianchi per farlo diventare professionista) che lo costringe di conseguenza a passare di categoria.
Esordisce quindi a vent’anni come professionista indipendente per la Bianchi, nel 1942 al Giro d’Italia le maglie maglie in palio sono due: Maglia Rosa per i professionisti e Maglia Bianca per gli indipendenti fra i quali Ortelli.
La prima tappa la vince Leoni, Ortelli essendo indipendente non può partecipare ma vince la terza tappa del Giro di Toscana con 2.33″su Bartali. Dopo la terribile corsa gli amici Vicini e Servadei, come era loro abitudine fare di solito, costringono Ortelli a tornare con loro a casa in bicicletta.
Dopo questa vittoria la commissione tecnica passa Ortelli a professionista togliendogli la Maglia Bianca senza però dargli la Maglia Rosa a scapito del più rinomato Leoni, le proteste di Ortelli cadono nel vuoto e finirà il Giro ottavo in classifica.
Nel 1943 il giro d’Italia venne interrotto dopo solo quattro gare e la Maglia Rosa venne assegnata a Servadei, Ortelli vince, in coppia con Cino Cinelli il GP Enrico Villa davanti al pubblico del Vigorelli. Dal 20 settembre arriva lo stop da Roma a tutte le competizioni e molti corridori vengono inviati al fronte, Ortelli viene spedito in Croazia a Kocevja, Coppi in Africa. Dopo la resa di Badoglio Ortelli fugge dall’esercito e dai rastrellamenti, una volta tornato a casa collabora con la Resistenza sistemando le armi del gruppo di Silivo Corbari.
Finita la guerra, Coppi sceglie di correre con la Bianchi, Bartali con la Legnano mentre Ortelli lascia la Bianchi per la Benotto, ed è subito sfida con i due rivali: Ortelli vince in Toscana battendo Bartali nel circuito di Galluzzo e alla Milano-Torino dove arriva prima staccando anche Coppi.
Alla semifinale del campionato italiano di inseguimento su pista del 1945 all’Autovelodromo di Torino, nonostante il lungo viaggio seduto su un camion per il trasporto di maiali, Ortelli vince staccando Coppi di oltre 60 metri, al tempo di record: 6’23” e alla media di 46,600 km/h, in finale batte facilmente Leoni laureandosi campione italiano su pista.
Al velodromo Pacciarelli di Fiorenzuola vince anche la sfida successiva con Coppi, sempre nell’inseguimento su pista.
Con i soldi guadagnati nelle corse Ortelli aiuta il padre a ricostruire l’officina distrutta dai bombardamenti, il quale nel frattempo continua a lavorare in una bottega di fortuna.
Nel 1946, quando già i problemi fisici cominciano ad emergere, bissa il successo della Milano Torino, vince il Trofeo XX Settembre e una tappa del suo primo Giro d’Italia, nel quale arriva terzo dietro a Bartali e Coppi, vestendo per 5 volte la Maglia Rosa, Giro che probabilmente avrebbe vinto se non fosse stato per una lista infinita di avversità tra cui: sassi e fucilate da parte degli attivisti anti-italiani sloveni, una forte pertosse che lo tormentò per due terzi del Giro e una combina organizzata contro di lui dal suo direttore sportivo Graglia.
Un anno dopo, davanti ad un Vigorelli tutto esaurito con 15.000 tifosi in tribuna e 2.000 sul prato, è ancora sfida diretta con il Campionissimo Coppi nella finale di inseguimento su pista e ancora una vittoria di Ortelli, che bissa così il titolo di campione italiano su pista.
Dal 1947, passa alla Atala, con la quale nonostante i problemi fisici e un intervento alla gamba si fossero aggravati, ottenne il 2° posto al campionato italiano su strada, dietro a Coppi, e vince sia il Giro del Piemonte davanti a Ronconi e Vicini, costituendo un podio tutto romagnolo, che il GP Città di Milano.
Nel 1948 vince sia al GP di Romagna che il GP di Milano mentre al Giro d’Italia manca il podio di pochissimo classificandosi al 3°posto nonostante 7 forature in una solo tappa e una grave caduta causata da un tifoso che lo colpisce con un secchio d’acqua facendolo rovinare a terra, finisce il Giro con lo stesso tempo di Cottur che però avendo indossato la maglia rosa per 3 giornate in più si prende il podio.
Sempre nel 1948 l’ultimo acuto ma il più prestigioso, Ortelli dopo l’ennesimo duello con il rivale Coppi conquista il titolo di campione italiano su strada. Il titolo vale la possibilità di partecipare al Mondiale ma è l’anno del ritiro di Coppi e Bartali che finisce per danneggiare Ortelli il quale nonostante abbia la forma fisica sufficiente per stare alla ruota del belga Schotte, che poi vinse il titolo, rimane indietro perdendo tempo nell’attesa delle disposizioni dei due “capitani”, finendo purtroppo solo 8°.
Quell’anno Tullio Campagnolo, dopo la vittoria del tricolore, gli regala 100 gruppi del suo cambio per premiare quella fedeltà che Ortelli gli ha sempre dimostrato fin da ragazzo.
Dal ’49 in poi il declino agonistico a causa dell’aggravarsi dei problemi fisici al ginocchio destro, fino al ritiro nel 1952 con tanti rimpianti per il campione che poteva essere e che non fu ma con tante storie di successi, coraggio e amicizia da raccontare una volta tornato a casa.
Con i suoi suoi allievi giovanissimi della S.C. Faentina Ortelli ha sempre insistito sull’importanza dell’allenamento in pista. insegnandogli prima di tutto a stare in equilibrio con i piedi sui pedali al semaforo.
Fu infatti uno dei pochi a capire il valore dei velodromi la formazione degli atleti, visione isolata dato che in Italia sono stati chiusi e lasciati alla rovina mentre paesi come Inghilterra, Francia e Australia sono emersi nelle grandi competizioni con campioni che vengono proprio dalla pista. A quasi 90 anni ancora seguiva i giovanissimi della S.C. Faentina offrendo tanti preziosi consigli ai futuri campioni.
PETTENELLA
PETTENELLA
Milano 1943 – 2010
Vanni Pettenella / Biciclette su misura / Milano, via della Semplicità Italia / 1943-2010
Fonte: Fixedforum, La Gazzetta dello Sport,
Ha collaborato con: Shimano, Colnago, Velodromo Vigorelli
Invenzioni: Brevetto per la schiacciatura aerodinamica dei tubi del telaio / apparecchiature di elettrostimolazione / ciclocomputer a manubrio / pedali disegnati su base biodinamica.
Palmares: professionista dal 1965 al 1975 / Oro inseguimento su pista Olimpiadi di Tokyo nel 1964 / 2 volte oro agli europei di Anversa / 7 volte campione italiano su pista / detentore del record del mondo di surplace nel 1968, 1 ora e 3 minuti / dal 1976 Direttore tecnico Velodromo Vigorelli / Commissario nazionale italiana velocità
Giovanni Pettenella, detto Vanni, nasce a Caprino Veronese il 28 marzo 1943. La sua eroica carriera inizia come pulcino del Milan, ma il padre era stato ciclista, dilettante e certe cose rimangono nel sangue. A 16 anni, con il consenso del padre si iscrisse alla scuola Fausto Coppi al Vigorelli, dividendo le giornate tra allenamento in pista e lavoro nel negozio di alimentari della famiglia
“…giravo, studiavo, copiavo, sprintavo, rallentavo, tentavo il surplace, cadevo, mi attaccavo alla rete, i piedi dentro nei puntapiedi, io e la bici sdraiati, appesi, in bilico, come su una parete. Non mi restava che chiamare il Renzo, il custode, per farci tirare giù“.
Con le sue vittorie, Pettenella ha valorizzato l’immagine vincente dell’Italia nel mondo. Oltre all’oro olimpico, a Tokyo conquistò anche l’argento nella gara di velocità con partenza da fermo. Vinse il gran premio Città di Milano nel 1963, fu medaglia d’oro nella gara di tandem ai Giochi del Mediterraneo a Napoli nel 1963, campione italiano di velocità su pista negli anni 1960-1961-1962-1963. Ad oggi resiste ancora il suo record del mondo di surplace, 1 ora e 5 minuti, ottenuto nel campionato italiano del 1968.
“Potevo cambiare dieci volte in una volata sola. Io li guardavo tutti, i miei avversari, e mi sembrava che non ce ne fosse uno più debole di me. Allora mi ingegnavo. Se il mio avversario preferiva partire lungo, lo facevo partire il più corto possibile. Se preferiva fare la volata in testa, gli stavo davanti. Se preferiva lanciarsi, lo facevo partire da fermo. Se preferiva partire da dietro, facevo il surplace. Ho il record del mondo di surplace: un’ ora, 5 minuti e 5 secondi, Varese, campionati italiani 1968, semifinale con Bianchetto. Poi svenuto. Lui. In finale con Beghetto. Perso. Io.
In pista non si guarda in faccia a nessuno. Il gioco del su e già. Il gioco che a 70 all’ora lo lasci passare e poi lo mandi sul prato o lo sbatti sulla rete. Il gioco che in certi punti della pista ci si sta da soli.”.
Al ritiro da professionista, nel 1975, aprì la sua officina-bottega in Via della Semplicità, vero e proprio laboratorio in cui c’era dentro di tutto: arte e scienza, tavolo e letto, cucina e museo, capolavori e rottami. Per la sua vittoria a Tokio Pettenella era ancora molto apprezzato e rinomato in Giappone, paese con il quale mantenne solide relazioni professionali anche come costruttore di biciclette. Fu il primo in Italia a montare le proprie bici con gruppo Shimano Dura Ace, marchio a metà anni ’70 ancora pressoché sconosciuto nel nostro paese, (la distribuzione organizzata dei prodotti Shimano in Italia prenderà avvio solo alla fine degli anni settanta con la costituzione della Mic di Amedeo Colombo), una sinergia che venne poi consolidata da un vero e proprio contratto tra le due parti. Alla fine degli anni settanta Vanni costituì un Gruppo sportivo Pettenella-Shimano, ancora oggi in attività sotto al nome Ciclisti Dergano.
“…le Seigiorni. A Montreal si correva nello stadio dell’ hockey, due rettilinei e due virgole come curve, lì si imparava alla svelta, e chi non imparava, volava via. La prima sera me lo vedo ancora, De Lillo, che volava sopra i tavoli. Di Seigiorni ne ho fatte una decina e, a Melbourne, in Australia, ho anche vinto. Bel mondo di banditi, in pista, e fuori. Una volta Faggin fece ritirare i premi a un certo Campana, italiano, che abitava lì , Adelaide, Australia. Campana ritirò volentieri i premi, andò a giocarli ai cavalli e non si fece più vedere.”.
Forte della sua esperienza di pistard professionista riuscì nell’ideare e ad apportare sulle proprie biciclette diverse e importanti intuizioni meccaniche e strutturali, purtroppo non valorizzate a livello industriale a causa delle ristrettezze economiche. Nei primi anni ’70 il concetto di design aerodinamico nei telai delle biciclette da competizione era un concetto ancora sconosciuto ai più ma non a Pettennella, il quale in soli due anni di studio e ricerca riuscì, primo nella storia, a realizzare e brevettare un sistema (pressione a freddo) per ovalizzare i tubi dei telai. Nel 1982 Ernesto Colnago acquistò i diritti di uso del brevetto e incaricò lo stesso Pettenella di realizzare i telai delle sue Oval CX (1983-1985).
Altre sue importanti invenzioni furono la prima ruota a 4 razze, le prime apparecchiature di elettrostimolazione da utilizzarsi al posto dei massaggi convenzionali, il primo ciclocomputer a manubrio e i primi pedali disegnati su base biodinamica.
Dopo la fine della carriera da professionista, oltre al lavoro di costruttore, fu direttore tecnico del velodromo Vigorelli e Commissario Tecnico pista italiana, portando nel 1976 ai Mondiali di Monteroni di Lecce, Francesco Moser all’oro nell’inseguimento individuale, Giordano Turrini all’argento nella velocità e Avogadri al bronzo nella specialità dietro motori. Alla sua guida nel 1972, a Parigi, la nazionale italiana partecipante ai Mondiali Militari vinse tutte le medaglie in palio, come anche arrivò all’oro il quartetto Morbiato, Algeri, Bazzan, Borgognoni ai mondiali di Varese nell’inseguimento a squadre.
La pista fu per Vanni la vita, sempre disponibile a raccontare storie e spiegare a vecchi e giovani appassionati i trucchi del mestiere, come frenare solo usando la mano con il guanto sulla ruota o incollare correttamente i tubolari ai cerchi. Ci ha lasciato purtroppo a soli 66 anni, dal febbraio del 2010 riposa nella cripta sotto il Famedio del Cimitero Monumentale, il Pantheon dei Grandi di Milano.
POGLIAGHI
POGLIAGHI
Milano 1948 – 1983
La versione aggiornata è disponibile su Quaderni Eroici / Get the complete version on Quaderni Eroici.
Fonti: “The custom bicycle” di Denise de La Rosa e Michael Kolin / “The legend of Pogliaghi” brochure Basso / Cicli su carta / Mario Camilotto web site / Marco Gianfelici / Brian Fessenden / Simone d’Urbino / “Tour” magazine 1983, 37 / Keith Larson
Nato il 23 settembre 1913 a Milano, Sante Pogliaghi fu una figura monumentale nel campo della costruzione italiana della bicicletta da corsa, uno dei costruttori più longevi e, con oltre 30 titoli olimpici, una pilastro nella storia del ciclismo.Il padre fervente socialista, che amava suonare il piano, leggere i giornali e discutere di politica, lavorò per un certo periodo come fattorino in bicicletta ma non vedeva di buon occhio che il figlio ci corresse. Al contrario, cercò di impedirglielo pensando che avrebbe danneggiato la sua salute e lo avrebbe ostacolato nell’intraprendere un lavoro più redditizio. Sante quindi doveva escogitare il sistema di farlo senza farsi vedere. Nascondeva così la sua preziosa bicicletta a casa di un amico fidato e la domenica mentiva al padre dicendogli che andava a ballare. La prima volta che vinse una gara ciclistica e tornò a casa con un trofeo e cinque lire d’argento, il padre gli strappò il diploma e lo colpì in testa con la coppa, ma gli lasciò i soldi. Nel 1924 Sante, all’età di 11 anni, entrò nell’officina dello zio Brambilla come assistente meccanico. Negli anni a seguire studiò sia disegno meccanico che economia aziendale. Nel 1935, finito il servizio militare lavorò come meccanico nel circuito europeo della 6 giorni. In quegli anni lo zio Brambilla lo mandò a fare esperienza come telaista in Legnano e Bianchi. Nel 1943, si unì ai partigiani nella lotta per la liberazione dalla dittatura nazi-fascista prendendo parte alle azioni militari sulle montagne intorno a Milano. Nel 1946 tornò a lavorare con lo zio, rilevandone l’attività pochi anni dopo.
1924-1961
Nel centro di Milano, tra l’Arco della Pace e il Castello Sforzesco in Via C. Cesariano 11, si trovava l’officina di Francesco Brambilla, zio di Sante Pogliaghi e leggendario costruttore di biciclette dal 1919 alla fine degli anni ’50. Brambilla corse in bicicletta come “indipendente” e arrivò a vincere il Giro di Lombardia. Nel suo negozio riparava biciclette, insieme a qualsiasi altra cosa concepibilmente meccanica, oltre a realizzare i suoi telai per bici da corsa. Al velodromo di Milano aveva un suo “box” dove offriva i suoi servizi ai corridori in pista.
Nei primi anni di lavoro in officina da Brambilla, come usava spesso a quei tempi, Sante lavorava senza paga. Due anni dopo, raggiunta la maggiore età, era già in grado di saldare i telai. Sante crebbe in questo ambiente stimolante, dapprima sbrogliando semplici commissioni per poi essere promosso ad apprendista, era il 1926 e aveva 13 anni. La sua “scuola” come diceva, nei primi anni era l’archiviazione ordinata di parti e strumenti. Quando nel 1947 Brambilla morì, Sante continuò il suo lavoro completando gli ordini già in essere e costruendo nuovi telai con congiunzioni e decals dello zio, continuandone quindi anche la numerazione. In quegli anni, forte degli insegnamenti di Brambilla, Sante maturò una propria visione di disegno e costruzione del telaio con elementi distintivi che diventeranno negli decenni successivi la sua firma stilistica. Intorno al 1951/52 era quindi pronto a marcare le biciclette da lui costruite (nei primi anni costruiti sia con le sue congiunzioni che con quelle Brambilla) stampando il proprio nome sul fregio Brambilla o sulle congiunzioni dello sterzo e inaugurando una nuova livrea. A fianco dell’impegnativo lavoro in officina continuò comunque gli studi frequentando le scuole notturne, dapprima studiando economia aziendale e poi formandosi come disegnatore e meccanico, acquisendo una cultura che si dimostrò poi fondamentale per il successo della sua carriera. Terminato il suo anno e mezzo di servizio militare nel 1935 iniziò a lavorare nel circuito europeo della 6 giorni come meccanico.
Nel 1941, all’età di 28 anni si sposò e, a partire sempre da quell’anno, cominciò a portare quegli occhiali dalla montatura spessa che in seguito divennero un simbolo del suo personaggio ma che soprattutto gli salvarono la vita, durante la guerra fu infatti esonerato dal servizio attivo a causa dei problemi di vista. Non mancò comunque l’azione in prima persona, unendosi ai partigiani socialisti che combatterono contro i nazi-fascisti sulle montagne intorno a Milano dal 1943 al 1945. Brambilla, vista la passione e il talento del nipote, in questi anni diede un ulteriore impulso all’esperienza di Sante mandandolo a imparare alla Legnano e alla Bianchi, i due più famosi marchi costruttori dell’epoca. Nell’immediato dopo guerra, Sante tornò a lavorare con lo zio. Nel 1947, come detto, acquistò l’attività e iniziò a costruire anche alcuni telai per altri costruttori a quel tempo più famosi, servendo nel frattempo i corridori su pista come meccanico.
Cicli Brambilla Milano, 1919
“Qui in via Cesariano abitava mio zio Brambilla. Era severo con me, il mio apprendistato con lui è stato duro ma mi ha insegnato che vernici e diluenti non sono un odore sgradevole ma il profumo femminile nella nostra professione. Se volevo allenarmi con la mia bici, mi porgeva una lima e commentava che non ci si guadagnava da vivere pedalando da soli. La vita con lui mi aiutato, avevo molte domande e lui aveva molte risposte. Oggi tutto è cambiato. In ogni caso sono contento che la vecchia casa di mio zio a Milano non sia stata vittima dell'escavatore e sia sopravvissuta fino ad oggi"
— Sante Pogliaghi
TIMELINE NUMERAZIONE TELAI A parte i casi databili attraverso il tipo di congiunzioni non è stato possibile attribuire un anno preciso ad ogni esemplare. Un telaio poteva essere saldato, verniciato e montato a cavallo di due anni diversi e nel caso di telai esportati la forbice temporale può essere anche più ampia. L’approssimazione riportata in tabella è quindi di circa un anno. Per la datazione si è tenuto conto del fatto che fino alla prima metà degli anni ‘70 Pogliaghi costruiva circa 100 telai all’anno, (dal 1974 la produzioine è incrementata fino a circa 200), della tipologia di congiunzioni e decals e delle dichiarazioni di datazione come ad esempio la data di acquisto. Dagli telai ritrovati è verosimile che Pogliaghi abbiamo iniziato una propria numerazione verso la fine degli anni ’40, poi abbandonata nei primi anni ’40 per proseguire la numerazione dello zio Brambilla. Sono noti alcuni esemplari costruiti da altri artigiani marcati Pogliaghi, in particolare negli anni ‘40 e ‘50.
Pogliaghi strada N. 29, probabilmente fine anni ’40. Marcato “Pogliaghi” sulla congiunzione sterzo e numerato “29” sotto la scatola del movimento centrale.
Costruito con congiunzioni Brambilla, particolari inusuali il design della testa forcella a “slooping” e non a testa piatta e l’assenza di rinforzi nei foderi della forcella.
Foto collezione privata Simone d’Urbino.
Pogliaghi strada del 1960 n. 7063. restaurata. Foto Frameteller. Galleria foto completa qui.
BOB BERGHINO
Giovanni Bob Berghino e sua moglie Gilda migrarono in USA negli anni ’20. Bob aprì un negozio di biciclette nell’Upper West Side di Manhattan dove rivendeva biciclette da corsa Brambilla. Negli anni ’40 si trasferirono a Beverly Hills dove aprirono un nuovo negozio chiamato Bob’s Cycles, dove acquisì la fama di miglior venditore di biciclette della città. All’inizio degli anni ’60 Berghino importava biciclette Pogliaghi alle quali aggiungeva le sue decalcomanie “Berghino Specials” lasciando però la decalcomania “Pogliaghi” sul tubo obliquo (forse in virtù di un accordo con Sante).
Bob Berghino allenò alcuni dei migliori corridori americani dell’epoca, tra cui Bob Tetslaff che partecipò alle Olimpiadi del 1960.
1962-1983
Nel 1962-63 compare per la prima volta il ‘PSM’ e poi l’alleggerimento delle congiunzioni a forma di piccolo rombo e Pogliaghi interrompe la produzione di telai per conto terzi. Le congiunzioni utilizzate a quei tempi, allo stato grezzo erano molto più rozze di quelle disponibili a partire dai primi anni ’70, prodotte con la tecnica della microfusione che uniformarono la qualità media dei telai sul mercato, e venivano lavorate a mano per rispondere alla qualità voluta.
In officina costruiva principalmente telai da pista e corsa su strada, ma il palcoscenico internazionale del velodromo Vigorelli non era lontano dal negozio e la sua specialità divenne il tandem da competizione su pista, per il quale utilizzava tubi oversize personalizzati che gli venivano forniti dalla Durifort insieme a congiunzioni speciali da lui stesso disegnate e costruite interamente a mano di diametro allargato. Per la costruzione dei telai da strada Pogliaghi usava tubazioni Reynolds e Columbus, dalla metà degli anni ’70 anche Ishiwata e Tange, per i pista preferiva i tubi leggeri della Falck. Per i componenti Campagnolo si riforniva da Rossignoli di Milano. Fino alla prima metà degli anni ’70, nel suo piccolo negozio-officina, costruiva da solo circa 100 telai all’anno, la qualità del suo lavoro era già molto apprezzata e giovani costruttori, sia dall’Italia che dall’estero, aspiravano di poter fare l’apprendistato nella sua officina. Sante si occupava sempre in prima persona della brasatura essenziale di ogni telaio, anche negli anni di maggiore produzione, aiutato da altri collaboratori, non arrivò mai a realizzarne più di 200 all’anno.
Nel catalogo Pogliaghi Italcorse di quegli anni erano presentati quattro modelli da pista: sprint, pursuit, stayer e tandem, e due modelli stradali: road race e time trial.
Sante ha costruito molto per la pista, le biciclette per Montreal o Rocour, su cui Faggin è diventato campione del mondo, sono arrivate dalla sua officina. I giapponesi le hanno pesate: 4,25 kg.
CICLI POGLIAGHI 31 VOLTE CAMPIONE DEL MONDO
Lista sintetica di alcuni dei professionisti che hanno corso con biciclette Pogliaghi.
Eddy Merckx
Francesco Moser
Giuseppe Saronni
Fabio Casartelli
Moreno Argentin
Gianni Sartori
Sante Gaiardoni
Gordon Jhonson
Nelson Vails
Jaques Anquetil
Roland Königshofer
Gianni Bugno
Danilo Di Luca
Enrico Gasparotto
Giovanni Visconti
Leandro Faggin
Giuseppe Grassi
Mino De Rossi
Fritz Pfenninger
Albert Fritz
Gabriele Sella
Sue Norara-Reber
6 giorni Amsterdam, Fritz Pfenninger (sinistra) con bici Pogliaghi, 8 dicembre 1967
Gordon Johnson (a destra) aiuta Sante Gaiardoni su bici Pogliaghi durante una 6 giorni.
“Mi avvicinai a Sante Pogliaghi, vecchio costruttore, uomo semplice ma di grande umanità e saggezza, cresciuto in un’epoca non consumistica, che nel tempo aveva realizzato se stesso. Capii che avevamo molto in comune e che potevo con lui imparare a lavorare con passione”
— Mario Camillotto
Dal 1974 cominciò ad assumere collaboratori, tra i quali ricordiamo Antonio Trevisan, Camilotto, Sambruna e Freschi, fino ad arrivare a una squadra di 6 elementi nel 1979. I telai erano saldati a mano con la tecnica della brasatura senza l’uso della maschera (dima), e per mantenere allineati i tubi con le congiunzioni, questi venivano bloccati con la “puntatura”. Pogliaghi utilizzava la maschera (dima) solo quando doveva costruire molti telai delle stesse dimensioni, ma generalmente, anche grazie alla sua lunga esperienza, preferiva poter lavorare a mano libera. Questo perché riteneva che quando i tubi sono bloccati dalla maschera il telaio può ricevere sollecitazioni indotte dal calore della saldatura, provocando poi distorsioni in fase di raffreddamento. Contrariamente alla normale pratica, Sante costruiva il telaio unendo prima il tubo sella al movimento centrale e quindi il tubo sella al tubo orizzontale. Dopodiché univa il tubo obliquo al movimento centrale e terminava il triangolo principale saldando il tubo sterzo. Per saldare i telai individuali utilizzava il gas naturale, mentre per i tandem con tubi a diametro maggiorato preferiva il gas propano, in generale preferiva comunque il primo perché limitava del 50% la perdita di carbonio in fase di riscaldamento del tubo. Per la brasatura utilizzava il prodotto svizzero Castolin, con un contenuto d’argento di circa il 40% e una elevata fluidità, una bassa temperatura di brasatura e una buona resistenza. Utilizzò anche altri materiali per brasatura con un contenuto d’argento più elevato, ma si dimostrarono troppo liquidi per completare in modo efficiente le sue tecniche di costruzione. Piuttosto che concentrarsi sulla precisioni di angoli specifici privilegiava il rapporto di dimensione tra i tubi orizzontale e verticale. Come regola generale, sui telai di medie dimensioni, il tubo orizzontale non doveva mai essere più lungo di 2 cm del tubo piantone, per evitare che la bicicletta risultasse sproporzionata e meno performante in corsa. Alla fine degli anni ’70 Pogliaghi smise di utilizzare congiunzioni o movimenti ottenuti per fusione perché rendevano il telaio troppo rigido e soggetto a rottura dei tubi. Tuttavia, mantenne la testa della forcella in ghisa fusa per renderla più rigida e consentire una migliore maneggevolezza. Tutti i telai Pogliaghi erano erano verniciati da fornitori esterni e la qualità della cromatura, a suo giudizio, non doveva essere realizzata usando acido solforico per non rischiare di indebolire le tubazioni. Durante la sua lunga carriera Sante Pogliaghi fu uno dei più rispettati telaisti italiani, modello e, in alcuni casi, maestro di grandi nomi della generazione successiva. Una delle sue abilità era valutare le reali esigenze del ciclista. Costruì telai per importanti corridori come Sercu, Merckx, Faggin, Baghetto, Nunzi e Rossi e più di 35 professionisti vinsero titoli mondiali usando i suoi telai, di per sé un record mondiale. Alla domanda sulla ragione del suo successo Sante rispondeva spesso sottolineando la sua passione per la bicicletta e per il suo lavoro. Pogliaghi si ritirò in pensione nel 1983 quando la numerazione dei telai era arrivata a circa 12700. Vendette l’attività alla Basso e sei anni più tardi il marchio fu acquistato dalla Rossin. Sante morì nel 2000, a 87 anni.
Fine anni ’80, Sante in officina con Alcide Basso
Serie “speciale” seconda metà anni ’60.
Pogliaghi pista del 1966, n. 7803 conservata.
Il telaio sembra far parte di una serie speciale di telai realizzata nell’officina Pogliaghi nella seconda metà degli anni ’60. Tutti i telai hanno in comune congiunzioni più Nervex più vecchie, forcellini forati e il disegno unico degli svuoti di movimento centrale, nodo sella e congiunzioni.
IL DESIGN DEI TELAI POGLIAGHI
Sul finire degli anni ‘40 Pogliaghi costruiva i propri telai impiegando ancora le congiunzioni ereditate da Brambilla. Nei primi anni ‘50 iniziò ad imprimere il proprio stile personale cambiando il design della testa della forcella, mantenndo comunque fino agli anni ‘70 il modello a testa piatta prodotto dalla Fischer.
PENDINE E TESTA FORCELLA
La forma delle testa delle pendine rimase simile a quella dello zio fino alla metà degli anni ‘70 quando Sante ne allungò la forma e aggiunse il suo simbolo. Dal 1984 la Basso cambiò sia la forma della testa delle pendine che il carattere tipografico del logotipo.
NODO SELLA "FASTBACK"
A partire dalla metà degli anni ’60 alcuni telai Pogliaghi erano costruiti con un particolare nodo sella con le teste delle pendine forate e saldate sulla parte posteriore del tubo pianto per accogliere un bullone passante. Il disegno fu creato internamente e per la produzione fu scelta l’azienda SIlva.
FREGI
I primi telai Pogliaghi, erano marcati con fregio in metallo Brambilla o con una versione dello stesso ma personalizzata con l’aggiunta del suo cognome. Successivamente il fregio venne sostituito da decalcomanie, le prime mostravano un globo tra rami di alloro, mentre a fine anni ‘50 ricomparse la grafica di Brambilla ma con “BSA” sostituito da “PSM” (Pogliaghi Sante Milano), affiancato a “Italcorse”. Negli anni ‘70 comparse un nuovo marchio dove le iniziali SP davano vita ad un nastro tricolore. Nell’ultima generazione di decals, dalla fine degli anni ‘70 ai primi ‘80, vennero celebrate le medaglie olimpiche vinte da corridori con bici Pogliaghi.
SCATOLE MOVIMENTO CENTRALE
Fino alla fine degli anni ’60 Pogliaghi impiegò le scatole in ghisa prodotte dall’azienda svizzera Georg Fischer, chiuse e senza alleggerimenti. La lettera “G” punzonata indicava una scatole per telaio da pista, mentre il nome era quello del ciclista.
RAULER
RAULER
Reggio Emilia 1970 – Fine anni ’80
RAULER / Biciclette su misura / Reggio Emilia, Italia / 1970 – In attività
Fonti: intervista a Reclus Gozzi / Brochure “50° anniversario Rauler, 2020
Ha lavorato con: Colnago, Colner, Marastoni, Dosi, , Somec, Chesini, Olmo, Bianchi, Cinelli, Raimondi, Neri
Squadre: Giacobazzi / Autotrasportatorì Napoli / Maltinti Lampadari / Top and Esmeraldo / SMEG di Artoni / Velo Club Reggio / CREI Gualtieri / VIBOR con Panizza che correva con bici Colner-Rauler.
Palmarès: Argento 100 km a squadre Olimpiadi in Venezuela con De Pellegrini / Oro 100 km a squadre alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 / Campione italiano dilettanti 1980 e 1984 con De Pellegrini / 1980 Giro di Campania dilettanti di prima categoria con Borgini / 1984 Campionato italiano per dilettanti di seconda categoria su strada
> Catalogo Rauler anni ’70 > Catalogo Rauler anni ’80
L’avventura Rauler inizia nel 1970 a Reggio Emilia. Il nome è la combinazione del nome di 2 fratelli, Raoul e Reclus Gozzi. Il maggiore Raoul, nato due anni prima di Reclus nel 1946, da ragazzo correva con il Gruppo Sportivo Bismantova di Reggio Emilia, con il quale ha ottenuto buoni risultati grazie a passione e sacrificio. Raul intraprese il lavoro di pantografista specializzato alle dipendenze di un artigiano della zona e nel 1970 decise di mettersi in proprio.
Il lavoro gli garantiva buoni profitti e dato che si era sempre dovuto accontentare di bici usate più o meno adatte alla sua misura e costruite con materiali di media qualità, decise di concedersi la soddisfazione di farsi costruire una bicicletta da corsa su misura. Della sua decisione parlò con Nello Olivetti, suo meccanico di fiducia che negli anni sessanta fu un discreto corridore tanto che aveva gareggiato insieme a Ernesto Colnago.
Ernesto Colnago in quegli anni era già un rinomato costruttore di bici speciali per i campioni dell’epoca. Una domenica mattina (perché alla Colnago si lavorava anche di domenica), partirono quindi con destinazione Cambiago per farsi costruire la sognata bici personalizzata.
Prima di congedarsi Raoul chiese ad Ernesto Colnago la possibilità di portare con sé il gruppo Campagnolo spiegando che così avrebbe potuto nel frattempo alleggerito e decorarlo. Trascorsi i due mesi Ernesto avvertì che il telaio era pronto. Il mattino seguente di buon’ora, Raoul si presentò portandosi appresso il gruppo modificato pronto per il montaggio della bici. Alla vista di quei componenti lavorati Ernesto rimase stupefatto e gli chiese di preparare dieci gruppi Campagnolo modificati.
Fù cosi che nel giugno 1970 iniziò un rapporto di collaborazione con la Colnago che durò poi oltre 15 anni. Un lavoro sempre più impegnativo, fino al punto che Raoul fu costretto a chiedere al fratello, che nel frattempo lavorava nel campo della carpenteria pesante, di affiancarlo in officina.
Nel marzo del 1973 Reclus Gozzi cominciò quindi il suo apprendistato al pantografo guidato dall’esperienza del fratello. Ogni mese i Gozzi pantografavano e coloravano circa 70/80 gruppi con consegne settimanali. Ogni gruppo era composto da guarnitura, canotto sella, leve freno, leve cambi, attacchi manubrio e, a volte anche, anche mozzi e cerchi. Il lavoro procedette senza intoppi e con Colnago si instaurò un rapporto familiare, quando quest’ultimo si trovava nella zona di Reggio o Parma, (al tempo la Colnago era sponsor della SCIC), faceva visita all’officina seguita dall’immancabile piatto di tortelli.
Fu in una di quelle occasioni che Ernesto propose ai due fratelli di aiutarlo nella costruzione di telai da corsa neutri, senza stemmi. La Colnago, nel lancio in produzione di 200 telai da corsa, ne avrebbe costruiti direttamente 150 col suo marchio e decentrato ai Gozzi la produzione dei rimanenti 50 da firmare con il marchio del cliente.
Il giorno seguente Raul e Reclus condivisero la proposta con il padre Otello, anche lui fabbro ed esperto nella saldatura a cannello ossiacetilenico e pochi giorni dopo Reclus e il padre partirono alla volta di Cambiago per il corso di formazione armati di metro, calibro, blocchi da disegno per rilevare misure ed eventuali maschere e prendere appunti vari su sistemi di lavorazione che gli operai di Ernesto utilizzavano nella costruzione dei telai. Gli venne spiegato che era necessario iniziare sempre a costruire i telai di misura più grande perché, in caso di errore, un tubo tagliato si sarebbe potuto utilizzare per telaio più piccolo. Presero nota dello schema della maschera per assemblare i telai riportando le dimensioni che avrebbero utilizzato per costruirne una nella loro officina.
Una volta puntato il telaio sarebbe stato tolto dalla maschera per l’operazione di squadratura sul piano di riscontro e poi spinato con chiodi appositi nelle varie giunzioni. Tale operazione era necessaria per evitare che al momento della saldatura del telaio i vari punti potessero muoversi variando così le misure impostate, le saldature portavano la temperatura localizzata sugli 800 °c dilatando i pezzi.
Otello Gozzi, sotto la guida dì Aldo, il capo telaista della Colnago, saldò telai e forcelle imparando i segreti del mestiere, mentre Reclus prendeva nota dei vari passaggi di lavorazione facendo schizzi di particolari che lo avrebbero aiutato nelle varie fasi di costruzione.
Con l’apprendimento ed il trascorrere del tempo presero confidenza con il nuovo lavoro e la sera in albergo ripassavano i vari compiti e già pensavano a come risolvere le diverse difficoltà come il non avere a disposizione delle maschere di saldatura come quelle di Ernesto né della grande “giostra” su cui potevano operare contemporaneamente tre operai che saldavano in successione il movimento centrale, il gruppo sterzo e il gruppo sella. Nella giostra erano disponibili tre cannelli per il preriscaldo ed altri tre per la saldatura. quando il telaio passava davanti al saldatore questo doveva solo mettere l’ottone per la saldo-brasatura perché il pezzo era già alla temperatura di circa 800″C, mentre i Gozzi avrebbero dovuto riscaldare a quella temperatura con un solo cannello.
Arrivò il giorno di congedarsi e ripartire per Reggio per costruire le maschere, mettere in funzione le macchine già acquistate in precedenza e preparare l’impianto di saldatura. Una volta preparata l’attrezzatura Ernesto e Aldo li avrebbero raggiunti a Reggio Emilia per costruire i primi dieci telai, uno per misura dal 50 al 60, utili per piazzare la maschera di puntatura e tagliare i tubi.
Correva l’anno 1975 e nel frattempo venne depositato, presso la Camera di Commercio di Reggio Emilia, il nuovo nome dell’officina “Rauler”.
Una volta finiti di saldare i primi 10 telai campione, comprese le forcelle, cominciò il difficile lavoro di finitura. Per saldo-brasare oltre l’ottone si utilizzava il borace, una polvere indispensabile per potei far scorrere la lega a base di ottone, il borace una volta raffreddato, vetrificava, per poter limare la saldatura era necessario prima sabbiarla. Questo era un problema per i Gozzi perché non possedevano una sabbiatrice.
Raoul si rivolse quindi alla fonderia del quartiere “Lobrighisa” che accettò di affittare l’utilizzo della sabbiatrice. Quando Reclus portava i telai alla fonderia non mancava di studiare la sabbiatrice cercando di carpirne il principio di funzionamento e in, poco tempo, si sentì in grado di poterne costruire una da solo. Si recò quindi da un demolitore deve recuperare un serbatoio GPL; lo riempii d’acqua per evitare che potesse scoppiare durante la lavorazione e lo modificò a modello di quello della sabbiatrice della fonderia; il serbatoio era più piccolo ma se avesse funzionato sarebbe andato ugualmente bene.
Reclus acquistò un grosso compressore di seconda mano e costruì una cabina di lamiera che potesse contenere un telaio, dotata di uno sportello con il vetro per potei osservare le varie parti durante la lavorazione e due fori per inserire le braccia protette da maniche di gomma in modo da potevi manovrare il telaio e direzionare il getto di sabbia. Così con poche migliaia ma molto know how ottennero la loro sabbiatrice.
Rimaneva da risolvere il problema del lavoro di limatura delle saldature che si presentava impegnativo ma con pazienza riuscirono a superare anche questa difficoltà; i primi pezzi non uscivano rifiniti alla massima perfezione ma in poco tempo, con l’aiuto di Raoul che proseguiva nel suo lavoro di pantografista ed eccelleva nelle le finiture, riuscirono nel fabbricare un prodotto perfetto.
A questo punto cominciarono ad evadere gli ordini che passava la Colnago, il quale quando doveva produrre un lotto da 100 telai, 80 se li costruiva mentre 20 li ordinava alla Rauler, sempre personalizzati come richiesto dal cliente.
Una volta realizzati e rifiniti i telai venivano consegnati a Milano dove venivano cromati, verniciati e consegnati al cliente finale.
L’idea del simbolo Rauler nacque quando i fratelli Gozzi decisero di provare a diventare costruttori di bici da competizione. A quel tempo acquistavano tubi e congiunzioni dalla Colnago in quanto questa riusciva ad ottenere i prodotti a prezzi molto bassi.
Il problema era quindi che sulla testa della forcella in microfusione era già presente l’asso dì fiori, perciò per poterla utilizzare Raoul ebbe l’idea di modificarla al pantografo allungandone i petali fino a farlo diventare una foglia di edera, così è nato l’originale simbolo Rauler, dall’abilità di problem solving tipica degli artigiani dell’Emilia-Romagna.
In breve tempo i telai su misura prodotti dalla Rauler ebbero successo nella piazza locale, dove il ciclismo era molto praticato. Persino Reclus, appassionato motociclista, entrò nel gruppo Citroen del del quale Raoul già faceva parte.
Fra i clienti comparivano molti ex corridori professionisti che ritiratisi dalle gare aprirono dei propri marchi, tra i quali Guido Neri, Enrico Paolini, Vincenzo Bellini, La Pier-Belgio, Dancelli, Saronni, Poggiali oltre a svariati altri piccoli meccanici di bici in tutta Italia. Cominciarono ad equipaggiare una piccola squadra di esordienti, Ia “Unione Sportiva Montecchio” dove un bravo presidente, il Signor Fontana, appassionato di ciclismo, cercava di educare i ragazzini alla bici e chissà, forse sarebbero emersi, magari anche dei buoni corridori.
Reclus:
“Se non fosse uscito un campione sarebbe stato sufficiente che fosse una brava persona un buon padre un buon operaio. Effettivamente, uno è diventato un buon sindaco per ben due legislature è Sandro Venturelli, un altro, Guidetti, è tuttora direttore sportivo di una squadra giovanile, sono passati per la squadra anche Pattacini, funzionario di banca, Graziano Beltrami col fratello, commerciante di materiale speciale per bici da corsa, il meglio del mercato mondiale, la Beltrami T.S.A.”
Alcuni dei giovani corridori vennero assunti in officina, con il giovedì pomeriggio libero per potersi allenare.
Nel novembre 1976 i Gozzi decisero di partecipare alla Fiera di Milano “Ciclo Motociclo” EICMA, grazie a Colnago gli venne assegnata un’area importante del padiglione, proprio a fianco del famoso costruttore. Per loro fu uno sforzo notevole sia in termini economici che di tempo e si costruirono da soli lo stand per contenere le spese affitto. Per l’allestimento delle bici esposte furono aiutati da Rino Parmigiani, il meccanico della squadra della SCIC, un nome autorevole del settore, e vecchio conoscente di Otello Gozzi, con il quale aveva condiviso il lavoro in officina negli anni 60. Rino diventò poi collaboratore Rauler e gestì il negozio situato fuori dall’officina a pochi passi di distanza dalla sede.
La fiera fu un successo, molto apprezzate le bici esposte anche per la verniciatura eseguita da Gianni Schivazappa, artigiano di Parma e artista nel settore. Grazie a Colnago acquisirono molti clienti che rimasero fedeli negli anni a venire.
Durante la fiera fecero conoscenza con l’ex ex corridore della Nazionale Danese di nome Gunnar Asmussen che aveva già già partecipato alle Olimpiadi di Roma nel 1960 e vinse poi una medaglia d’oro alle Olimpiadi in Messico nel 1968.
Asmussen, cessata l’attività di corridore, aprì un negozio di bici da competizione nel suo paese, in Fiera era alla ricerca di un telaista in grado di produrre telai a suo marchio e rimase colpito dalle bici esposte allo stand Rauler. In breve stabilirono un accordo commerciale e quantitativo della campionatura. Asmussen fornì la squadra nazionale danese per la 4×100 Km cn telai costruiti da Rauler con ruota anteriore di 26 pollici.
Nel 1975 la Colnago equipaggiò la Giacobazzi, squadra di dilettanti di prima categoria di Nonantola, nella quale vi correva anche Mauro De Pellegrino, atleta di Reggio Emilia che si appoggiava alla Rauler per l’assistenza tecnica.
Sempre in quell’anno la Colnago riscontrò un problema nella costruzione del carro posteriore che, essendo troppo corto, per sostituire la ruota posteriore era necessario sgonfiare la gomma, durante la corsa operazione non accettabile. I direttori sportivi della Giacobazzi allarmati chiesero spiegazioni a Colnago, il quale Ii indirizzò alla Rauler per risolvere un problema che non era di facile soluzione dato che le bici erano già montate e verniciate. I Gozzi risolsero la questione con la mola a nastro accorciarono la punta dei forcellini affinché la ruota potesse essere montata in modo corretto e veloce.
Grazie a quell’operazione la Giacobazzi già nel 1976 equipaggiò la squadra con bici Rauler con le quali tagliarono molti traguardi. Nello stesso anno alle Olimpiadi in Venezuela De Pellegrini vinse la medaglia d’argento nella 100 km a squadre.
Nel 1980 sempre Mauro De Pellegrino vinse il campionato italiano a cronometro nella città di Pescara. Poi il Giro di Campania dilettanti di prima categoria fu vinto dal romagnolo Borgini; nel 1984 Vandelli Claudio vinse la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Los Angeles, sempre nella 100 km a squadre, mentre il fratello Maurizio vinse il campionato italiano per dilettanti di seconda categoria su strada.
Nel 1976 una bici Rauler portò alla vittoria Dino Torelli, anche lui reggiano, vincitore in un campionato mondiale svoltosi in Austria e ancora Mauro De Pellegrino alla Milano – Reggio Emila vinta per distacco. Nel periodo del 1977 la Rauler organizzò un gran premio per la categoria Allievi con arrivo al Parco di Roncolo nelle Terre Matildiche di Quattro Castella, nel secondo anno lo vinse Cassani.
Con l’arrivo nella squadra, di Marco Pantani e di Paletti Michele Giacobazzi decise di adottare le bici di Luciano Paletti che era costruttore di bici.
Tra le tante squadre equipaggiate con le bici Rauler: Giacobazzi, Autotrasportatorì Napoli, Maltinti Lampadari, Top and Esmeraldo, SMEG di Artoni, Velo Club Reggio, CREI Gualtieri, VIBOR con Panizza che correva con bici Colner-Rauler. Numerosi anche i clienti, da tutta I’ Europa oltre che da Argentina, Stati Uniti e Australia.
Reclus:
“Una volta arrivò in officina il massaggiatore della pallacanestro Reggiana, per richiederci una bici per un giocatore della squadra. Il giorno dopo si presentò un gigante americano di 2,17 metri di nome Roosevelt Bouie, una volta prese le misure il telaio mostro risultava di 72 cm di altezza, per costruirlo la Columbus ci preparò dei tubi speciali rinforzati fuori misura.”
Ogni anno la Rauler portava delle novità alla fiera di Milano, nel 1985 proposero un telaio innovativo per quel tempo, con tubi del trapezio romboidali per rendere il telaio più rigido, era il modello “Sistem Profil“. Nel primo esemplare furono utilizzati tubi Columbus PL e passato il collaudo fu brevettato e applicato a tutti i telai dell’azienda reggiana.
Alla fine del 1985 Raoul uscì dalla Rauler per aprire insieme al figlio Massimo un’azienda specializzata in stampi speciali per elementi meccanici commissionati da aziende automobilistiche della zona come la Ferrari.
L’uscita di Raoul coincise con l’entrata nella società di Mauro Govi, operaio esperto cresciuto in azienda. In quegli anni all’officina Rauler la il team era composto da sette persone e si costruivano fino a 200 telai al mese.
Il 1987 fu un anno di calma nel settore bici da corsa, una crisi che non risparmiò la Rauler. Colnago per aiutare gli amici Gozzi gli commissionò la costruzione di venti tandem ordinati da Russia e Cecoslovacchia.
Trovato il modello, un tandem anni ’50 prestato per alcuni mesi dalla Federazione Ciclistica Italiana di Forlì, iniziò lo studio e la preparazione di una apposita maschera e dei vari componenti necessari per assemblare i tandem; nel breve tempo di un paio di mesi, riuscirono ad evadere l’ordine dei tandem ordinati da Ernesto.
Il giorno che Reclus si recò a Milano a ritirare il materiale per costruire i tandem, alla Colnago vide che i telai pronti per la limatura, avevano un bel colore vivo con una lieve polvere bianca. Aldo gli spiegò che stavano provando una soluzione di acido solforico diluito in acqua calda con la particolare proprietà di togliere tutto il borace, i telai venivano poi risciacquati in una soluzione d’acqua e soda caustica che togliendo completamente le tracce di acido evitava l’ossidazione del telaio. Un sistema per accorciare i tempi di sabbiatura che fu adottato anche in Rauler.
Nel frattempo si era diffusa la voce che alla Rauler si era in grado di costruire tandem e cominciarono ad arrivare ordini da privati e anche persone non vedenti che avrebbero così potuto muoversi con l’aiuto di una guida. Tra i clienti vi fu anche Vittorio Adorni che ne volle uno per lui e la moglie. Grazie alla costruzione di tandem riuscirono a superare quel momento di difficoltà di mercato in attesa che si rimettesse in moto il lavoro nel settore bici da corsa.
Un importante incarico arrivò grazie a Claudio Toselli, ex corridore della Giacobazzi che nel frattempo era diventato rappresentante nel settore della Viner di Pistoia che in quel momento era alla ricerca di un nuovo costruttore per i propri telai. Fu trovato un accordo tra le parti per la fornitura di 50 telai grezzi al mese. Sempre nel 1987 la Rauler costruì anche 15 telai su misura per la squadra professionistica Viner “Scrigno”, in soli 4 giorni.
Nel 1988/1999 alla Rauler si cominciò a saldare a TIG, per acciaio e alluminio e a costruire telai in carbonio.
Tra i clienti in quegli anni nomi noti del settore bici corsa come Colnago, Viner, Corner, Somec, Chesini, Olmo, Bianchi, Cinelli, Raimondi, Neri, molti di questi si sposteranno in breve tempo verso il mercato cinese.
Alla fine del 1999 Reclus andò in pensione rimanendo come consulente vicino alla Rauler. L’azienda, rilevata dalla Beltrami, è ancora in attività nella costruzione di telai non standard e riparazioni di telai d’epoca, con clienti in Belgio, Francia, Germania, Danimarca, Inghilterra, America e Australia, ma questa è già un’altra storia.
Reclus:
“Tuttora sto istruendo due giovani che sembrano molto interessati ad apprendere il lavoro del telaista con la speranza che l’esperienza acquisita negli anni non vada dispersa.
Ci vorrà ancora molta pazienza perché così come è stato per me, è per loro un percorso duro ma se metteranno tutta la loro buona volontà non potranno che riuscire. Coraggio, “nessuno è nato professore” Ancora dopo 50 anni, vado tutte le mattine nella sede Rauler a lavorare. Se non ci vado ne sento la mancanza, non riesco a farne a meno.
Chissà per quanto ancora lo farò, ancora non è sera.”
Le congiuzioni Arabesque
A metà anni ’80 Raoul ha ulteriormente perfezionato la sua già ragguardevole abilità al pantografo, per i propri telai disegna e realizza le famose congiunzioni arabescate, ancora oggi tra le più belle mai realizzate.
Colnago dopo averle viste di persona alla Fiera del Ciclo di Milano le commissiona per il suo nuovo modello, passato alla storia con il nome di Colnago Arabesque, pensato per celebrare il trentesimo anniversario della fondazione Colnago.
Le prime 100 Colnago arabescate erano quindi tutte realizzate a mano da Raoul Gozzi e richiedevano molte ore di paziente lavoro al pantografo, dato il successo sul mercato, qualche anno dopo però Colnago deciderà di semplificarne il disegno per poterle produrre in larga scala e a minor costo con la tecnica della microfusione.
Marastoni
Tra i fratelli Gozzi e l’altro grande maestro telaista di Reggio Emilia Licinio Marastoni è sempre esistito un rapporto di reciproca stima e collaborazione, per le sue pantografie Licinio si è sempre affidato a Raul e negli anni ’90, data l’età ormai avanzata Licinio chiese aiuto a Reclus per la costruzione dei telai, ovviamente usando la sua maschera.
Rauler pista anni ’70 con congiunzioni arabescate
Rauler PLUS
Presentato alla Fiera di Milano del 1984, l’anno che Campagnolo presentò il gruppo con i freni Delta. Il telaio presenta una modifica ai porcellini posteriori del telaio che altri hanno successivamente adottato solo molto più tardi con l’avvento del carbonio.
Rauler SISTEM PROFILE
Tra i modelli Rauler più importanti la “Speciale SL” e la “Profile” per il quale Reclus creò tubi con disegno originale a sezione romboidale per migliorare la rigidità complessiva della bici, la prima versione venne testata e brevettata nel 1985 con la squadra Giacobazzi e fu prodotto fino al 1995.
Rauler Special strada, 1978 / Foto Kevin Kruger.
VILLA
VILLA
Bologna 1928 – Primi anni ’80
Cicli Amleto Villa / Bici su misura / 1928 – primi anni 80 / Bologna
Fonti: “Amleto Villa: da 80 anni sotto le Due Torri (“Carlino Bologna”, 3.10.2008) / Troppebici blog
Ha collaborato con: Cimatti, Brambilla, F.llii Chiesa, Galmozzi
Palmarès: 1932, Olimpiadi di Los Angeles, medaglia d’Oro inseguimento su pista.
Il negozio e officina di biciclette Amleto Villa “Il paradiso delle biciclette” apre a Bologna nel 1928 e rimane punto il punto di riferimento per i ciclisti bolognesi per oltre settant’anni. “Elegante, scorrevole, perfetta, stabile, buona”, erano gli aggettivi che Villa scelse per definire le sue biciclette.
Era il periodo in cui si organizzavano molte corse su strada ed il ciclismo italiano produceva campioni. Amleto Villa capì che le bici da corsa gli avrebbero dato notorietà ed insistette su questa produzione. I fatti gli diedero ragione. Non bisogna trascurare il contesto petroniano di quegli anni: il gerarca Leandro Arpinati voleva una “Bologna sportiva”: perciò, oltre alla costruzione dello Stadio Comunale (il “Littoriale”), inaugurato da Mussolini il 31 ottobre 1926, furono incentivate le società sportive (Virtus, SempreAvanti…). Come dimenticare il grande successo della bolognese Ondina Valla che vinse l’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 (l’altra bolognese, Claudia Testoni, giunse quarta). Anche il ciclismo fu sostenuto ed emersero ottimi giovani atleti.
Nel 1932, cioè quattro anni dopo l’apertura del suo negozio, si svolsero le Olimpiadi di Los Angeles e, nella squadra italiana di inseguimento su pista, fu selezionato il giovane bolognese Marco Cimatti (1912- 1982), il quale correva su una bicicletta da corsa “Villa”. La squadra italiana vinse la medaglia d’oro e i cinque cerchi olimpici fecero sfoggio nella vetrina del negozio e nel marchio Villa. Cimatti, nel dopoguerra, aprì una fabbrica di biciclette. La produzione di cicli Villa proseguì e si intensificò.